In Economia, Esteri

DI MATTEO CORSINI

“Le attuali recessioni in Giappone, Regno Unito e Stati Uniti dipendono dal fatto che problemi di stato patrimoniale hanno indotto il settore privato ad aumentare i risparmi anche se i tassi di interesse erano prossimi a zero. Non essendoci altri prenditori di fondi, questi risparmi resterebbero nel sistema bancario generando un gap deflazionistico se il governo non li prendesse a prestito e li spendesse… I deficit pubblici in queste circostanze portano diversi benefici: supportano l’attività economica, aiutano il settore privato a sistemare lo stato patrimoniale, ed evitano che l’offerta di moneta si contragga. Il ruolo positivo del deficit in questo contesto è testimoniato dai bassi tassi di interesse sui titoli di Stato.” (R. Koo)

Ammetto che leggo sempre con grande interesse Richard Koo, pur non condividendo quasi nulla di quello che dice. Credo di avere acquisito ormai una buona dimestichezza con la sua teoria della balance sheet recession, e capisco che chi la sente spiegata la prima volta possa restarne anche affascinato. D’altra parte anche la teoria dell’instabilità finanziaria di Hyman Minsky è utilizzata da molti per spiegare la crisi in corso.

Si tratta di approcci che partono da basi keynesiane e che, a mio parere, hanno due difetti significativi: non individuano correttamente le cause delle bolle e indicano rimedi errati. Il ruolo delle banche centrali e dei sistemi bancari nella compressione dei tassi di interesse e nell’espansione creditizia viene trascurato. A poco serve, quindi, che venga poi ben descritta la fase di euforia che porta allo scoppio della bolla. A maggior ragione considerando i tipi di intervento monetari e fiscali ritenuti necessari per risolvere la crisi dopo lo scoppio della bolla.

Prendiamo Koo. La sua analisi, in pillole, è questa: il settore privato si indebita troppo, quindi quando scoppia la bolla si trova ad avere un attivo che ha perso valore e un passivo sempre meno sostenibile. Inizia pertanto a destinare i suoi sforzi (ossia i cash flow che genera l’attività) alla riduzione del debito, per evitare l’insolvenza; ciò comporta, secondo Koo, un aumento dei risparmi e una contrazione dell’offerta di moneta, perché il settore privato non chiede più soldi a prestito anche se i tassi di interesse sono prossimi a zero. Se lo Stato non prende a prestito quei soldi e fa spesa pubblica, l’economia si avvita. Al contrario, se lo Stato si indebita, il sostegno al reddito privato consente lo smaltimento del debito e l’aggiustamento dello stato patrimoniale. Una volta terminato il processo, lo Stato può pensare al risanamento. Nel frattempo, i tassi di interesse restano bassi perché c’è eccesso di risparmio.

Sembrerebbe ineccepibile, ma non lo è affatto. Quello che per Koo (e tanti altri) è eccesso di risparmio non è altro che denaro precedentemente creato dal nulla tramite il sistema della riserva frazionaria. Negli attuali sistemi monetari, infatti, il debito non corrisponde al risparmio reale, ma a un suo multiplo. Ne consegue che ogni aumento dell’offerta di moneta è intrinsecamente legato all’aumento del debito, e che ogni contrazione del debito comporta una contrazione dell’offerta di moneta. Il problema di Koo e dei keynesiani è ritenere che più moneta in circolazione sia sinonimo di più ricchezza, e viceversa. Ma nei sistemi monetari fiat ciò equivale a credere che sia possibile creare ricchezza dal nulla (in effetti i sostenitori della modern monetary theory, della quale mi occuperò prossimamente, credono proprio che tutti i problemi si risolvano stampando soldi e facendo deficit pubblico). E che i bassi tassi di interesse anche in caso di alto debito pubblico siano un segno di apprezzamento del mercato e non la conseguenza di politiche monetarie ultraespnsive. Con buona pace della realtà e del buon senso.

Dato che è stata proprio la moneta creata dal nulla ad avere provocato la formazione della bolla, una diminuzione della sua quantità e un riallineamento tra debito e risparmio reale non dovrebbero essere intralciati. Ma ciò che propone Koo è l’esatto contrario, invocando la sostituzione di debito privato con debito pubblico. L’effetto è mantenere in vita imprese e banche in stato comatoso per anni, oltre a gonfiare il debito pubblico. Il numero dei fallimenti è ovviamente inferiore rispetto a quelli che si realizzerebbero senza interventi monetari e fiscali, ma a scapito di iniziative che non hanno possibilità di nascere per via della mancata riallocazione di risorse. Più o meno quello che è successo negli ultimi vent’anni in Giappone, dove Koo è stato consulente economico di diversi governi (e si lamenta pure che non lo hanno ascoltato abbastanza).

Si torna sempre al “ciò che si vede e ciò che non si vede” di Bastiat. Un autore certamente sconosciuto a Koo. E non solo a lui, purtroppo.

 

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Comments
  • CARLO BUTTI

    Bei consulenti davvero! Mi viene in mente la parabola evangelica dei ciechi guida dei ciechi

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