In Anti & Politica, Economia

DI GIOVANNI BIRINDELLI

Le differenze fra il “vecchio” totalitarismo (per esempio quello dell’Italia fascista) e quello nuovo (per esempio quello dell’Italia repubblicana) possono essere cercate su due piani diversi: da un lato il piano astratto, per esempio in relazione alle idee astratte di legge, di uguaglianza davanti alla legge e di certezza della legge su cui essi si basano; dall’altro il piano delle loro conseguenze particolari o materiali.

Sul primo piano, quello astratto, le differenze fra il vecchio totalitarismo e quello nuovo sono inesistenti: entrambi infatti si basano sulla stessa idea astratta di “legge”, di “uguaglianza” davanti alla “legge”, e di “certezza della legge”.

In entrambi i totalitarismi infatti la “legge” è intesa come provvedimento particolare, come espressione della volontà di chi ha il potere di adottarlo. In base a questa idea, la “legge” è dipendente dall’autorità che deve farla e di conseguenza non c’è distinzione fra potere politico e potere legislativo.

Dall’identità dell’idea di “legge” derivano necessariamente le identità di tutti gli altri concetti astratti su cui il totalitarismo vecchio e quello nuovo si basano, come ad esempio quella dell’idea di “uguaglianza” davanti alla “legge” (l’uguaglianza davanti a un provvedimento particolare può comprendere la disuguaglianza legale, cioè il trattamento diverso dei cittadini da parte dello stato ma uniforme all’interno delle categorie arbitrarie all’interno delle quali questo li ha raggruppati: vedi discriminazione degli ebrei nel primo caso o dei “ricchi” nel secondo) e quella di “certezza” della “legge”, la quale sia nel totalitarismo vecchio che in quello nuovo è intesa come precisione (Leoni).

Questa assoluta e totale identità sul piano astratto fra totalitarismo vecchio e nuovo porta Oakeshott a formare una parola sola per entrambi: telocrazia (da telos: fine, scopo). Sia nel vecchio totalitarismo che nel nuovo al centro di tutto c’è infatti la volontà di chi detiene il potere politico illimitato e quindi gli scopi particolari e arbitrari in funzione dei quali questo viene esercitato.

Nel fatto che, a differenza del vecchio totalitarismo, il nuovo è “democratico” alcuni vedono non solo una differenza fra i due sul piano astratto ma addirittura la prova che il nuovo totalitarismo non sarebbe tale in quanto totalitarismo e “democrazia” sarebbero due concetti incompatibili l’uno con l’altro.

Se alla parola “democrazia” si dà il significato distorto che purtroppo oggi le viene dato quasi universalmente, e cioè la si identifica con quel sistema politico basato sulla regola della maggioranza (eventualmente rappresentativa), allora questo è un grossolano errore. Non solo infatti la “democrazia” così intesa è perfettamente compatibile col totalitarismo ma la sua presenza non produce affatto una differenza sul piano astratto fra vecchio e nuovo totalitarismo: «Devo ammettere francamente che se per democrazia si intende il governo in base alla volontà illimitata della maggioranza io non sono un democratico» scriveva Hayek che è stato costretto a inventare una parola di sana pianta (“demarchia”) per distinguere la democrazia nel suo significato originario dalla “democrazia” per come viene intesa oggi, cioè come governo in base alla volontà illimitata della maggioranza.

La caratteristica distintiva del totalitarismo è infatti l’illimitatezza del potere politico o, il che è lo stesso, l’assenza di limiti non arbitrari a questo potere. Che il potere in questione sia quello di un singolo, quello di una maggioranza rappresentativa o quello della maggioranza delle persone è del tutto irrilevante. Se chi detiene il potere politico, chiunque esso sia, ha il potere di rendere il furto o la persecuzione legali, o, ancora peggio, di renderli legali nei casi particolari da esso arbitrariamente stabiliti, allora si è in una situazione di totalitarismo. Il punto non è chi comanda (se Hitler, Mussolini, Stalin, la maggioranza rappresentativa o il “popolo”) ma quali sono i limiti al suo potere (Popper). Laddove a essere sovrano è il dittatore, il parlamento o il “popolo” non c’è libertà (intesa come quella condizione in cui la coercizione di alcuni da parte di altri è ridotta il più possibile e quindi in cui essa è stabilita in modo non arbitrario) ma schiavitù. Si ha libertà solo laddove a essere sovrana è la Legge intesa, non come provvedimento particolare espressione della volontà di chi ha il potere di imporlo, ma come principio astratto il quale, essendo il risultato di un millenario processo di selezione culturale di usi e convenzioni di successo, è indipendente dalla (e limite invalicabile alla) volontà di chiunque, “popolo” e parlamento compresi: laddove la funzione legislativa è delegata al parlamento «possiamo avere o un parlamento libero o un popolo libero, non tutti e due insieme» (Hayek).

Se la Legge viene intesa in questo senso originario e opposto a come viene abitualmente intesa oggi, il legislatore non è un costruttore che ha il potere di prendere decisioni particolari in base alla sua volontà ma un archeologo che deve scoprire, custodire e difendere un reperto archeologico che esiste indipendentemente da lui e dalla sua volontà.

Una volta intesa la Legge in questo modo, cioè nel senso originario del termine, la parola “democrazia” non può più indicare quel sistema politico basato sulla “legge” intesa come decisione della maggioranza ma deve necessariamente indicare quel sistema politico basato sullo sforzo costante e massimo possibile di ridurre il più possibile il ricorso a decisioni prese a maggioranza (alle cosiddette decisioni di gruppo o collettive) o, il che è lo stesso, quel sistema politico in cui queste decisioni sono altra cosa rispetto alla (e sono limitate dalla) Legge, la quale può essere scoperta, custodita e difesa come un reperto archeologico ma non può essere “fatta” più di quanto possa essere “fatto” un albero.

Per colui che sostiene (o che dà per scontata) l’idea di “democrazia” corrispondente alla “legge” intesa come decisione della maggioranza, se quest’ultima decidesse il colore di abiti che egli deve indossare allora egli sarebbe necessariamente obbligato a riconoscere questa decisione come “democratica”. Chi invece sostiene l’idea di democrazia corrispondente alla Legge intesa come principio riconoscerebbe questa decisione della maggioranza come anti-democratica. Per il primo, infatti, una decisione è “democratica” se è presa dalla maggioranza legalmente costituita e in base alle procedure burocratiche previste; per il secondo, una decisione presa dalla maggioranza è democratica se è inevitabile e se è distinta e limitata dalla Legge intesa come principio astratto e quindi esistente indipendentemente dalla volontà della maggioranza.

Rispetto alla “legge” intesa come provvedimento, alla Legge intesa come principio corrisponde non soltanto una diversa idea di democrazia ma soprattutto una diversa idea di Uguaglianza davanti alla Legge (che viene intesa come uguaglianza di tutti davanti a un principio astratto, senza che l’autorità, chiunque essa sia, abbia il potere di dividere i cittadini in categorie arbitrarie in base a un parametro di sua scelta e di trattare essi in modo diverso ma uniforme all’interno di ciascuna di queste categorie) e di Certezza della Legge (intesa non come precisione ma come impossibilità che la Legge cambi dall’oggi al domani, per esempio in base alla volontà dell’autorità).

Se dunque su un piano astratto il vecchio totalitarismo e quello nuovo sono assolutamente identici e ugualmente antitetici alla società libera, sul piano delle conseguenze particolari e materiali, invece, essi sono evidentemente molto diversi fra loro. È indiscutibile per esempio (e in primo luogo) che la violenza fisica prodotta dal nuovo totalitarismo sia molto meno estrema di quella prodotta dal vecchio: nel primo caso lo stato ruba a particolari minoranze una parte consistente della loro proprietà e, ricorrendo alla minaccia della violenza, pone limiti illegittimi e arbitrari all’utilizzo della parte di proprietà che decide di non rubare; nel secondo caso esso ruba a particolari minoranze la totalità delle loro proprietà e soprattutto le rinchiude (o le consegna a chi le rinchiude) in campi di concentramento, le tortura e infine le uccide nel modo più disumano.

Questa e altre differenze nelle conseguenze particolari e materiali delle due forme di totalitarismo, in cui quello nuovo è effettivamente (molto) “meno peggio” di quello vecchio, non devono tuttavia offuscare altre differenze, sempre sul piano delle conseguenze particolari, in cui invece il totalitarismo nuovo è ancora peggiore di quello vecchio.

Una di queste è il fatto che, più di quanto avveniva nel vecchio totalitarismo, nel nuovo molto spesso le vittime delle discriminazioni arbitrarie da parte dello stato sono convinte che tali discriminazioni siano giuste o che comunque vadano rispettate in quanto sono “democratiche” e avvengono “per legge”. L’ebreo rinchiuso nel campo di concentramento non aveva il minimo dubbio che la sua condizione fosse illegittima, mentre, tanto per fare un esempio, in molti casi il “ricco” a cui lo stato oggi ruba una fetta consistente e maggiore che ad altri della sua proprietà (e addirittura progressivamente maggiore che ad altri) ritiene che questo sia giusto.

Le ragioni che stanno alla base di questo stato confusionale di coloro che sono discriminati dal totalitarismo (e in particolare da quello nuovo) sono molteplici. Fra queste, tuttavia, una secondo me ha particolare importanza. Questa ragione, la quale è stata messa in evidenza da De Bellis nel suo bell’articolo di qualche giorno fa su questo sito (“I padroni delle parole”), è che il nuovo totalitarismo invece che asservire le persone direttamente e per così dire “dall’esterno” le ha asservite “dall’interno” cambiando il significato delle parole. Cambiando per esempio il significato della parola “legge” (che da limite al potere arbitrario è diventata strumento di potere arbitrario) il nuovo totalitarismo è riuscito a usare l’onestà delle persone, il loro rispetto per la Legge, il loro essere persone perbene, come strumento di auto-asservimento e allo stesso tempo di isolamento dei difensori della libertà che in base al nuovo significato delle parole sarebbero dei sovversivi («I nemici della libertà hanno sempre accusato di sovversivismo i difensori di essa, e sono quasi sempre riusciti a persuadere gli ingenui e i benpensanti», Popper). È bastato mettere l’etichetta del miglior vino su una bottiglia del peggior veleno perché le persone se la scolassero senza lasciarne una goccia.

