In Anti & Politica, Economia

DI MATTEO CORSINI

“Negli ultimi cinque anni abbiamo assistito ad ampie misure di politica economica: negli Usa un’espansione del bilancio della Fed e in alcuni Paesi disavanzi enormi e drastica austerity. Queste misure rappresentano esperimenti su scala naturale, che garantiscono agli economisti informazioni sulla validità dei modelli economici, e i modelli che hanno dimostrato di funzionare sono quelli incentrati sulla domanda, gli approcci più o meno keynesiani, mentre tutto il resto si è dimostrato sbagliato. Gli economisti che avevano proposto questi altri approcci avrebbero dovuto dire: «Mi sono sbagliato. Devo ripensare il mio approccio».” (P. Krugman)

In uno dei suoi soliti pistolotti, Paul Krugman sbeffeggia gli economisti, soprattutto di scuola austriaca, perché nonostante gli abbondanti incrementi di base monetaria effettuati dalle banche centrali da quando è scoppiata la crisi non si è ancora verificato nessun episodio di iperinflazione.

La critica di Krugman dimostra quanto superficiali siano state in tutti questi anni (e dire che si occupa a tempo pieno di economia da almeno 35 anni) le sue letture dei lavori di economisti della scuola austriaca. Non sono certo mancati, anche in anni recenti, coloro che si attendevano incrementi dei prezzi al consumo ben superiori a quelli sin qui verificatisi, ma Krugman pare ignorare che non tutti hanno dato per imminente tale evento (ancorché non lo si possa escludere, qualora le politiche monetarie ultraespansive proseguissero ancora a lungo).

Indubbiamente la globalizzazione, con lo sviluppo cinese e l’abbondanza di prodotti a basso costo immessi sul mercato, oltre ai guadagni di produttività dovuti agli sviluppi delle nuove tecnologie, hanno dato luogo a spinte ribassiste sui livelli generali dei prezzi, che hanno in parte bilanciato gli effetti rialzisti che le politiche monetarie espansive avrebbero potuto avere. Proprio questo, però, ha rappresentato il grande abbaglio che hanno preso le principali banche centrali, troppo concentrate sull’andamento dei prezzi al consumo (per di più, depurati dalle componenti alimentari ed energetiche) e del tutto distratte su quanto accadeva ai prezzi di beni reali e finanziari.

Il punto fondamentale che rende attuale e corretta la teoria del ciclo economico austriaca è proprio quello di considerare gli effetti distorsivi delle manipolazioni sulla quantità di moneta e sui tassi di interesse dovuti alle politiche monetarie delle banche centrali. Distorcendo la formazione dei prezzi dei fattori di produzione ancor prima che di quelli dei beni di consumo (ciò che, in ogni caso, dà luogo a una variazione dei prezzi relativi, anche a prescindere da un aumento generalizzato), induce chi deve prendere decisioni di investimento a compiere errori in merito alla profittabilità attesa degli stessi. In sostanza, il valore attuale netto di taluni investimenti risulta a priori positivo solo per effetto delle manovre monetarie espansive, che comprimono i tassi di interesse utilizzati per scontare i flussi di cassa attesi. Di qui un aumento della domanda sui fattori di produzione (spesso finanziata a debito) che ne produce un rialzo nei prezzi. Il fatto che oggi sia necessario più tempo che all’epoca in cui fu elaborata la teoria affinché l’aumento dei prezzi raggiunga i beni di consumo non significa che la cosa debba essere esclusa, né che le politiche monetarie espansive non abbiano effetti negativi.

L’aumento dei prezzi (o, paradossalmente, anche la mancata o minore diminuzione rispetto alle dinamiche di mercato in assenza di interventi) dei beni reali e finanziari conseguenti agli allentamenti quantitativi degli ultimi anni non sono l’effetto di un risanamento dell’economia, e risulteranno difficilmente sostenibili.

Ciò detto, Krugman, che pure non è un fanatico delle politiche monetarie espansive, dovrebbe rendersi conto che nessun programma di deficit spending, men che meno delle dimensioni che lui potrebbe ritenere adeguate (un punto su cui, peraltro, i keynesiani non sono mai del tutto chiari) potrebbe essere implementato senza che la stampante della banca centrale funzioni a pieni giri.

