In Anti & Politica, Saggi

OLTRE-LA-DEMOCRAZIADI MICHELE LIATI

Ammettiamo, solo per ipotesi, che il problema prioritario del nostro paese sia l’alta disoccupazione, che ormai riguarda, tra misurata e reale, almeno 4 milioni di individui, in particolare un giovane su tre (tra i 15 e i 30 anni). Prima cosa sarebbe stabilire se:

a) la “politica” ha qualche colpa riguardo a questo fatto;

b) la “politica” ha qualche soluzione riguardo a questo problema.

Ma prima ancora di questo, bisognerebbe rispondere al quesito: ma chi stabilisce che quello è il problema “prioritario”?
Secondo il metodo “democratico” sarebbe compito dei cittadini; nel caso specifico, a fronte di 4 milioni di disoccupati restano comunque oltre 22 milioni gli occupati, e oltre 11 milioni i pensionati. Quindi, oltre 33 milioni che non sono “toccati” da questo problema;
perché quindi dovrebbe essere un problema per loro?
Anzi, pur avendo un stipendio o un assegno pensionistico, l’occupato o il pensionato si lamenterà delle tasse, dell’inflazione..del fatto che qualcuno gli ha bloccato gli adeguamenti automatici alla pensione..
Ognuno ha sempre qualche motivo per lamentarsi della propria situazione, e ben pochi motivi per occuparsi di quella altrui.
Quindi, è ben difficile che questa “priorità” venga stabilita, a maggioranza, dagli stessi cittadini.

Dovrebbe quindi esistere, nei politici, un senso di responsabilità, che sappia focalizzare la propria attenzione sui problemi, a dispetto delle indicazioni che riceve dalla “maggioranza” dei cittadini; ma non è nella natura della “democrazia” questa capacità, perché la democrazia vive esclusivamente di consenso.

Messo da parte questo punto, comunque critico, torniamo alla questione di partenza:

a) la politica ha qualche colpa riguardo a problemi come questo?

Ovviamente la “politica” rimanderà al mittente qualsiasi tipo di addebito, ma è indubbio, nel caso specifico preso ad esempio, che fenomeni così vistosi e drammatici non possono trovare giustificazione nella ‘normale’ dinamica economica; certo, fino a quando l’economia era prettamente agricola, carestie e disastri naturali potevano provocare conseguenze anche più drammatiche, ma per economie come le nostre ormai affrancate dagli scherzi della natura, le cause di eventi economici di questa entità non possono che essere cercati nel ‘sistema economico’ stesso, e in particolar modo, nelle sue interazioni con la ‘politica’.
Molti, liberali, potrebbero a questo punto trovare un solo colpevole per questo problema: lo Stato. Ma a differenza loro, io non credo che lo Stato sia il prodotto di una recente invasione aliena (di quelle sperimentate solo nei film), che vedono una popolazione totalmente buona oppressa da un’altra ‘razza’ violenta e disumana. No, ogni sistema economico, ogni società, interagisce strettamente con quella che possiamo chiamare “politica” , e ognuna è il prodotto di questa interazione.
Per questo, preferisco parlare di responsabilità della “politica” in senso lato.

b) la “politica” ha qualche soluzione riguardo a questo problema.

In realtà, per il punto successivo, che la “politica” abbia responsabilità o meno è del tutto indifferente; ma sarà magari importante per stabilire quale possa essere la soluzione al problema; se è la “politica” la colpevole, se qualche sua azione ha provocato tutto ciò, non resta forse che tornare sui propri passi, eliminando l’azione che ha creato il problema; ma spesso, anche questo può non essere sufficiente.
La questione è ben importante per stabilire se la soluzione al problema voglia dire, in sintesi, “meno politica” o “più politica”.
Ma in qualsiasi caso, che valga una cosa piuttosto che l’altra, la soluzione, così come la decisione riguardante le “priorità” dei problemi, risente dell’opinione della maggioranza, con quanto già detto.