Una seconda conseguenza particolare rispetto alla quale il nuovo totalitarismo è molto peggiore del vecchio riguarda per così dire la produzione di anticorpi. Il vecchio totalitarismo, essendo dichiarato e contrastando apertamente l’ideale di libertà e i concetti astratti che vi stanno alla base, ha necessariamente prodotto delle reazioni sia al suo interno che all’esterno che alla fine lo hanno abbattuto. Il nuovo totalitarismo si è evoluto, ha imparato dai suoi errori: come il virus HIV esso ha distrutto le difese immunitarie dell’organismo. Uno dei modi in cui è riuscito a farlo è stato, come è stato accennato sopra, stravolgere il significato delle parole, ma ci sono altre ragioni di questo successo altrettanto importanti. Una è quella che forse si può chiamare la tecnica del “mattone per mattone”: il nuovo totalitarismo ha capito che l’idea di “legge” su cui esso (così come il vecchio totalitarismo) si basa (la “legge” intesa come provvedimento particolare) non rende necessario contrastare apertamente i concetti astratti che stanno alla base della libertà (cosa che alla lunga produce gli anticorpi) ma consente invece di smontarli piano piano dall’interno, “mattone per mattone” appunto, silenziosamente e di nascosto. Lo stato moderno non contrasta apertamente il principio di uguaglianza davanti alla legge per esempio (anzi proclama in pompa magna di essere fondato sulla sua difesa), ma piano piano lo viola in sempre più misure e provvedimenti particolari, ognuna delle quali, se presa singolarmente, è troppo “piccola” per suscitare attenzione in molti, finché di quel principio non rimane che il nome, come di un palazzo di cui non rimane che la facciata esterna. Bombardandolo e imbrigliandolo con una pioggia di piccoli provvedimenti particolari, il totalitarismo in generale (e quello nuovo ancora più del vecchio) è riuscito a ridurre l’individuo all’inerzia intellettuale, a essere una semplice batteria della macchina-stato (immagine a cui, ben prima del film The Matrix, era ricorso Ortega y Gassett in The Revolt of the Masses). Come scrive in modo sublime Tocqueville: «Dopo avere preso a volta a volta nelle sue mani potenti ogni individuo ed averlo plasmato a suo modo, il sovrano [nel senso dell’autorità, il potere supremo] estende il suo braccio sull’intera società; ne copre la superficie con una rete di piccole regole complicate, minuziose e uniformi, attraverso le quali anche gli spiriti più originali e vigorosi non saprebbero come mettersi in luce e sollevarsi sopra la massa; esso non spezza le volontà, ma le infiacchisce, le piega e le dirige; raramente costringe ad agire, ma si sforza continuamente a impedire che si agisca; non distrugge, ma impedisce di creare; non tiranneggia direttamente, ma ostacola, comprime, snerva, estingue, riducendo infine la nazione a non essere altro che una mandria di animali timidi e industriosi, della quale il governo è il pastore. Ho sempre creduto che questa specie di servitù regolata e tranquilla, che ho descritto, possa combinarsi meglio di quanto si immagini con qualcuna delle forme esteriori della libertà e che non sia impossibile che essa si stabilisca anche all’ombra della sovranità del popolo».

Un ultimo aspetto particolare rispetto al quale il nuovo totalitarismo è peggiore del vecchio consiste nel fatto che il nuovo si sta globalizzando. Già cinquant’anni fa Leoni osservava che: «la common law dei paesi anglosassoni e le corti di giustizia ordinarie stanno costantemente perdendo terreno a favore della legge scritta e delle autorità amministrative». I paesi anglosassoni quindi, quelli in cui i concetti di Legge, di Uguaglianza davanti alla Legge e di Certezza della Legge che stanno alla base della Libertà furono introdotti e difesi con successo e quelli la cui reazione è stata determinante nel contrastare e sconfiggere il vecchio totalitarismo, stanno così gradualmente e progressivamente sostituendo la Legge con la “legge” intesa come provvedimento. Questa globalizzazione del nuovo totalitarismo rende sicuramente più difficile la reazione e la resistenza intellettuali (le uniche forme di reazione e resistenza che hanno senso contro il nuovo totalitarismo).

In conclusione, il vecchio e il nuovo totalitarismo sono assolutamente identici sul piano astratto e necessariamente molto diversi sul piano delle conseguenze particolari e materiali. Se sotto l’aspetto della violenza fisica, per esempio, il vecchio totalitarismo è incomparabilmente peggiore del nuovo, sotto altri aspetti, sempre relativi alle conseguenze particolari e materiali, il nuovo è tuttavia peggiore: esso è fisicamente meno violento ma è penetrato più in profondità, ha addomesticato la mente e lo spirito delle persone, ha abbattuto le loro capacità di resistenza intellettuale, si sta globalizzando e quindi durerà molto più a lungo. Ma è possibile reagire e resistere favorendo la ricrescita degli anticorpi, facendo riconoscere alle persone le idee di Legge, di Uguaglianza davanti alla Legge, di Libertà e di democrazia che esse quasi sempre, seppur spesso inconsapevolmente, hanno dentro di loro anche se soffocate da quelle inverse loro imposte dal potere politico per asservirle col minor sforzo possibile.

 

Recommended Posts
Showing 68 comments
  • Mauro

    che gli Dei benedicano Giovanni Birindelli
    e un caro saluto agli amici libertari

    • leonardofaccoeditore

      Un abbraccio

  • Alessandro Colla

    E’ interessante, a volte, rileggere anche vecchi commenti. Come quello di chi ci voleva far credere che nell’Inghilterra delle associazioni volontarie le persone morissero di fame. Certo, c’era chi pativa la fame e proprio verso quelle persone il volontariato accorreva e funzionava. Ma ci si voleva far credere anche che qualcuno “capì” che la solidarietà doveva essere imposta. Per eliminare, si dice, la violenza. A parte che l’imposizione è già di suo un atto violento e quindi si vuole sostituire un tipo di violenza con uno di altro tipo. In realtà lo stato e le imposizioni in genere non fanno altro che aumentare la violenza. Oltre a quella privata c’è anche quella pubblica. Quest’ultima produce malcontento continuo e maggiore impoverimento. Con maggiore impoverimento, è scontato che ci sia più violenza; e infatti così fu in Inghilterra, in Baviera, in Prussia, in Italia e da qualsiasi altra parte. Ma basta negarlo per giustificare le proprie tendenze totalitarie. O per illudersi che imponendo di finanziare il povero ci guadagnino anche i ricchi perché poi i poveri spendono e quindi i ricchi ci riguadagnano. Insomma una presa in giro, mascherata da partita di giro. Se io e il fornaio siamo costretti a finanziare il povero, quest’ultimo spenderà probabilmente dal fornaio ma non da me. Perché tutti i produttori finanziano il povero ma lui non spenderà mai in tutti i settori. Se aiutato dai volontari, forse spenderà lo stesso dal fornaio e non da me ma né io né il fornaio abbiamo subìto tassazioni. E non è l’unico argomento a sfavore della progressività o dell’imposizione fiscale in sé. Senza fisco i poveri sarebbero molto meno, verrebbero aiutati volontariamente e spenderebbero arricchendo qualcuno. E nessuno dei potenziali qualcuno sarebbe costretto a chiudere l’attività per colpa dell’imposizione che piace tanto a qualcun altro. Ma la spocchia non muore mai: si sa, noi a questo “capire” il valore dell’imposizione “non ci siamo ancora arrivati”. Il guaio degli allocchi è sempre quello di credersi più intelligenti degli altri. Quando basta l’aritmetica per smentirli, anche prima della storia.

  • Alessandro Catanzano

    Ciao Giovanni, su questo argomento, da un punto di vista evidentemente diverso, ci sono La nascita della Biopolitica di Foucault e Impero di Toni Negri.

    un caro saluto
    Alessandro Catanzano

  • Mauro Gargaglione

    Caro Giovanni,

    premettendo che ogni parola che dici e scrivi è di una profondità non comune (non sto dicendo che è Verbo, intendo dire che prima di sostenere idee in contraddizione con le tue bisogna aver perfettamente compreso il tuo punto di vista, e questo sforzo di comprensione lo si deve solo alle persone che lo meritano, altrimenti si sprecheremmo tempo di vita a smontare montagne di sciocchezze degli stupidi), volevo suggerire una riflessione sul “bene comune”.

    Saper leggere e scrivere è un bene che da molti è definito tipicamente un bene comune. Seguendo questa logica allora aver fatto le scuole superiori è un “meglio comune” ed essere laureati è un “ancora meglio comune”. Col che si dimostra che il bene comune è un concetto senza senso logico che però ha la caratteristica, utilissima per i politici in cerca di consenso, di poter essere riempito di qualunque cosa.

    Ad esempio possiamo dire che compito del governo è garantire il diritto alla casa perchè la casa è un bene comune. Se poi ha l’ascensore è un “meglio comune”, un garage, un “ancora meglio comune” etc. etc.

    L’osservazione dell’evoluzione delle società umane negli ultimi duecento anni ci pone di fronte a popoli ricchi, dove case, ascensori, scuole, lauree, bistecche, televisori, viaggi aerei, cultura, teatro, libri, insomma, tutto quello che possiamo definire beni, sono accessibili da milioni di cittadini (anche se non tutti), e popoli poveri, o più poveri, in cui questi beni sono appannaggio di pochi (o di meno individui).

    Laddove i governi hanno lasciato maggiormente libere le persone di perseguire il loro “personale” concetto di bene (“ogni uomo ha il diritto alla ricerca della felicità”, che non è quello di trovarla), limitandosi a sorvegliare che i prepotenti non facessero violenza al prossimo e poco altro di più, il “bene comune”, inteso come sconfitta della miseria, dell’ignoranza e delle privazioni, si è affermato molto di più che nei paesi governati da leggi e governi che hanno posto “il bene comune” (da definirsi con … “successive circolari esplicative”) come missione.

    Lo so che l’utilitarismo ti infastidisce, ma anche dalla prospettiva utilitaristica “sociale”, le società che meno si sono poste l’obiettivo di favorire il bene comune sono quelle che lo hanno realizzato maggiormente.

    Quindi se volessi dare una definizione di bene comune, l’unica che può stare in piedi, lo definirei come la tutela e la garanzia assoluta e immodificabile, valida per ogni essere umano, del principio di non aggressione. Che, guarda caso, è la pietra fondante dell’ideale libertario.

    • Giovanni Birindelli

      Caro Mauro,

      grazie del commento a questo articolo quasi ‘antico’. ‘Antico’ sia in termini assoluti che relativi. Assoluti, perché lo scrissi prima di conoscere Bitcoin. Relativi, perché quando lo scrissi non ero ancora anarco-capitalista (o meglio, lo ero in astratto, ma non in concreto).

      Capisco il tuo punto di vista sul ‘bene comune’. Da un punto di vista pratico-scientifico, lo condivido, nel senso che la Scuola Austriaca di economia ha dimostrato scientificamente che quanto più il principio di non aggressione (e quindi il libero mercato) viene rispettato e difeso, tanto maggiore e più diffusa sarà la prosperità.

