In Libertarismo

Tarocchi-misesDI HENRY GRADY WEAVER*

Il pagano ha una visione fatalistica della vita. Crede che l’individuo sia indifeso; che sia facile preda di implacabili “forze” esterne; che non ci sia nulla che egli possa fare per migliorare la sua esistenza.

La grande maggioranza delle persone è sempre stata pagana. Una grossa fetta lo è ancora. E’ una credenza ben radicata, le cui origini si perdono nell’antichità.

La mitologia narra di come gli Dei governino tutto ciò che riguarda la vita umana. Alcuni governano i tuoni; altri i fulmini; altri la pioggia. Altri ancora le stagioni, l’abbondanza del raccolto, la moltiplicazione del gregge e la nascita dei bambini.

Vi erano Dei del sole, dell’amore, dell’invidia, dell’odio e della guerra. Dei capricciosi e mattacchioni vegliavano su tutto. Tutto quello che l’uomo poteva fare era convivere in pace con loro compiendo sacrifici, umani e di ogni genere, dettati dalle usanze tribali.

In tempi antichi, le divinità pagane erano conosciute con nomi diversi – Zeus, Iside, Osiride, Eros, Giove, Giunone, Apollo, Venere, Mercurio, Diana, Nettuno, Plutone, Marte. In seguito, hanno ricevuto nomi moderni, ma l’idea di fondo rimane la stessa.

Secondo la visione pagana, l’uomo non ha controllo di sé, non è responsabile delle sue azioni. L’universo pagano è privo di tempo, di cambiamento, è statico: non c’è nulla di simile a un progresso. Qualsiasi apparente cambiamento è una mera illusione: l’uomo è passivo, il suo ruolo è fisso; non ha libero arbitrio e il suo destino è immutabile. Se prova a desistere, i suoi sforzi saranno futili.

La concezione pagana dell’essere umano è simile a quella di un bambino. Il neonato non ha ancora imparato a controllare sé stesso. Dev’essere sgridato prima che possa anche solo respirare e, per un po’ di tempo, si farà male da solo quando proverà a usare i suoi giochi. Non riesce ad alimentarsi; dev’essere nutrito. Si accanisce continuamente. Calore, affetto, cure – tutto gli è garantito da qualcun altro, più capace di lui. Chi lo accudisce, lo sorveglia in tutte le sue azioni, ma non può comandarlo. Avete mai provato a placare le urla di un bambino quando non vuole saperne di smettere?

Se è vero che i bambini imparano a pensare e a parlare, ciascuno di essi imparerà anche che c’è qualcuno che si prende cura di loro. Ma quando cresceranno, col tempo, diventeranno delle persone adulte capaci di autogestirsi. Nel corso della storia, fino ai giorni nostri, poche fra queste persone hanno sperimentato la libertà compiuta.

Un’antica credenza

Molte persone fanno ancora affidamento sulla credenza antica secondo la quale gli uomini non sarebbero responsabili delle proprie azioni. Per migliaia di anni, la maggioranza ha sempre creduto che gli uomini fossero soggetti passivi, controllati da qualche autorità super-umana o super-individuale e, per migliaia di anni, le persone hanno sofferto la fame.

Una delle più antiche (se non la più antica in assoluto) fra le forme di culto pagano si fonda sull’idea per cui il destino dell’umanità sia guidato dalla volontà collettiva della comunità, piuttosto che dall’iniziativa e dalla libera volontà delle singole persone che la compongono. E’ vero che gli esseri umani devono scambiarsi aiuto reciproco gli uni con gli altri su questo pianeta pericoloso e inospitale; da questo vago senso di parentela naturale – la fratellanza fra gli uomini – i nostri antenati arrivarono a credere di essere governati dallo spirito di Demos, una sovra-individuale volontà della “massa”, detentrice di ogni autorità e onnipotenza.

Questa mistica coscienza collettiva è conosciuta come “il bene comune”, considerato più importante del bene dell’individuo – esattamente come l’intero organismo umano è più importante della vita di ogni cellula al suo interno. E’ in questo concetto che troviamo l’origine del sacrificio umano alle divinità pagane. Nessuno esiterà a distruggere le cellule dei capelli sul proprio capo, né le unghie delle proprie dita; questi non sono, in, sé dei componenti fondamentali. Il loro unico valore è la funzione che rivestono per il corpo umano nella sua totalità: quindi, per il “bene comune”, sono da sacrificare senza esitazioni.

E’ precisamente sotto queste influenze che i sacerdoti aztechi trafiggevano con un coltello le loro vittime sull’altare, attraverso incantesimi sacri, strappandone il cuore sanguinante. E, nello stesso “spirito”, i Cretesi sacrificavano le loro figlie più amate al Minotauro e i Cartaginesi bruciavano i loro neonati per placare l’ira del Dio Moloch.

Alcuni tipi di insetti, attualmente, sembrano essere governati da un’autorità “esterna”. Le api, per esempio, sembrano del tutto prive di iniziativa individuale propria. La volontà dello sciame sembra “manovrarle”. La vita dell’ape si esaurisce in un’anonima e perenne fatica per il bene collettivo; sembra essere lo sciame la vera creatura vivente. Se la regina scompare, centinaia di migliaia di api muoiono, svanendo come corpi senz’anima.