Ammettendo che il problema indicato possa essere risolto con la soluzione X, è molto probabile che la soluzione X possa toccare gli interessi di qualche individuo o gruppo di individui. Potrebbe essere le tasse… o la moneta… o le pensioni. Qualsiasi possibile soluzione troverà una forte opposizione.
E perché mai, quindi, la maggioranza che non è nemmeno disposta a considerare il problema come “problema”, né tantomeno come “prioritario”, dovrebbe essere disposta ad adottare qualche misura che potrebbe (anche solo per ipotesi) danneggiare in qualche maniera i propri interessi?
Anche in questo caso, servirebbe un “buon governo” che guardasse “oltre” gli interessi della maggioranza; ma anche in questo caso, questa lungimiranza non è nella natura della democrazia.

In buona sostanza, la democrazia non può che essere quella che indicava Bastiat un secolo e mezzo fa: una lotta per la spoliazione reciproca; uno strumento per delinquere attraverso la legge. Quindi, non è proprio possibile un’alternativa a questa democrazia?

Certo che è possibile. La politica può funzionare se e solo se l’arbitrio del potere è limitato a priori; indipendentemente da quanto “buono” o “cattivo” possa essere il governante che raccoglie la fiducia dei suoi cittadini. E questi limiti non possono che fondarsi sui diritti degli individui. Qualsiasi altro sistema politico che non abbia per fondamento questi diritti è destinato a naufragare in un sistema dispotico e violento, anche quando riesce a mascherare questo carattere dietro un’apparente “legalità”.

In un sistema che limiti il potere, le istituzioni stesse dovrebbero avere come primo compito quello di “controllare” chi detiene effettivamente il potere esecutivo, per ridurne il più possibile l’arbitrio e costringerlo ad operare esclusivamente nel rispetto dei diritti individuali.

In Italia, tutto questo non è possibile, da tempo, e forse non lo è mai stato. Chi comprende questo fatto e rifiuta completamente di partecipare al “teatrino” della politica viene quasi sempre tacciato come “antidemocratico”, “privo di senso civile”, “individualista-utopista”… ecc.

Come detto, io non credo che la “politica” sia sempre una “peccato”; lo è senz’altro qui ed ora. Quindi… cosa fare?

Certamente, chi rifiuta la “politica” ha la tendenza a rifugiarsi nella propria individualità; a vivere la propria vita nel migliore dei modi, senza voler intralci e rapporti con essa.
Personalmente, io non credo che questa sia la soluzione migliore; è difficile, certo, ma credo nella possibilità di promuovere qualche ‘battaglia’ al di fuori della politica; ma questo può essere vero se si è disposti a puntare sui diritti individuali, e se si è disposti a puntare sui singoli individui.

Nonostante tutto, in questo paese, ci sono persone straordinarie che ci provano o che ci hanno provato.  Sta a noi non lasciarle sole; sta a noi seguirne l’esempio; per creare veramente un’alternativa che possa un giorno permetterci di pronunciare la parola “politica” senza che diventi sulla nostra bocca sempre e soltanto una parolaccia.

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Showing 2 comments
  • CARLO BUTTI

    Quello sopra esposto mi sembra il principio liberale classico: un sistema fondato su un suffragio più o meno esteso, all’interno di un quadro costituzionale che tutela, in quanto inviolabili, i diritti fondamentali del cittadino. Ma questo è il dio che ha fallito di cui parla Hoppe! Non credo che il pensiero dei libertari possa proporre minestre riscaldate; fra le quali pongo non solo il neo-costituzionalismo sopra adombrato, ma anche -mi si perdoni- il neo-nazionalismo dei micro-Stati. Mi sembra di guardare dentro un cannocchiale rovesciato: tutto più piccolo, ma esattamente come prima.

  • andre

    Non ho capito, dice che bisogna partecipare alla politica oppure no? Cosa sono le ‘battaglie’ fuori della politica? E quali probabilità di vittoria ci sono contro gli interessi organizzati della ‘spoliazione’?

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