      Tuttavia, io sono contrario proprio al concetto astratto di ‘bene comune’ in quanto tale. Con questo voglio dire che se, per assurdo, il rispetto del principio di non aggressione (magari in alcuni casi particolari) producesse miseria invece che prosperità, questo dovrebbe comunque essere rispettato e difeso.

      In altre parole, la teoria soggettiva del valore (cioè di ciò che è ‘bene’) ci dice che esiste solo il bene individuale. Il bene comune non esiste. Il rispetto e la difesa del principio di non aggressione favorisce la prosperità e la sua diffusione. Ma questa è un’altra cosa.

      Con amicizia e stima,

      Giovanni

  • ymmortale

    Caro Sign. GIOVANNI BIRENDELLI (se mi consente questo termine), qui stanno succedendo delle cose gravissime e nessuno ne parla, possibile che il vostro giornale che seguo con molta attenzione non si sia accorto di questa Forza di polizia Europea e non ne abbia fatto parola? Andiamo oltre ogni ragionevole dubbio.
    Spero con tutto il cuore che tu mi smentisca ti mando un link ti Prego dimmi che mi sbaglio.
    http://www.altrenotizie.org/es
    Quello che mi chiedo è possibile mai che nessun giornale abbia riportato questa notizia? Ragazzi qui stiamo parlando di una forza di polizia (militare)che non può essere giudicata da nessun stato membro dell’Europa, e un fatto gravissimo non esiste in nessun altro stato una forza di queste dimensioni e con questi poteri.Voi dovete allertare la cittadinanza Italiana e gli altri paesi che ne fanno parte, provate a immaginare per un momento che gli italioti decidano di scendere in piazza pacificamente per protestare contro un governo…..questi arrivano sparano imprigionano persone e poi chissa cosa, (cosa che sta succedendo già oggi), figuriamoci con questi figuri che hanno pieni poteri e non devono giustificarsi con nessuno.Raga se fosse vero IO non voglio una forza di polizia di queste dimensioni e di questi poteri per i miei figli.SVEGLIATEVI CA..O.
    Vi chiedo gentilmente se fosse vero di fare un Articolo a Caratteri Cubitali grazie.

    • Antonino Trunfio

      la pagina del link è stata rimossa, almeno oggi che leggo questo commento di Ymmortale

  • Michele Biasi

    Antonio, una domanda e una osservazione:
    1) cosa intende esattamente lei per libera competizione?
    2) a quanto mi risulta la legge provvedimento è tipica delle società chiuse nel senso di quelle società relativamente ristrette (come tribù) i cui componenti vivono tutti esperienze molto simili tra loro ed è dunque molto probabile che essi abbiano le stesse opinioni, credenze e fini. Il diritto (se così si può chiamarlo), in queste società, consiste di comandi particolari più che di principi astratti e generali. Questi ultimi li ritroviamo subito in quelle società che si aprono al commercio con gli stranieri (portatori di visioni del mondo differenti). Lo svolgersi dei rapporti tra questi necessita di regole che possano essere accettate da entrambi e che dunque non possono avere un fine preciso ma solo essere principi di carattere astratto e generale che dubito possano formarsi con il ripetersi delle cosiddette leggi provvedimento(cioè leggi che riguardano situazioni e soggetti particolari).
    Ma forse lei quando dice legge provvedimento si riferisce ai casi da cui ha origine il principio piuttosto che a provvedimenti riferentesi a situazioni e soggetti particolari come comandi?
    So di non essere staro chiarissimo ma ci lavorerò.

    • andrea

      A proposito del dibattito sulla tassazione progressiva(che non significa aumentare la pressione fiscale media che in Italia è spropositata e anche secondo me andrebbe ridotta drasticamente. Ma significa distribuire il carico fiscale in maniera proporzionale alla ricchezza posseduta, o al reddito annuo: cioè abbassare le imposte sullo scaglione più basso, e su quelli intermedi, ed alzarle sugli scaglioni più alti. Ad esempio si potrebbe far pagare il 10% fino a 20mila euro/anno, il 20% fino a 50 mila, il 30% fino a 70mila, il 35% fino a 100mila, il 40% fino a 500mila , il 50% fino a 1milione, il 60% fino a 5milioni, il 70% oltre 5 milioni e così via….ovviamente le cifre sono buttate lì un po’ a caso, servono solo come esempio) riporto questa interessante citazione di Einaudi:
      “L’uomo della strada, l’uomo comune – afferma Einaudi – sa che la tirannia è vicina quando esiste una disparità notevole nelle fortune e nei redditi dei cittadini, sicché accanto a pochi ricchissimi si osservino moltitudini di nullatenenti e non esista un numeroso e prospero ceto medio; sì che il tiranno può venire fuori sia dai pochi desiderosi di disporre di uno strumento della propria dominazione economica, sia dai molti ai quali il demagogo ambizioso di conquistare il potere assoluto prometta il saccheggio delle ricchezze dei pochi. Egli sa che la tirannia è vicina ed anzi è già quasi in atto quando lo stato abbia cresciuto siffattamente i suoi compiti … Perciò l’uomo della strada, nemico del tiranno e desideroso di vivere liberamente così come piace all’uomo comune … aborre dai tipi di società i quali si avvicinano al punto critico”
      Secondo Einaudi la Tirannia non è solo nello strapotere dei politici, e delle istituzioni statali, ma si vengono a creare situazioni di ingiustizia simili, anche quando le disparità economiche diventano enormi e spropositate, e viene ad estinguersi il cosiddetto CETO MEDIO!

    • antonio

      1) per le definizioni mi attenevo a quelle del birindelli
      2) se studiamo etnologia, vediamo che anche le società “tribali” hanno le loro “leggi-principio”. ad esempio le regole sessuali o matrimoniali o di eredità.
      birindelli definisce la legge principio come “risultato di un millenario processo di selezione culturale di usi e convenzioni di successo”… ma un giorno qualcuno si sarà pure assunto il ruolo di decretare questo successo… secondo me invece un giorno questi usi e convenzioni sono stati IMPOSTI da qualcuno come legge provvedimento, poi dopo secoli di ripetizione da coatti sono diventati di ampia accettazione e la gente non sente più l’originaria coazione. questo avviene soprattutto per le regole imposte con la violenza: a furia di prendere schiaffi finisci per amare sia il contenuto che il veicolo della prescrizione (meccanismo psicologico dell’identificazione).
      è probabile che proprio le regole che oggi ci sembrano più normali (al punto di manco sentirle come regole) siano proprio quelle in passato imposte con più violenza. ma se fu necessaria più violenza significa anche che erano le più innaturali.

  • antonio

    ognuno ha i suoi convincimenti MORALI (ovvero frutto di scelte arbitrarie di natura “estetica”). ma secondo me è meglio essere realisti.
    1) la libera competizione… supponiamo una finale dei 100m in cui bolt parta con una palla di piombo al piede… è libera competizione? siccome io credo che le capacità di una persona siano condizionate dalla genetica e dall’ambiente, condizioni economiche disagiate, in un sistema liberista, possono fungere da palla al piede nell’accedere all’istruzione, dopando la libera competizione.
    2) la legge come principio è tale oggi, ma quando fu istituita era legge-provvedimento. la massa in sequenza di leggi-provvedimento causano dinamicamente il lento e progressivo evolvere della legge-principio.

    • andrea

      Vedo che più o meno la pensiamo allo stesso modo, non ci può essere vera competizione e meritocrazia, senza pari opportunità. Adesso i libertari obietteranno, giustamente, che le pari opportunità sono una chimera quasi praticamente irraggiungibile a questo mondo….VERO, impossibile negarlo, ma questo non significa che comunque bisogna rinunciare a rimuovere quegli ostacoli di natura economica e sociale, sui quali si può facilmente intervenire!
      Insomma le pari opportunità perfette, non ci saranno mai, ma non è che per questo si deve rinunciare ad esempio a finanziare gli studi ai ragazzi più poveri, concedere borse di studio universitarie ai meritevoli, o finanziare coi soldi pubblici asili nido gratuiti, per permettere alle mamme di lavorare ed essere più indipendenti economicamente ecc….insomma ci sono ostacoli alla libertà e alla fruizione concreta di diritti umani, che lo stato può rimuovere, senza danneggiare nessuno(tassare chi ha redditi molto alti, non lo considero un vero danno. Se a uno che guadagna 2 milioni di euro l’anno, gli tolgo il 50-60% può ugualmente vivere alla grande! Tassando soprattutto i redditi molto alti, e detassando i redditi medi e bassi, si evita solo l’eccessivo accentramento e accumulazione di risorse in poche mani), e secondo me è giusto che lo faccia!
      Anche la giustizia è imperfetta, ma questo non significa che sarebbe meglio chiudere i tribunali, le forze di polizia, e abolire tutte le leggi….anche l’imperfetta giustizia italiana, è sempre meglio della giustizia fai da te.

    • andrea

      Anche Luigi Einaudi, LIBERALE ma non libertario, scriveva:
      “Possiamo e perciò dobbiamo far sì che il mercato utilizzi le sue buone attitudini a governare la produzione e la distribuzione della ricchezza entro certi limiti, che noi consideriamo giusti e conformi ai nostri ideali di una società, nella quale tutti gli uomini abbiano la possibilità di sviluppare nel modo migliore le loro attitudini, e nella quale, pur non arrivando alla eguaglianza assoluta, compatibile solo con la vita dei formicai e degli alveari – che per gli uomini si chiamano tirannidi, dittature, regimi totalitari – non esistano disuguaglianze eccessive di fortune e di redditi.”
      “Perciò noi dobbiamo darci buone leggi, buone istruzioni, creare un buon sistema di istruzione accessibile e adatto alle varie capacità umane, creare buoni costumi. Dobbiamo perciò cercare di essere uomini consapevoli, desiderosi di venire illuminati e di istruirci e dobbiamo, in una nobile gara, tendere verso l’alto. Il mercato, che è già uno stupendo meccanismo, capace di dare i migliori risultati entro i limiti delle istituzioni, dei costumi, delle leggi esistenti, può dare risultati ancora più stupendi se noi sapremo perfezionare e riformare le istituzioni, i costumi, le leggi, entro le quali vive lo scopo di toccare più alti ideali di vita. Lo potremo se vorremo”

      Insomma anche i liberali più lungimiranti, e che considerano importante il valore della giustizia sociale, sono lontani anni luce dall’anarco-capitalismo libertario, e dalla Scuola Austriaca(la Bibbia dei libertari)

  • Giovanni Birindelli

    Sul punto dell’avvocato sono d’accordo con lei, ma le tasse che finanziano l’avvocato di chi non può permetterselo, avendo a che fare con il giusto processo e quindi con la Legge intesa come principio (il fatto che il processo non è giusto senza difesa è un fatto indipendente dalla volontà di chiunque), le faccio rientrare nella coercizione del primo tipo (vedi sopra) e quindi le ritengo giustificate.