Ma poi è proprio vero che “i modelli che hanno dimostrato di funzionare sono quelli incentrati sulla domanda, gli approcci più o meno keynesiani, mentre tutto il resto si è dimostrato sbagliato”? Se si guarda solo agli effetti immediati, si nota che le politiche keynesiane sostengono il Pil. E, aritmeticamente parlando, non potrebbe essere altrimenti, dato che la spesa pubblica viene (a mio parere discutibilmente) considerata con segno positivo nel calcolo del Pil. Krugman e i keynesiani, ancorché a volte dicano il contrario, si fermano qui. Il fatto è che (per fortuna) dopo l’oggi c’è anche il domani. E dato che l’accumulazione di deficit non porta solo Pil, ma anche un aumento dello stock di debito, prima o poi il problema di come mantenerlo sostenibile si pone, soprattutto perché all’aumentare del debito diminuisce l’apporto del settore privato alla crescita del Pil stesso.

Ecco, nel momento in cui la crisi attuale è scoppiata, i principali paesi sviluppati avevano già stock di debito (lascito anche di politiche keynesiane) piuttosto elevati e pressioni fiscali non irrisorie.

Probabilmente Krugman ritiene che ciò non sia un problema, ma allora dovrebbe dire chiaramente che l’unico modo per mantenere politiche fiscali espansive ed evitare che il debito diventi presto insostenibile è stampare denaro. La mia domanda è: crede forse che sia possibile farlo all’infinito senza alcun problema?

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Showing 3 comments
  • mark

    Anche stampando più moneta, il problema è la redistribuzione. Se questo stampaggio serve solo a permettere vita agiata a politici e loro corte, magari un aumento degli stipendi, macchine nuove, e benefit che nemmeno immaginiamo, sarebbe del tutto inutile. Se invece i soldi stampati venissero pompati nell’economia reale e produttiva (lavoratori, disoccupati, persone con difficoltà…), non ci vorrebbe uno stampaggio infinito per riattivare l’economia reale. Magari si potrebbe intervenire periodicamente per sostenere la domanda. Insomma dipende da dove si va ad investire: economia reale o statalismo. Nella specificità italiana, va notata l’assegna di ogni forma di reddito da disoccupazione o da cittadinanza, nonostante la presenza della caritatevole chiesa cattolica, che a fronte di proclami di solidarietà , non ha mai usato il suo potere per chiedere una forma assistenziale diffusa in quasi tutta europa e molti paesi sudamericani (!!!), ne tanto meno una riduzione delle inutili spese militari per evitare la riduzione dei posti letto negli ospedali (cacciabombardieri, maserati per i generali, più ufficiali che soldati semplici, più ufficiali che tutti gli Stati Uniti messi insieme, avanzamenti di carriera prima della pensione per una vecchiaia d’oro…ecc…). In Italia non c’è proprio religione! Purtroppo.

  • mark

    Faccio notare, che la manodopera a basso costo in paesi come la Cina, non è legata al libero mercato ma alla dittatura comunista. Ovvero la politica detta le leggi per vincere la sfida economica internazionale obbligando la gente a lavorare per la scodella di riso. Quando i cinesi si ribellano per chiedere miglioramenti, intervengono le forze dell’ordine a pestarli per bene. Se si collegano a Internet possono consultare solo i siti consentiti dal regime comunista. Se i cinesi potessero informarsi e agire liberamente, già da domani diverrebbe meno conveniente produrre in quei paesi e molte industrie andrebbero altrove. Certo non in italia, che pur tornando alla lira, non decollerebbe per colpa di tasse stellari e burocrazia volta a creare posti per gli amici della politica senza alcun vantaggio per la società.

  • Albert Nextein

    A leggere le teorie che krugman perora mi sorge il sospetto che costui sia affetto da una qualche turba della personalità.
    Forse una vera e propria psicopatia.
    Ci ha mai pensato qualche psicologo del gruppo?

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