Uomini contro Api

I collettivisti, antichi e moderni, ritengono che la società umana debba essere regolata sul modello dell’alveare. Per alcuni, è un concetto affascinante – almeno per coloro che lo teorizzano, inclusa la maggioranza degli scrittori “ufficiali”. E’ più semplice ipotizzare degli esseri umani “coesi” fra di loro, oppure, la presenza di un’autorità in grado di “compattarli”. Ma pensare ciò, vuol dire pensare come un’ape – ammesso che un’ape pensi.

Il punto centrale della questione è questo: gli esseri umani, con le loro speranze, aspirazioni e facoltà di ragionamento, sono completamente diversi dalle api; l’uomo riesce a combinare la curiosità consapevole coi riscontri dell’esperienza e, quando può farlo, questa combinazione paga dividendi continui. A differenza degli animali, egli riesce a migliorare sé stesso e i suoi affari attraverso la sua curiosità.

Le api, col passare del tempo, continuano a comportarsi come automi, costruendo le stesse piccole gabbie di cera. La società umana, invece, è costituita da legami imprevedibili fra gli individui: il ragazzo che incontra la ragazza, la signora Jones che telefona al signor Smith, Robinson che acquista un sigaro, l’automobilista che si ferma per fare il pieno, il ministro che fa il suo giro di chiamate, il postino che consegna le lettere, il lobbista che snobba il fattorino e incontra un membro del Congresso, lo scolaro che compra gomme da masticare, il dentista che annuncia: “Wider, prego!”.

La società non è altro che l’immensa quantità delle relazioni fra le persone nelle loro infinite varietà di spazio e tempo.

Lo scopo della società

E qual è l’elemento costante di tutte queste relazioni? Perché una persona tende a voler incontrare un’altra persona? Qual è lo scopo umano nella società? E’ quello di scambiare un bene in cambio di un altro che desideriamo maggiormente.

Sul piano personale, si tratta di avere un beneficio dall’ottenere qualcosa che desideriamo da un’altra persona la quale, allo stesso tempo, beneficerà dal ricevere qualcosa che desidera da noi. Gli obiettivi della transazione sono lo scambio pacifico di beni, il reciproco aiuto e la cooperazione – per la crescita di entrambe le persone. La quantità incalcolabile di queste relazioni è la società umana, che comprende semplicemente tutte le azioni individuali umane che riflettono la fratellanza fra gli uomini.

Discutere le responsabilità della società come qualcosa di interamente astratto, come se la società fosse uno sciame di api, è una semplificazione grossolana oltre che una fantasia. Il mondo reale è fatto di persone: il vero sviluppo umano è quello che interessa l’individuo. Non ci sono scorciatoie!

Ma ancora oggi, molte persone civilizzate – persone simpatiche, acculturate, gentili, fra cui anche nostri amici, vicini e chiunque di noi a un certo punto – confidano nella credenza pagana secondo cui il sacrificio della singola persona contribuisce a un bene superiore.

Questa superstizione sopravvive grazie a un falso ideale di altruismo – che, in realtà, enfatizza la conformità al volere della massa – contrapposto alle virtù cristiane della fiducia in sé stessi, della capacità di migliorarsi, di accrescere la propria fede, il rispetto di sé, l’autodisciplina, insieme al riconoscimento dei “doveri”, così come dei “diritti”, del singolo.

Questo tipo di pensiero è promosso sotto l’egida della riforma sociale, ma ridona lustro ai tiranni del “buonismo” – i führers, i dittatori, i Signori – che fanno scempio dei loro stessi sudditi, gli stessi individui che guardano a loro per una vita migliore e per la protezione dal pericolo.

Oggi, molti omicidi, vengono definiti “liquidazioni”,“purificazioni di sangue”, “operazioni sociali”; ma vengono giustificati sulla base della barbarie pagana – il sacrificio dell’individuo con la scusa di perseguire il preteso “bene comune”.

Filantropi con la ghigliottina

Nel suo esauriente scritto, “Il Dio della Macchina”, Isabel Paterson descrive importanti distinzioni fra  la bontà cristiana rivolta al sollievo dalla sofferenza e gli sforzi fuorvianti di coloro che ne fanno un veicolo per l’auto-esaltazione.

Sottolinea, poi, come la maggioranza dei principali mali del mondo è stata causata da persone con buone intenzioni, che hanno ignorato i principi della libertà individuale, applicandola soltanto a loro stessi, essendo ossessionate dalla convinzione fanatica di migliorare le sorti dell’umanità con una formula più adatta a degli animali addomesticati. “E’ a questo punto” – afferma – “che i filantropi preparano la ghigliottina”.

Seppure animati da buone intenzioni, questi propositi sono solitamente frutto di megalomania, fomentata dall’auto-suggestione. L’idea è questa:

“Io sono nel giusto. Quelli che sono in disaccordo si sbagliano. Se non possono essere ‘rettificati’, devono essere eliminati”.