    Quanto al cosiddetto “diritto allo studio” io non lo considero un diritto in quanto ritengo che gli unici diritti che hanno le persone sono che non sia violata la Legge intesa come principio, cioè come regola di giusta condotta individuale o, in altri termini, come regola di comportamento che mi vieta di compiere certe azioni perché ingiuste (tipo rubare).

    L’idea di “diritto” intesa come possibilità di fare determinate cose o di accedere a determinati beni e servizi è corrispondente a un’idea di “legge” diversa (la “legge” intesa come provvedimento) e di conseguenza a una diversa idea di “uguaglianza” davanti alla “legge” (quella compatibile con la disuguaglianza legale e quindi con l’apartheid). Quindi non condivido questa idea di “diritto”, la quale in definitiva non è altro che una lista arbitraria di possibilità che i collettivisti vogliono garantire a tutti. E l’uguaglianza di possibilità, così come la cosiddetta “uguaglianza di opportunità” quando questa viene intesa come possibilità da parte di tutti di accedere a determinati beni o servizi, non è altro che una forma di uguaglianza di situazione materiale nel senso che implica un trasferimento di risorse materiali (soldi) da chi ne ha di più a chi ne ha di meno (mentre l’Uguaglianza davanti alla Legge, pur consentendo, per fortuna, tutte le possibili disparità in merito alle diverse legittime situazioni in cui possono trovarsi le persone, non implica nessun trasferimento di risorse materiali ma solo il rispetto della Legge intesa come principio e quindi dei legittimi diritti di proprietà).

    Ritengo tuttavia che ci sia una differenza fra il caso dell’educazione di base e quello della laurea che lei cita. Il primo potrebbe rientrare nei bisogni di base (bisogni la cui incapacità di soddisfare è un male non arbitrariamente definito) e quindi le tasse per aiutare coloro che non possono permettersi questa educazione potrebbero rientrare nel secondo tipo di coercizione (vedi sopra) e quindi, anche se illegittima, a certe condizioni ammissibile dal mio punto di vista.

    Viceversa per quanto riguarda la laurea a cui lei si riferisce, ritengo che le tasse per garantirla a chi non può permettersela siano non solo una forma di coercizione illegittima (un furto) ma anche inammissibile (terzo tipo di coercizione). Infatti non si può sostenere che il non laurearsi sia un male non arbitrariamente definito, cioè che la laurea sia un bisogno di base (un bisogno rispetto alla soddisfazione del quale sia irragionevole supporre che esistono differenze significative fra le persone circa le loro preferenze e il loro ordine di priorità). Le tasse per garantire a tutti l’università sono quindi una forma di uguaglianza di situazione materiale (non nel senso che implicano una uguaglianza di reddito fra le persone ma nel senso che, rispetto allo studio universitario, le persone devono tutte avere la stessa possibilità materiale di accedervi) e di conseguenza, essendo questa una violazione dell’Uguaglianza davanti alla Legge, una forma di totalitarismo.

    Data la differenza di preferenze e di priorità fra le persone in merito alla desiderio di compiere gli studi universitari, garantire a tutti la possibilità di fare questi studi se vogliono equivale in tutto e per tutto (sul piano astratto) a garantire a tutti la possibilità di viaggiare per un equivalente intervallo di tempo se vogliono: ci sono persone che preferiscono la prima forma di apprendimento e altre che preferiscono la seconda e altre (la maggioranza) che preferiscono nessuna delle due. Scegliere alcune fra le infinite preferenze e sulla base di questa ricorrere alla coercizione è, ripeto, totalitarismo.

    • andrea

      Secondo me la laurea non è un diritto di TUTTI, ma semplicemente una possibilità che non dovrebbe essere esclusivamente vincolata dalle possibilità di carattere economico.
      Mi spiego, lo stato ad esempio potrebbe finanziare alcuni corsi di laurea, tramite borse di studio A NUMERO CHIUSO, concesse tramite esame di ammissione, in base alla domanda reale sul mercato del lavoro dei vari corsi di studio. Solo chi ottiene i punteggi più alti negli esami di ammissione(cioè i più meritevoli), avrebbero diritto all’università gratis!
      In fondo non sarebbero soldi regalati, perché è dimostrato che esiste una correlazione tra crescita economica e livello di istruzione, formazione e specializzazione più elevato. Insomma se si vuole un’industria tecnologicamente sviluppata, bisogna investire anche sulla formazione, quindi lo studio universitario SERIO(quindi a meno che non si tratti di cazzatelle tipo scienze della comunicazione), non è paragonabile a un viaggio di piacere!
      E non è un caso che i paesi emergenti come Cina e India, investono tantissimo nella formazione di ingegneri, scienziati e tecnici altamente specializzati….NON LO FANNO PER ALTRUISMO, O PER COLLETTIVISMO

    • andrea

      Insomma, pagare gli studi alle menti migliori, lo vedo più come un investimento, che come un regalo, o una pretesa collettivista….e investire sulla formazione tecnico-scientifica, e sulla specializzazione, alla lunga ripaga tutti, perché consente uno sviluppo e un miglioramento delle imprese, soprattutto ad alta tecnologia. E uno dei problemi dell’Italia è anche quello di avere troppe imprese sottosviluppate, che non crescono, e non investono in sviluppo…se i privati sono miopi e incapaci, meglio che intervenga lo stato!

      • antonio

        d’accordo con andrea.
        l’università a pagamento risponde ai criteri libertari ma è inefficiente, in quanto non è detto che chi ha i soldi coincida con chi ha capacità.
        sono anche contrario all’università gratis per tutti, se uno non ha particolari capacità ma vuole migliorare la sua cultura lo può fare da autodidatta.

        circa i “diritti”, per me se andiamo al nocciolo, non esiste nessun diritto. se non esiste diritto allo studio non esiste manco diritto alla proprietà e manco alla vita: da che mondo è mondo esiste il furto e l’omicidio e non sempre sono “male”.
        qualsiasi “diritto” è il frutto di decisioni arbitrarie, convenienze politiche.
        se tu padrone ti accaparri tutto il capitale disponibile e poi dall’alto di questa posizione di potere puoi permetterti di imporre a me salari da fame “liberamente contrattati”, e poi manco mi dai sanità e istruzione gratis, io mi ARROGO tutto il diritto di rubare ed eventualmente anche uccidere o fare la rivoluzione.

      • Giovanni Birindelli

        Io potrei anche concordare con lei che, in alcuni casi, ricorrere alla coercizione illegittima (cioè al furto e alla violenza) per pagare gli studi alle “menti migliori” (come si può sapere “a priori” quali sono le menti migliori per me è un mistero: cosa era capace di fare Steve Jobs lo si è potuto capire solo dopo che lo ha fatto: è la funzione del mercato, cioè della libera competizione, quella di selezionare le “menti migliori”, o più correttamente le persone che sono in grado di apportare maggior valore; ma lasciamo stare questa questione e ammettiamo pure) possa essere un buon investimento. Tuttavia, non essendo (al contrario di alcuni liberali e di alcuni libertari) un utilitarista, ritengo che il criterio in base al quale giustificare un’azione non sia il risultato che questa azione produce ma il fatto che l’azione rispetti o meno la Legge intesa come principio (vedi sopra), cioè la natura intrinseca dell’azione. Inoltre, la mia visione della società mi impedisce di essere d’accordo con il fatto che lo stato possa intervenire nell’economia (facendo investimenti qui e disinvestimenti là, incentivando questo e disincentivando quello, spendendo qui piuttosto che là), e quindi anche nella formazione, “per il bene di tutti”; essenzialmente per due ragioni: 1) ritengo che “il bene di tutti” non esista: cioè che esso sia un concetto arbitrario (vedi sopra) e 2) ritengo che uno stato che amministra le persone e la loro proprietà per il “bene di tutti” come il capo di un’azienda cooperativa amministra le risorse di quell’azienda per il bene di tutti i soci sia uno stato totalitario. Per dirla con Oakeshott, “Uno stato moderno è un policy state [uno stato la cui ragion d’essere è l’adozione di politiche particolari]; e questo, nella sua forma estrema, è un police state [uno stato di polizia]. Infatti quello che costituisce uno stato di polizia non è il ‘bussare alla porta’ (questo è un dettaglio minore), ma il fatto che un governo persegua delle politiche particolari in relazione ai suoi stessi cittadini”.

  • andrea

    X Giovanni B.
    “l secondo aspetto che le sfugge, e anche questo è un fatto non una mia opinione, è la distinzione fra uguaglianza di situazione materiale e uguaglianza davanti alla legge. Lei le vede come compatibili e perfino come sinonimi”

    Forse mi sono spiegato male, o forse sei tu che hai frainteso, ma non ho MAI DETTO CHE UGUAGLIANZA DAVANTI ALLA LEGGE, E’ SINONIMO DI UGUAGLIANZA MATERIALE.

    Casomai volevo dire che c’è una relazione tra condizioni materiali, diritti umani, e uguaglianza davanti alla legge. Cioè io posso anche scrivere su un pezzo di carta, che il diritto alla studio è un DIRITTO UMANO, ma se non ci fosse la scuola pubblica, e lo stato non finanziasse borse di studio, chi nasce in una famiglia povera NON AVREBBE NESSUN DIRITTO ALLO STUDIO…e anche oggi il diritto allo studio per i poveri, è parziale, nel senso che chi è davvero molto povero, ha meno probabilità di arrivare alla laurea(ovviamente intendo a parità di volontà e di talento)
    Stessa cosa per l’uguaglianza davanti alla legge, chi si trova al di sotto di una certa soglia economica, e non può permettersi un buon avvocato, ha molte più difficoltà di far valere i propri diritti, o di difendersi da un’accusa…specie se si trova in causa contro una persona molto più ricca, che può permettersi i migliori avvocati in circolazione.
    Quindi io non dico che per avere gli stessi diritti ed essere uguali davanti alla legge, dovremmo essere tutti economicamente uguali(cosa impossibile tra l’altro), NON SONO COMUNISTA, dico solo che chi si trova sotto una certa soglia economica (che varia da un paese all’altro, a seconda del costo della vita), di fatto NON HA DIRITTI( a meno che non ci sia l’intervento redistributivo dello stato), e DAVANTI ALLA LEGGE NON E’ UGUALE A UN MILIONARIO.
    Insomma dove esistono disuguaglianze economiche enormi(cioè tanti miserabili, e pochi ricchi sfondati), e dove l’intervento dello stato per colmare queste stratosferiche diseguaglianze è inesistente (o molto blando), L’UGUAGLIANZA DAVANTI ALLA LEGGE E’ SOLO FORMALE, ma in realtà NON ESISTE

    Ovviamente questo non vale solo per le differenze economiche, ma anche per le differenze generate dalla politica….cioè quando una persona gode di privilegi particolari davanti alla legge solo in virtù del proprio ruolo politico. In Italia direi che stiamo messi abbastanza male su tutti i fronti: abbiamo grosse differenze economiche, e grossi privilegi di casta!:-((

    • andrea

      Dimenticavo, la relazione tra condizioni economiche, diritti, e uguaglianza davanti alla legge, non è un’opinione, ma UN FATTO.
      Nel braccio della morte ci finiscono in stragrande maggioranza i poveri!(sia perché per ovvi motivi tendono più alla delinquenza, sia perché non hanno i mezzi per difendersi adeguatamente)

  • Michele Biasi

    l’uguaglianza sostanziale presuppone che qualche uomo sia infallibile e onnisciente, dal momento che impone ad altri i propri fini arbitrariamente.

