In Economia

di Matteo Corsini

“Prima della scadenza ogni prodotto strutturato è un’incognita per il venditore l’acquirente: le probabilità sulla performance a scadenza forniscono uguali informazioni a entrambi. Al contrario, con il what if l’offerente può illustrare le potenzialità del prodotto senza violare gli obblighi informativi ma non fornisce le probabilità con cui si verificano i rendimenti. E’ come giocare al Superenalotto sapendo che a fronte del costo di tre euro si realizza niente o 150 milioni. Cosa vera ma fuorviante se non si dà l’informazione sulle probabilità associate a questi risultati: alta probabilità di vincere nulla e bassissima probabilità di vincere 150 milioni. Nel caso dei fondi strutturati, senza fornire le probabilità di realizzazione dei vari rendimenti, si preclude l’investitore dall’acquisire consapevolezza del rischio che va a sostenere.” (R. D’Ecclesia)

Rita D’Ecclesia insegna Metodi quantitativi per le applicazioni economiche e sociali alla Sapienza di Roma. Le sue parole che ho riportato sono tratte da un’intervista in cui commenta in modo critico il passaggio dall’utilizzo degli scenari probabilistici al semplice uso di esempi what if nei prospetti informativi dei prodotti strutturati. Una novità, che per D’Ecclesia e tanti altri rappresenta un passo indietro, portato dal recepimento della direttiva europea Ucits IV.

Mi rendo conto che l’argomento potrebbe risultare noioso, ma la mia intenzione è quella, cercando un difficile equilibrio tra il non entrare troppo nel tecnico e l’evitare fuorvianti semplificazioni, di evidenziare che i sostenitori degli scenari probabilistici rischiano di esporre i risparmiatori a cocenti delusioni. Il motivo del contendere, in estrema sintesi, è il tipo di informazione da fornire ai potenziali sottoscrittori di un prodotto finanziario strutturato (ossia contenente strumenti derivati) circa i potenziali risultati dell’investimento. Se si utilizzano gli scenari probabilistici si espongono in una tabella le probabilità che il prodotto fornisca una performance positiva, negativa, superiore o inferiore a quella di uno strumento privo di rischio, indicando anche i valori mediani attesi in un determinato orizzonte temporale per 100 euro investiti all’inizio. Se, viceversa, si utilizza l’approccio what if, nella tabella si fanno tre ipotesi arbitrarie (uno scenario di base, uno positivo e uno negativo) e si indicano i risultati sullo stesso orizzonte temporale di 100 euro investiti all’inizio.

I sostenitori degli scenari probabilistici criticano l’arbitrarietà dell’approccio what if e lamentano il fatto che al potenziale sottoscrittore non è indicata la probabilità associata ai risultati ipotetici inseriti in tabella. Il fatto è che costoro approcciano eventi caratterizzati da incertezza, quali sono gli andamenti futuri di uno o più strumenti finanziari, come se si trattasse di prevedere le probabilità di un determinato esito in una lotteria. Ma mentre in quest’ultimo caso la statistica consente di calcolare con certezza la probabilità di un determinato evento, quando si tratta di strumenti finanziari il cui andamento dipende dalla domanda e dall’offerta scaturenti da una moltitudine di soggetti le probabilità calcolate mediante i metodi quantitativi devono essere basate su assunzioni che non sono di per sé verità assolute, e comportano anch’esse gradi più o meno estesi di arbitrarietà.

Dato che la maggior parte dei potenziali sottoscrittori di questi prodotti non ha conoscenze minimamente sufficienti dei metodi quantitativi utilizzati per costruire gli scenari probabilistici, i cosiddetti esperti, per non complicare i discorsi, non vanno troppo per il sottile e tralasciano o relegano a minuscole note a piè di pagina la spiegazione della differenza tra una lotteria e l’andamento di uno strumento finanziario scambiato su un mercato. Non a caso D’Ecclesia paragona proprio la sottoscrizione di un prodotto strutturato al Superenalotto. Paragone che ritengo quanto mai fuorviante.

Ancorché la ricerca applicata e l’aumento della potenza di calcolo dei computer abbiano consentito lo sviluppo di metodi quantitativi eleganti e sofisticati, la previsione sull’andamento di un titolo non sarà mai la stessa cosa del calcolo della probabilità che esca 3 nel lancio di un dado.

Né si possono applicare alla finanza, con la stessa attendibilità dei risultati, i metodi tipici dell’ingegneria o della fisica, sviluppati in origine per essere applicati a eventi naturali e non a circostanze determinate dall’azione umana. L’implosione di molti portafogli gestiti in modo totalmente quantitativo a seguito di eventi ritenuti ex ante estremamente rari testimonia che il calcolo del rischio in situazioni caratterizzate da incertezza non rende immuni da risultati disastrosi. Con questo non intendo sostenere che non si debbano usare metodi quantitativi in finanza, ma che debbano essere usati senza mai dimenticarne i limiti quando applicati in ambiti in cui è determinante l’azione umana. Tutto ciò dovrebbe essere spiegato in modo molto chiaro ai risparmiatori, ma i fautori degli scenari probabilistici non lo fanno (a sufficienza).

Se a questo si aggiunge che ancora oggi molti modelli sono basati sull’idea che i rendimenti futuri di un titolo siano rappresentabili mediante una distribuzione normale, ci si rende conto della assoluta necessità di specificare le assunzioni alla base del calcolo dei rendimenti attesi e delle probabilità a essi associati, nonché della pericolosità di introdurre concetti statistici “un tanto al chilo” quando si parla a soggetti non sufficientemente esperti.

L’idea, poi, che i rendimenti attesi dello strumento debbano essere paragonati a quelli di un titolo privo di rischio, può indurre il lettore a ritenere che esistano titoli privi di rischio. Convenzionalmente sono considerati tali i titoli di Stato a breve termine, ma neppure loro sono effettivamente del tutto privi di rischio, a maggior ragione laddove l’emittente sia molto indebitato.

In definitiva, io credo che le virtù taumaturgiche degli scenari probabilistici siano ampiamente sopravvalutate e rischino di fornire informazioni non meno fuorvianti degli scenari what if.

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