L’egoismo, un tratto della natura umana, talora può essere costruttivo quando è mantenuto entro certi limiti. Ma è un modo di fare altamente presuntuoso, da parte di un mortale, quello di autoconferirsi l’abilità di affrontare le vicende di tutti i suoi simili meglio di quanto possano fare loro stessi, individualmente.

Come osserva Miss Paterson, i danni provocati da criminali, assassini, gangsters e ladri ordinari sono trascurabili se paragonati alle agonie inflitte agli esseri umani dai “buonisti” di professione, che si autoproclamano Dei in terra imponendo spietatamente le loro vedute sugli altri – con l’inoppugnabile sicurezza per cui il fine giustifica i mezzi.

Ma sarebbe un errore considerare i “buonisti” dei bugiardi. Il pericolo sta nel fatto che la loro fede è altrettanto ardente e sincera quanto quella dei sacerdoti aztechi.

Articolo di Henry Grady Weaver su Mises.org

 

*Link all’originale: http://vonmises.it/2013/03/15/la-visione-pagana/

Traduzione di Pasquale Salcina

 

 

 

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Showing 6 comments
  • Liberalista

    Da qualunque religione derivi il concetto collettivista, rimane un concetto religioso.
    Sono certo che chi ha deciso di pubblicare qui questo articolo (al netto di quello che ne pensa l’autore dal punto di vista della storia delle religioni) voleva mettere in evidenza l’atteggiamento religioso e superstizioso di chi si affida alle decisioni collettive, al Leviatano o a qualunque organismo collettivo considerandolo invincibile e superiore, rispetto alla “fatica” della libera scelta. Senza la quale, pero’, l’essere umano non sarebbe tale.

    Quindi, bando alle ciance su quale religione sia la migliore. Non c’entra nulla con il senso dell’articolo.

  • Sigismondo di Treviri

    Idiozie! Il concetto di individuo come essere svincolato dalla sorte e dal pensiero degli altri individui, nasce in Grecia, civiltà esclusivamente e profondamente pagana. Per chi volesse approfondire legga: “La cultura greca e le origini del pensiero europeo” di Bruno Snell. Oppure ” La formazione dell’uomo greco” di Werner Jaeger.

    • Fidenato Giorgio

      Infatti in Grecia era ammessa la schiavitù. Che poi la religione cristiana abbia avuto delle influenze della cultura greca lo sappiamo tutti, ma il cristianesimo è stata la prima religione che ha detto che gli uomini sono tutti uguali e che la vita dell’uomo merita rispetto. Prima non era così!!!!

  • Diego Tagliabue

    Veramente non ho mai sentito tante pirlate, dette in una volta, fino ad ora.

    La passiità è tipica delle religioni abramitiche (ebraismo, cristianesimo e islam in quasi tutte le salse): questi uomini, gli abramitici, aspettano la manna dal cielo, concessa e donata dal “Dio che atterra e suscita, affanna e consola”.

    Il mondo pagano è molto variegato e soprattutto le culture indoeuropee precristiane sono quelle deli uomini, che non pregano il loro dei. Al contrario: arrivano a sfidarli come se fosse un dovere morale, di quella morale non intaccata dal “peccato originale”.

    Basta vedere la figura di Wotan/Odin, che si eleva allo stato di conoscenza superiore, rinunciando a una parte della “vista terrena”.

    Prometeo, al contrario, non viene punito da Zeus/Jupiter perché ha “sosato sfidarlo”, ma perché è fallito nella sua impresa.

    Il mondo antico, precristiano, non è basato sulla cacciata dal paradiso terrestre per una mela (che magari era pure bacata)!

    Basti pensare che la parola “religio” in realtà nel latino pagano significa superstizione.

    Il modus vivendi del mondo antico, soprattutto dei cosiddetti presocratici, è preso come esempio positivo da un certo Friedrich Nietzsche, il quale non era proprio un “religioso” e non predicava la passività, bensì la liberazione (nel senso di scatenamento) della volontà.

    • Fabrizio

      Condivido pienamente. Aggiungo soltanto, se posso, che il politeismo pagano è una forma di democrazia ante litteram. Non un solo dio, non un solo approccio alla vita. Da ciò deriva il pluralismo dei centri di potere e la tolleranza verso il pensiero/religione altrui che vengono integrati, ma senza essere assorbiti, come è invece caratteristico delle religioni monoteiste.

      P.S. Nella Bibbia in verità non si dice nulla sul tipo di frutto che portò alla cacciata dal Paradiso terrestre.

  • Fabrizio

    Il contenuto di questo articolo mi sembra del tutto sconclusionato e filosoficamente superficiale. La definizione di paganesimo viene data a colpi di luoghi comuni. La sua rappresentazione come un sistema culturale compatto e univoco è risibile. Lo si paragona al collettivismo? Ma che c’entra? La visione antropocentrica cristiana è madre dell’Occidente e anche del liberalismo (non siate superficiali) e guardate dove ci ha portato. Due libri utili: Louis Dumont, Saggi sull’individualismo; Marc Augé, Genio del paganesimo.

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