  • Michele Biasi

    Andrea, lei ritiene gli uomini onniscienti oppure ignoranti e fallibili? Se li ritiene onniscienti non ho altro da aggiungere se non che comprendo meglio la natura dei suoi commenti. Se li ritiene ignoranti e fallibili allora deve ammettere che è immorale che un uomo possa imporre i propri fini a un altro uomo mentre è legittimo che ogni uomo persegua i propri fini con i propri mezzi e conoscenze nella maniera che permetta agli altri di fare altrettanto e quindi senza danneggiarli (il famoso neminem laedere). Quindi il diritto non dovrebbe prescrivere il contenuto delle azioni ma solo delimitarne i confini in maniera astratta e generale (uguaglianza davanti alla legge) di modo che si realizzi quanto scritto prima per le condizioni gnoseologiche viste sopra.

    • andrea

      Io gli uomini non li ritengo onniscienti, ma fallibili….ma questo cosa c’entra? il discorso era incentrato sulla tassazione progressiva, che secondo lei sarebbe contraria al PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA, mentre secondo me no, anzi è perfettamente compatibile con l’UGUAGLIANZA SOSTANZIALE (cioè chi guadagna di più, dovrebbe contribuire di più alla spesa pubblica, in modo da rimuovere gli ostacoli economici più limitanti e invalidanti, che gravano sulle persone più povere) . Il perché l’ho spiegato in un commento sopra, di risposta a Giovanni Birindelli

  • CARLO BUTTI

    A parte il discorso su Friedman, che è piuttosto complesso, penso che tutti gli amici libertari vedano come il fumo negli occhi i succitati signori, soprattutto se banchieri centrali. Se sbaglio’,qualcuno degli amici mi corregga.

    • Giovanni Birindelli

      Non sbagli affatto. Di economisti liberali (di scuola austriaca) personalmente ne conosco pochissimi (Pascal Salin è uno di questi) e nessuno in posti di potere (ma d’altronde come farebbe un liberale della scuola austriaca a stare coerentemente a capo di una banca centrale o del FMI?)

    • andrea

      I personaggi di potere che ho citato io, non sono certo di “scuola austriaca”, ma non sono nemmeno tutti Keynesiani, o socialisti….se non sbaglio(casomai correggetemi se ne sapete più di me) dovrebbero essere tendenzialmente vicini alla “scuola di Chicago”(per intenderci le stesse teorie economiche sostenute da Oscar Giannino)

  • Giovanni Birindelli

    L’inesistenza delle “leggi sociologiche” non ha nulla a che vedere con l’esistenza o meno della Legge intesa come principio: le prime non hanno nessuna implicazione morale, ma solo per così dire “implicazioni pratiche” (del tipo: “se A allora B”), la seconda ha solo implicazioni morali e per nulla pratiche (per esempio, rubare è ingiusto, indipendentemente dalla situazione materiale che precede il furto e da quella che lo segue).

    Inoltre, personalmente non condivido affatto un approccio giusnaturalista (e.g. “la proprietà è un diritto naturale”) in quanto concordo pienamente con Antiseri quando afferma che: «il concetto di ‘natura’ – e quindi di ‘natura umana’ – assume il suo significato all’interno di prospettive teoriche (filosofiche e religiose) differenti, e magari contrastanti […]. In altri termini: nulla vi è di più culturale della ‘natura’. […] ‘Per Kant […] era naturale la libertà; ma per Aristotele era naturale la schiavitù. Per Locke era naturale la proprietà individuale, ma per tutti gli utopisti socialisti […] l’istituto più conforme alla natura dell’uomo era la comunione dei beni’ (Bobbio)».

    Ritengo però che esiste una Legge, cioè un principio astratto (frutto di una selezione culturale spontanea di usi e convenzioni di successo) in base al quale il furto è illegittimo, anche e soprattutto se lo compie lo stato. La progressività fiscale aggiunge al furto l’elemento della discriminazione arbitraria attraverso la violazione del principio di uguaglianza davanti alla legge (disuguaglianza legale: disuguaglianza di trattamento fra persone ma uguaglianza di trattamento all’interno di categorie arbitrariamente formate dalle autorità).

    Al di là di quelle strettamente necessarie a finanziare lo stato minimo (inteso come quello necessario a difendere la Legge intesa come principio) e prelevate senza che vi siano discriminazioni arbitrarie fra persone o categorie di persone, le tasse sono un furto.

    • andrea

      Tante parole, per far spacciare come “oggettiva”, quella che è solo una tua legittima, ma discutibile, opinione!

      Per esempio l’uguaglianza davanti alla legge non c’entra nulla, come non è vero che le tasse sono di per se stesse un furto. In realtà tutto dipende da come vengono utilizzati i soldi pubblici, nel caso del politico che prende un vitalizio enormemente sproporzionato rispetto ai contributi versati, o nel casi purtroppo frequenti di uso di soldi pubblici, per finalità private, hai ragione E’ UN FURTO!
      Ma quando con i soldi pubblici viene effettivamente costruito un’ospedale pubblico, vengono ristrutturate le strade, vengono costruite scuole, viene finanziata l’università o la ricerca, viene finanziata la sicurezza pubblica (polizia, carabinieri, GDF , ecc…)….non puoi dire che è un furto… al massimo puoi criticare le modalità con cui vengono spesi, e la qualità dei servizi pubblici. Ma dire che è sempre un furto in quanto tale, è falso e disonesto. E’ frutto di un tuo punto di vista ideologico!

      • Giovanni Birindelli

        Grazie per il commento. Sono assolutamente d’accordo con lei sul fatto che le opinioni che ho espresso, in particolare riguardo all’idea di Legge e alla giustificabilità delle tasse, non sono altro che espressione di un mio punto di vista ideologico. Anche le opinioni che ho espresso in merito all’uguaglianza davanti alla legge non sono altro che l’espressione di un mio punto di vista ideologico; anche se, in questo caso, nella mia personale esperienza, è molto frequente trovare persone incoerenti cioè persone che allo stesso tempo difendono l’idea di Uguaglianza davanti alla Legge intesa come principio in alcuni casi particolari (per esempio, sulla base di questa idea di Uguaglianza davanti alla Legge, la quale è incompatibile con la disuguaglianza legale, esse sono contrarie al “Lodo Alfano” o all’apartheid) e l’idea di “uguaglianza” davanti alla “legge” intesa come provvedimento (la quale è compatibile con la disuguaglianza legale e quindi incompatibile con la prima) in altri casi particolari, tipicamente quando gli conviene (per esempio nel caso della progressività fiscale).

        Quanto al fatto che la giustificazione delle tasse, oltre che dal modo in cui queste sono prelevate, dipende anche da cosa queste finanziano sono perfettamente daccordo con lei, infatti ho affermato che queste possono essere giustificate solo laddove queste sono usate per la difesa della Legge (almeno su questo mi sembra che concordiamo).

        In generale, le tasse sono una forma di coercizione e personalmente ritengo che sostanzialmente esistano 3 possibili forme di coercizione: 1) la coercizione motivata da questioni di principio (tasse per finanziare i tribunali, prigione per il ladro ecc.), 2) la coercizione motivata da questioni umanitarie cioè finalizzate ad aiutare coloro che si trovano in una situazione di severa privazione, cioè che sono incapaci di soddisfare autonomamente i loro “bisogni di base” (per esempio le tasse per garantire le cure dal tumore a chi non può permettersele) e 3) la coercizione motivata da questioni di interesse cioé finalizzata al “bene”, a ciò che è “importante” o “bello” (per esempio il “Maggio Musicale Firoentino”).

        Nel primo caso, come ho detto, ritengo che le tasse sono giustificabili e che quindi non sono un furto.

        Nel terzo caso ritengo che le tasse sono ingiustificabili e quindi che sono non solo un furto ma il segno dell’assenza di libertà: ritengo infatti che in una società libera il compito dello stato sia quello di contrastare un male che non è arbitrariamente definito, non di promuovere il “bene” o ciò che è “importante”, infatti come ho argomentato sopra questi sono concetti soggettivi e inoltre illimitati: non c’è limite al “bene” che si può fare con le tasse e quindi non c’è limite alla coercizione e laddove non c’è limite alla coercizione non c’è libertà).

        Il secondo caso è quello più complesso perché è un caso di mezzo. Posto che i bisogni di base non siano definiti in modo arbitrario (e non potrei enfatizzare abbastanza questo punto, anche se qui è impossibile svilupparlo), questo caso ha in comune col primo il fatto che la coercizione verrebbe usata per contrastare un male che non è arbitrariamente definito. Ma allo stesso tempo ha in comune col secondo il fatto di essere illegittima, e cioè un furto. A certe fondamentali condizioni (per esempio che lo stato sia già minimo, che sia dichiarata esplicitamente l’illegittimità cioè la violazione della Legge da parte dello Stato, e altre…) io ritengo che la coercizione (cioè in questo caso la violazione della Legge) in questo caso sia ammissibile, per le stesse ragioni per cui ritengo che se mia moglie stesse morendo di sete nel deserto e ci fosse una sola casa sia ammissibile che, se non ho la possibilità di chiederlo ai proprietari, io sfondi la finestra per prendere dell’acqua: è chiaro che sto violando la Legge (cioè il legittimo diritto di proprietà di chi possiede quella casa) e che la mia azione, per quanto illegittima, è ammissibile solo a certe condizioni (devo riparare il danno con gli interessi, restituire l’acqua appena mi è possibile, non prenderne più dello stretto necessario, eccetera). Io parto infatti dal principio che non esiste una “giustizia sociale” distinata dalla giustizia che limita le azioni degli individui e che se un’azione è illegittima per l’individuo essa è necessariamente illegittima anche per lo stato e viceversa.

        (Gli amici libertari mi liceranno per questa mia posizione per quanto, anche se in forme diverse, è stata sostenuta non solo da liberali – come Hayek, anche se in modo secondo me discutibile – ma anche da libertari – vedi Nozick).

        In conclusione, non sono d’accordo quando per giustificare la coercizione del terzo tipo (per esempio le tasse per finanziare il teatro, le poste oppure le strade – e su quest’ultimo esempio, cioè relativamente ai beni pubblici, mi dissocio da Hayek) si usano esempi di coercizione del primo tipo (tasse per finanziare tribunali) o del secondo (tasse per aiutare a curarsi da un tumore chi non può permettersi le cure), ma sono d’accordo con lei almeno sul fatto generale che la giustificabilità delle tasse dipende (anche) da cosa esse finanziano, oltre che da come vengono prelevate (cioè in base a quale idea di uguaglianza davanti alla legge).

        • andrea

          Il principio di uguaglianza davanti alla legge, identificabile nell’Art 3 della costituzione, afferma che:

          “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

          È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

          Quindi non capisco cosa c’entra la tassazione progressiva. Nell’art3 si dice che le leggi, anche quelle fiscali, devono essere uguali per tutti, ma questo non significa che anche le aliquote fiscale devono essere uguali per tutti….non possono essere diverse in base a “sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali”, ma possono benissimo essere diverse in base al reddito annuo!

          Anzi dovrebbero essere diverse, visto che “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”….insomma se lo stato istituisce una Flat Tax, permette di pagare meno ai più ricchi, costringendo a un’esborso maggiore proprio chi si trova in condizioni economicamente più precarie. E questo è proprio contrario all’uguaglianza SOSTANZIALE davanti alla legge, visto che invece di “rimuovere ostacoli economici”, li andrebbe ad aggravare!
          Mentre la tassazione progressiva non crea ostacoli economici a nessuno(se a uno che guadagna 1 milione di euro l’anno, gli tolgo il 50%, non gli impedisco di vivere “alla grande”, gli tolgo solo un po’ di “grasso in eccesso”), ma anzi promuove la parità di opportunità, migliorando l’accesso all’istruzione e alla sanità per i meno abbienti

          • Giovanni Birindelli

            Qui c’è un aspetto che le sfugge, e questo è un fatto, non una mia opinione. Quando, per esempio, la corte costituzionale ha bocciato il “Lodo Alfano” del governo Berlusconi perché violava l’articolo 3 della costituzione (“l’uguaglianza davanti alla legge”) ha affermato che il “Lodo Alfano”, per passare, visto che viola l’articolo 3, deve essere approvato “come legge costituzionale”. Cioè: violare l’uguaglianza davanti alla legge va bene finché è la stessa costituzione che dovrebbe difenderla a farlo, come nel caso della progressività fiscale (articolo 53 della costituzione).

            Il secondo aspetto che le sfugge, e anche questo è un fatto non una mia opinione, è la distinzione fra uguaglianza di situazione materiale e uguaglianza davanti alla legge. Lei le vede come compatibili e perfino come sinonimi mentre è un fatto che esse sono cose non solo diverse ma incompatibili l’una con l’altra: dal fatto che siamo tutti diversi (in relazione alle nostre capacità, alle nostre zavorre, alla nostra situaizone, e a innumerevoli altri fattori) segue che se viene applicata l’Uguaglianza davanti alla Legge intesa come principio (quella che vieta l’apartheid tanto per intenderci) allora saremo tutti in situazioni necessariamente matriali diverse. L’unico modo per ottenere una uguaglianza di situazione materiale è trattare le persone in modo diverso, cioè violare il principio di Uguagliana davanti Legge.

            La preferenza per l’una o l’altra idea di uguaglianza davanti alla legge è una questione di opinione, ma, dal punto di vista dell’uguaglianza davanti alla legge, non si può essere coerentemente contro il “Lodo Alfano” o l’apartheid e a favore della progressività fiscale. Uguaglianza davanti alla legge e uguaglianza di situazione materiale sono due concetti incompatibili l’uno con l’altro: si escludono a vicenda. Questo, per quanto sia scomodo ai collettivisti, è un fatto, come 1+1=2, non un’opinione.

          • Giovanni Birindelli

            PS. Mi ero scordato di concludere il primo punto (il primo fatto che le sfugge): la costituzione italiana, per il tipo di costituzione che è e per l’idea di “legge” che impone, è lo strumento per legalizzare qualunque discriminazione. Essa è un provvedimento come tutti gli altri, anche se il più alto in grado, e quindi espressione della volontà di una maggioranza (in questo caso qualificata). L’articolo 3, anche al di là della possibilità della sua violazione da parte della stessa costituzione, è un esempio dell’ambiguità del concetto di “uguaglianza” davanti alla “legge” presente nella nostra costituzione.

  • Michele Biasi

    aah si costituiamo tanti piccoli gruppi e diciamo che ogni piccolo gruppo è uguale davanti alla legge. Questo è il trucco dello stato moderno

    • andrea

      Dove la distribuzione della ricchezza è molto molto iniqua, c’è anche molta più disuguaglianza SOSTANZIALE(l’uguaglianza formale non vale nulla) davanti alla legge.E’ sufficiente guardare agli USA(ma anche in Italia non siamo messi meglio), dove un ricco capace di pagarsi i migliori difensori, ha molte più probabilità di ottenere l’assoluzione (o sconti di pena) , rispetto a un poveraccio che si deve arrangiare con l’avvocato d’ufficio!

  • antonio

    birindelli,
    se non esistono leggi sociologiche, se non esiste il “bene comune”, allora non esistono neanche i principi base del libertarismo, tipo la non violenza (una paraculata, secondo me) o “la proprietà è un diritto naturale”.
    nell’inghilterra delle “associazioni volontarie di solidarietà” SE MORIVANO DE FAMEEEEE!!! E I TASSI DI VIOLENZA ERANO ASSURDI.
    allora qualcuno intelligente finalmente capì (voi ancora non ci siete arrivati) che la “solidarietà” (imposta) quasi annulla la violenza e permette di vivere decentemente ai poveracci, i soldi girano e rientrano anche nelle saccocce dei ricchi, alla fine conviene a tutti.

    • andrea

      Infatti, in realtà anche l’economia è una materia più POLITICA-UMANISTICA-FILOSOFICA, che scientifica.
      Nel senso che tutte, o quasi tutte, le teorie economiche, servono a veicolare idee/ ideologie politiche e sociali. Le teorie economiche marxiste erano funzionali al comunismo, così come molte teorie economiche liberiste, servono a promuovere il classismo plutocratico.
      O come le teorie economiche Keynesiane, sono servite a creare la social democrazia, e il benessere diffuso del dopoguerra. Cioè la cosiddetta classe media, oggi in via d’estinzione anche a causa dell’affermazione dell’ideologia liberista(che è ferocemente contraria alla redistribuzione, e all’uguaglianza sostanziale sul piano delle opportunità)!

      • CARLO BUTTI

        Se fosse vero che il liberismo è la falsa coscienza del classismo plutocratico, non si spiegherebbe come mai la stragrande maggioranza del mondo capitalistico e finanziario, quello che davvero conta, i cosiddetti “poteri forti”, non aderisca in massa alle tesi libertarie, le uniche perfettamente e coerentemente in linea col pensiero economico liberista. Parafrasando una celebtre frase del “Gattopardo”, “Oggi tutti keynesiani sono!”

        • andrea

          Perché ad esempio abbassare le tasse, che poi nella realtà si traduce quasi sempre in MENO TASSE PER I RICCHI (vedi curva di Laffer, usata da Reagan a tal scopo), non è uno dei mantra liberisti? e abolire i diritti dei lavoratori dipendenti, o trattare i dipendenti come fossero autonomi, non fa parte sempre dell’ideologia liberista?
          Questo solo per fare un paio di esempi, ma volendo potrei anche continuare.
          E secondo te chi ci guadagna da “MENO TASSE PER I RICCHI”, o dalla flat tax? chi ci guadagna dallo smantellamento del cosiddetto welfare? chi ha più bisogno di un sistema sanitario gratuito (nel senso di accessibile a tutti, senza discriminazioni di nessun tipo, nemmeno economiche)? chi ha più bisogno di un sistema scolastico pubblico, e di un’università accessibile a chiunque abbia la volontà di proseguire e approfondire gli studi, e che faccia solo discriminazioni di merito(e non su base economica)? chi ci guadagna a togliere diritti e tutele ai lavoratori dipendenti? ci guadagnano più i poveri, i benestanti (cioè chi se la passa abbastanza bene, ma non naviga nell’oro), o i ricchi sfondati e i “grandi” imPRENDITORI italiani(gli iscritti a Confindustria)?

          • Michele Biasi

            be a sto punto mandiamo a farsi fottere pure l’uguglianza davanti alla legge giusto?

        • antonio

          concordo con andrea e aggiungo che tra il nero e il bianco ci sono molte tonalità di grigio… è da 30 anni che si è invertita la tendenza alla “socializzazione” e si va VERSO una maggiore “liberizzazione”.
          se i plutocrati ci vanno coi piedi di piombo è perchè sono FURBI e non gli va di essere fatti a pezzi dal 90% del popolo impoverito e inferocito a causa di improvvisa e radicale attuazione delle vostre belle teorie, le quali (consciamente o inconsciamente) hanno sempre e solo lo stesso fine: TOGLIERE AI POVERI PER DARE AI RICCHI.
          ma la cosa è ostica da mandare giù quindi bisogna agire con calma, un po’ per volta… e oleare a lungo l’orifizio…

          • andrea

            Aggiungo tra l’altro che nelle più prestigiose università di economia, come la Bocconi, va molto più di moda il liberismo (con varie tonalità e sfumature, come dice giustamente ANTONIO. Effettivamente l’anarco-capitalismo e la scuola austriaca sono correnti minoritarie, ma i “Chicago Boys” alla Milton Freeman, vanno ancora molto di moda!), quindi non è molto vero che oggi sono tutti Keynesiani. E’ vero che alcuni dei più recenti vincitori del Nobel per l’economia sono tendenzialmente Keynesiani(Stglitz, Krugman e altri), ma mi sembra che a capo delle più importanti istituzioni economiche e politiche, ci siano più liberisti(o pseudo-liberisti), che seguaci di Keynes(o pseudo-keynesiani). Per esempio Cristine Lagarde(FMI), Mario Draghi(BCE), Robert Zoellick(Banca Mondiale) , Ben Bernanke (FED) non saranno di SCUOLA AUSTRIACA, ma SONO TUTTO TRANNE CHE SOCIALISTI-KEYNESIANI

    • CARLO BUTTI

      Ma che c’entra il diritto naturale con il bene comune? Sono due concetti egualmente opinabili, ma intrinsecamente diversi. All’idea di bene comune si può arrivare anche partendo da principi utilitaristici: Cerchiamo di non confondere le mele con le pere.

      • antonio

        se confusione c’è, l’ha fatta birindelli-hayek, che ha messo in campo l’inesistenza delle leggi sociologiche e del bene comune.
        e “la proprietà è un diritto naturale” è una legge sociologica (errata…).
        invece un esempio di legge sociologica esistente e certamente vera è:
        a parità di condizioni, c’è alta correlazione tra violenza e disparità di reddito.

        • andrea

          La disparità di distribuzione della ricchezza non solo è collegata con la violenza, ma anche con la cultura della democrazia e dei diritti umani. Laddove la diseguaglianza economica è meno esagerata, c’è anche un maggior rispetto dei diritti umani, che non esistono solo sulla carta(per esempio il diritto alla salute made in USA, è solo formale), ma anche a livello SOSTANZIALE cioè concreto e materiale. Per esempio nella maggior parte dell’America latina, o in Sud Africa(paesi con differenze economiche ENORMI) la maggior parte dei diritti, per poveri e meno abbienti sono solo virtuali, mentre nel Nord Europa, e Paesi Scandinavi in particolare(in cui la distribuzione della ricchezza è relativamente poco iniqua, e le discrepanze tra non sono eccessive), i diritti umani non sono solo formali, ma nella maggior parte dei casi sono godibili concretamente.
          E questo è anche merito della tassazione progressiva, tanto odiata (non si capisce nemmeno perché!) dai libertari

          • Michele Biasi

            a che serve più l’uguglianza davanti alla legge?

        • CARLO BUTTI

          Confusione su confusione:mele +pere+arance. “La proprietà è un diritto natirale” non è una legge sociologica, ma un principio di Filosofia del Diritto, opinabile perché non falsificabile, ma tutt’altro che privo di giustificazioni razionali. “C’è alta correlazione tra violenza e disparità di reddito” è una teoria, non una legge, sociologica, ermpiricamente falsificabile. Prego, signori, fuori i dati!

  • Lorenzo

    Io non ritengo oppressivo il principio di progressività perché risponde ad una filosofia ben precisa e coerente: ogni cittadino deve contribuisce economicamente alla vita della comunità in base al sacrificio che egli compie per il bene comune.
    Ovviamente non mi riferisco alla progressività delle imposte statali che sono illegittime al pari dello stato, bensì alla progressività come principio morale. Un principio che potrebbe essere recepito dalle future comunità volontarie all’interno del proprio statuto.
    Per capire la bontà di questo principio basta leggere un passo del Vangelo secondo Marco (12, 41-44):

    “E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: “In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere.””

    La vedova dunque ha dato più degli altri perché il suo sacrificio è stato superiore: Gesù non presta importanza a ciò che si dà, ma a ciò di cui ci si priva.

    • Giovanni Birindelli

      Grazie del commento. Questo passaggio da lei citato è una formulazione della seguente concatenazione logica: 1) un quattrino sarebbe più importante per chi ha di meno che per chi ha di più, 2) quindi sarebbe morale togliere a chi ha di più per dare a chi ha di meno. Per quanto spesso confuse l’una con l’altra queste due affermazioni sono due cose diverse, entrambe, dal mio punto di vista, insostenibili in modo coerente.

      Parto dal punto 1. Questo in gergo si chiama il “principio” (nel senso di “legge sociologica”, non di principio morale: una “legge sociologica” sarebbe l’equivalente di una legge fisica – per esempio f=m*a – nelle scienze sociali: cioè valida necessariamente e sempre senza possibilità di eccezioni) dell’utilità marginale decrescente il quale afferma che l’utilità che un’unità di qualcosa dà a una persona tende a diminuire all’aumentare della disponibilità di quel qualcosa (per esempio che se Bernardo guadagna 50.000 euro l’anno 1000 euro saranno per lui più importanti che nel caso in cui guadagnasse 1.000.000 di euro l’anno e la stessa cosa nel caso di Federico). In primo luogo, anche assumendo per il momento che questa legge sociologica fosse valida, essa dice che l’utilità che Bernardo deriva dal denaro è decrescente al crescere della sua disponibilità di denaro e che l’utilità che Federico deriva dal denaro è decrescente al crescere della sua disponibilità di denaro. Ma non dice affatto che le utilità che Bernardo e Federico derivano dal denaro sono comparabili né, tantomeno, che sono ordinabili (cioè che si possa dire che una è maggiore dell’altra) né tantomeno ancora che sono misurabili. In altre parole, questa “legge sociologica” non dice affatto che 1.000 euro sono più importanti per Bernardo che guadagna 50.000 euro l’anno piuttosto che per Federico che guadagna 1.000.000 di euro l’anno: “Non c’è modo di testare la quantità di soddisfazione di A rispetto a quella di B. … L’introspezione non dà ad A la possibilità di misurare ciò che stà avvenendo nella mente di B, né a B di misurare ciò che sta avvenendo nella mente di A. Non c’è alcun modo di comparare le soddisfazioni di persone diverse” (Robbins). L’importanza che ognuno di noi dà a qualcosa è un fattore soggettivo, non oggettivo, cioè dipende da informazioni (anche di tempo e di luogo) che ha solo l’individuo. I 50.000 euro di Bernardo e il milione di euro di Federico potrebbero tranquillamente riflettere lo stesso livello di utilità: Bernardo potrebbe avere scelto un lavoro che rende 50.000 euro l’anno perché questo gli consente di passare più tempo con i propri figli per esempio (se gli offrissero un lavoro che rende 1.000.000 euro l’anno ma gli impedisse di viaggiare di continuo e di veder crescere i propri figli non lo accetterebbe) mentre Federico potrebbe non avere figli e ma altre insindacabili ragioni (per esempio avviare dopo tot anni il suo sogno imprenditoriale) per le quali per lui guadagnare oggi 1.000.000 di euro l’anno è altrettanto importante (se gli offrissero un lavoro che gli lasciasse più tempo libero ma lo pagasse di meno non lo accetterebbe), per cui alla fine essi avrebbero la stessa utilità solo che in proporzioni diverse da cose diverse. Se poi Bernardo invece che 50.000 euro guadagna 51.000 euro (e quindi ha 1.000 in più del reddito minimo che gli consente di mettere in equilibrio le sue preferenze fra cose che si possono comprare e cose che non si possono comprare) e Federico invece che un milione guadagna 999.000 euro (cioè guadagna 1.000 euro in meno del reddito minimo che gli consente di mettere in equilibrio le sue preferenze fra cose che si possono comprare e cose che non si possono comprare) allora 1.000 euro saranno più importanti per Federico che per Bernardo. Chi applica il “principio” dell’utilità marginale decrescente comparando l’utilità di persone diverse sbaglia; inoltre, fare questo solo in riferimento al denaro significa imporre i propri gusti particolari e la propria particolare scala di priorità ad altri.

      Più in generale, nelle scienze sociali il valore (cioè l’importanza di una qualunque cosa) è soggettiva, dal che deriva non solo che non esistono “leggi sociologiche”, tanto meno rispetto al valore («sebbene disponiamo di teorie delle strutture sociali, dubito che conosciamo ‘leggi’ valide per i fenomeni sociali», Hayek) ma anche e soprattutto che il “bene comune” non esiste: nella migliore delle ipotesi il “bene comune” è ciò che arbitrariamente una persona ritiene essere il “bene” e che vuole imporre agli altri.

      Quindi il punto 1, premessa del punto 2, non regge. Tuttavia, indipendentemente da ciò, nemmeno il punto 2 regge.

      Nel passaggio da lei citato la povera vedova sembra essersi privata del suo denaro volontariamente. Questa è una situazione opposta non solo a quella in cui a privarla di qualcosa è lo stato (situazione che lei a prima vista sembra escludere) ma anche dalla situazione in cui a privarla di qualcosa è una “comunità volontaria” cioè, se ho capito bene, una comunità retta su una sorta di “contratto sociale” alla Rousseau, che però non è altro che lo stato. Se lei ritiene che la “volontarietà” sia l’elemento fondamentale redistribuzione delle risorse basata sulla progressività, allora non capisco perché non lasciare alle singole persone la scelta di donare, visto che nulla impedisce alle persone di donare volontariamente. La solidarietà è tale solo se è individuale e volontaria: nel momento in cui diventa collettiva e imposta non è più solidarietà: non solo “solidarietà sociale” non esiste (nel senso che è coercizione e non è solidarietà e quindi non ha nulla a che vedere con la storia della povera vedova da lei citata) ma quando essa è imposta dallo stato (anche inteso come “comunità volontaria”) essa distrugge la solidarietà: «l’apice del laissez-faire verso la metà e la fine del diciannovesimo secolo in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, ha visto una proliferazione straordinaria di organizzazioni e istituzioni di volontariato. Uno dei costi maggiori dell’estensione dello stato sociale è stato il corrispondente declino nelle attività di carità private» (Friedman).

      La solidarietà non ha nulla a che vedere con la moralità: la solidarietà è l’aiuto che un individuo offre volontariamente a un altro individuo o a una causa (quindi è un concetto positivo), la moralità è il principio astratto (o Legge) che vieta di compiere un’azione in quanto è ingiusta (e quindi è un concetto negativo). A meno che si sia disposti a sostenere che la permissibilità del furto o del sequestro di persona per esempio dipendono dalla volontà (per esempio quella della maggioranza o della “comunità”) e non sono invece atti la cui illegittimità è al riparo della volontà di chiunque, non si possono coerentemente fondare le regole di una società libera sulla volontà. La Legge è indipendente dalla volontà e le uniche regole che devono governare una società libera sono quelle della Legge.

      Nel suo commento lei sostiene che «ogni cittadino deve contribuire economicamente alla vita della comunità in base al sacrificio che egli compie per il bene comune». Come ho argomentato nel punto 1, nessuno può sapere quale è il sacrificio che una persona compie e il “bene comune” non esiste. Al di là di questo, tuttavia, la visione della società come un insieme di individui che sono uniti da un obiettivo comune è una visione totalitaria della società la quale in molti casi, a mio parere, è prodotta da una incapacità immaginativa di alcuni individui, incapacità immaginativa che li rende nemici della libertà. Molte persone infatti, abituate (per esempio nel loro lavoro quotidiano) a essere parte di grandi organizzazioni in cui l’attività dei singoli impiegati è volta al conseguimento di un fine comune, sembrano essere incapaci di concepire l’esistenza di un tipo di ordine che non sia quello dell’organizzazione. Un’organizzazione è un tipo particolare di ordine che, come dice Ferguson, è frutto sia dell’azione dell’uomo sia del suo disegno (nel senso di progetto) e la caratteristica distintiva di questo tipo di ordine è esattamente quella che al suo interno i suoi componenti agiscono in funzione di obiettivi comuni (quelli stabiliti da chi sta a capo dell’organizzazione). Ma esiste un altri tipo di ordine, che Hayek chiama ordine spontaneo: questo è quello che è prodotto dall’azione delle persone ma non dal loro disegno (o progetto) e il tratto distintivo di questo tipo di ordine è che, all’interno di un quadro di regole generali e astratte indipendenti dalla volontà di chiunque (cioè della Legge), i suoi componenti (le persone e/o le organizzazioni) agiscono ognuno in funzione dei propri obiettivi individuali (non in funzione di un obiettivo comune). Il tipico esempio è quello della lingua: senza le persone e le loro interazioni la lingua italiana (o il latino da cui essa deriva) non esisterebbe (la lingua italiana è quindi frutto dell’azione dell’uomo), ma essa non è stata progettata da nessuno. Come la Legge, essa è il frutto di un processo spontaneo e disperso di selezione culturale di usi e convenzioni di successo: all’interno di regole (in questo caso grammaticali) che non dipendono dalla volontà di nessuno, ciascuno usa la lingua italiana per dire quello che gli pare, cioè in funzione dei propri scopi individuali. Non è che uno dei due tipi di ordine è necessariamente sempre e comunque superiore a un altro. Dipende, in particolare dal tipo di conoscenza rilevante: se si tratta di eseguire la quarta sinfonia di Beethoven allora è meglio il primo tipo di ordine (se ognuno si mettesse a suonare la musica che preferisce la quarta sinfonia non sarebbe eseguita); ma se si tratta di sviluppare internet, per esempio, allora il secondo tipo di ordine è meglio (nessuna autorità potrebbe mai avere la conoscenza necessaria per riempire internet dei contenuti che ha adesso in cui ognuno li ha aggiunti per i propri fini individuali). Questa tra l’altro è la ragione per cui non solo un’economia di mercato è superiore a una di piano ma quest’ultima è destinata al fallimento: quando i prezzi e più in generale i termini di scambio vengono fissati dall’autorità in base al “bene comune” da essa arbitrariamente stabilito invece che dalle parti contraenti in base ai loro obiettivi individuali, i prezzi non possono essere calcolati (Mises) e il sistema crolla (capitale, conoscenza e informazioni vengono buttati a mare). Finché l’ordine arbitrario (il primo tipo: quello dell’organizzazione) sta sotto uno spontaneo non solo non c’è niente che non va ma è la grandezza e la vitalità dell’economia. Ma quando si vuole trasformare la società stessa da ordine spontaneo a ordine arbitrario (come avviene oggi e come lei, parlando di “bene comune” in funzione del quale le persone in quanto membri di una società dovrebbero agire, necessariamente implica) allora si ha il totalitarismo, e quindi l’oppressione (oltre che la catastrofe economica).

      In conclusione quindi, come dice Salin, «la sola esistenza dell’imposta progressiva può essere interpretata come segnale di totalitarismo».

      • Lorenzo

        Non volevo dire che il principio di progressività sia il migliore ma semplicemente che esso non venga demonizzato.
        Credo nelle comunità volontarie e nella loro federazione e confederazione in comunità sempre più grandi, in sostituzione dello stato. Ogni comunità avrà la libertà di applicare la teoria della giustizia che preferisce in un clima di piena concorrenza: ci sarà chi la pensa come Lei, chi come Amartya Sen, chi come Rawls, ecc.
        Non credo che esista una teoria migliore perché le persone sono diverse e hanno valori diversi; credo quindi che ci saranno sempre persone che avranno a cuore il principio della progressività e che cercheranno di reallizzarlo all’interno di comunità da esse costituite.
        In conclusione ritengo assurdo dibattere su quale teoria della giustizia sia migliore (escludendo dunque le altre) perché non esiste: bisogna che queste teorie escano dagli ambienti accademici e fare in modo che gli individui ne scelgano la più appropriata in base al proprio sistema di valori.

  • macioz

    Un articolo eccellente come pochi. Un plauso e un ringraziamento a Birindelli.
    Se queste cose si potessero insegnare nelle scuole il mondo sarebbe molto diverso.

  • zenzero

    Grande articolo

  • massimoconleballepiene

    e che ne dite dei papà separati a cui viene negata la possibilità di crescere i propri figli

  • CARLO BUTTI

    Le donne fanno benissimo a vendere a prezzo di mercato quel che è di loro proprietà, se lo desiderano. Naturalmente la donazione è sempre gradita, purché spontanea. Quanto alle quote rosa, perfettamente d’accordo…

    • antonio

      però lo possono fare grazie a un intervento artificiale della cultura-religione (che potrebbe essere assimilata allo stato, anzi, ancora più potente). inoltre a fronte dell’introito non vedo alcuna produzione, lo scambio già sarebbe paritario in quanto anch’io “cedo” qualcosa di mia proprietà. quindi trattasi di RAPINA.
      la donna lo può fare perchè la situazione favorevole glielo permette, esattamente come il fantomatico impiegato statale che va a lavoro per giocare con gli aeroplanini di carta.
      voi libertari, se siete coerenti, come non volete essere derubati dallo stato dovreste combattere anche la rapina femminile.
      meno tasse per poi farci fottere i soldi dalle zoccole (mogli in primis)?

      • andrea

        Evidentemente se tutte le donne ti chiedono dei soldi, è perché non hai altro di interessante da offrire!

        • antonio

          ahah! me l’aspettavo, questa è banale, ci sono abituato… 19×5 dici che basta???
          bisogna sempre parlare bene delle donne se no fai la figura dello sfigato, vero?
          beh, io me ne fotto! parlo della realtà che vedo in giro… conosco tanti quaquaraqua che si fanno rubare e manco se ne rendono conto, talmente lo considerano normale e perfino piacevole.
          e non parliamo di quello che succede nelle separazioni (io non sono separato).

          • andrea

            E chi ha detto che bisogna parlar bene delle donne?solo che se devo farmi spennare, preferisco stare senza donne, meglio una sana masturbazione!
            Se ci sono uomini disposti a svenarsi per certe stronze che se la tirano pure, non è colpa solo delle donne.

          • andrea

            “19×5 dici che basta???”
            Le donne in genere sono molto meno interessate alle misure di quanto crediamo comunemente noi maschi, con queste misure potresti fare il pornoattore, o avere un discreto successo tra i gay, ma con le donne non bastano

  • maschile individuale

    un aspetto del moderno totalitarismo è il femminismo con le sue quote rosa, i suoi vantaggi fiscali(borse studio, fondi imprenditoria), la fine del garantismo nei processi con reati di stampo sessuale, l’impossibilità di dire una parola politicamente scorretta senza incorrere nell’ostracismo mediatico e nel coro di indignazione dei politici.

    • antonio

      giusto, io da sempre combatto il NAZIFEMMINISMO. ma più del nazifemminismo statalista delle quote rosa mi fa incazzare il nazifemminismo privatista del fatto che la cena la devo pagare io (98 casi su 100) pena l’azzeramento delle probabilità di andare in buca.
      le donne da millenni (grazie a religioni antisessuali che hanno artificialmente abbassato l’offerta di gnocca e quindi creato il prezzo come valore di scambio) CI DERUBANO, vendono quello che in natura è un rapporto sociale reciproco e gratuito… e di fronte a tale IMMANE TRAGEDIA voi pensate alle tasse???

      • Antonino Trunfio

        troppo forte !! non avevo mai pensato alla gnocca come prodotto e al suo prezzo !! complimenti. E nn sto scherzando !!!! Ciao

  • Brus

    Per questo e importante che giudici e magistrati paghino se ommettono errori, in tal modo si indebolisce una delle lobby di potere antidemocratico. I politici pensano di proteggere se stessi, ma in realta senza accorgere indeboliscono il sistema di potere fatto da politica e magistratura. Quindi e importante sostenere che la magistratura paghi se sbaglia, pero bisogna affiancare un sistema di controllo esterno al sistema, aletto dalla gente e non dalla politica o dalla magistratura stessa.

  • O.K.Corral

    Mi piace questo articolo. Secondo me è scritto benissimo.
    Però, dal mio punto di vista, spiega la realtà attuale solo parzialmente. E’ vero che i governi e i sistemi culturali contemporanei spingono le persone ad avere un atteggiamento sempre più accondiscendente e acquiescente verso il potere, ma è anche responsabilità delle singole persone non farsi “infinocchiare”.

    Cioè, è vero che ognuno subisce dei condizionamenti esterni. Viene contagiato dai timori e dagli stati emotivi delle altre persone. In questo senso è esemplare la paura che hanno tutti o quasi di un completo e globale disastro finanziario-economico.
    Però è vero che c’è anche un margine di iniziativa personale. Un intelletto libero può superare i condizionamenti e auto-guidarsi verso il cammino che preferisce.

    Quindi, secondo me, tutto il discorso dell’ articolo, per quanto condivisibile, pecca nell’analisi finale. Non sembra scritto da un individualista.

    • Giovanni Birindelli

      Grazie per il commento. Quello che ho cercato di dire nell’articolo è che ci sono due opposte idee di legge: una è l’idea di legge che sta alla base dell’individualismo (in quanto lascia all’individuo la capacità di autodeterminarsi, cioè di auto-guidarsi verso il cammino che preferisce come dici giustamente tu), e questa è l’idea di legge intesa come principio; l’altra è l’idea di “legge” che sta alla base del collettivismo (in quanto toglie alle persone la capacità di autodeterminarsi e affida a un gruppo di burocrati la capacità di guidarle), e questa è l’idea di “legge” che abbiamo oggi: la “legge” intesa come provvedimento. Quando ho scritto che occorre aiutare la ricrescita degli anticorpi intendevo dire che occorre difendere la prima idea di legge, un’idea di legge che quasi inevitabilmente le persone hanno dentro di loro ma in molti casi solo inconsapevolmente in quanto da quando sono nate sono state educate a dare per scontato il fatto che esiste una sola idea di legge: la seconda. Cambiando in silenzio il significato della parola “legge” lo stato moderno è riuscito a togliere a molte persone la capacità di autodeterminarsi: una capacità che esse hanno totalmente in quanto normalmente solo loro hanno le informazioni necessarie per sapere cosa è bene per loro. Le persone che sentono che lo stato toglie loro la capacità di autodeterminarsi, cioè di usare queste informazioni, sono molte: il problema è che, almeno nella mia esperienza individuale e dal mio punto di vista, esse tendono a vedere questo problema in un’ottica particolare (il governo sbagliato, la maggioranza sbagliata, la particolare “legge” che va cambiata) e non generale (l’idea stessa di legge) proprio perché esse non mettono in discussione il fatto che esiste una sola idea di legge allo stesso modo in cui una persona del medioevo non metteva in discussione il fatto che fosse il Sole a orbitare attorno alla Terra.

pingbacks / trackbacks

Start typing and press Enter to search