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RIVOLUZIONE_FRANCESE_LIBROdi REDAZIONE

In Italia, l’apologetica intrepretazione della Rivoluzione francese è ormai assodata. Ma in realtà, guardandola con gli occhi distaccati dello storico, non è tutto rose e fiori, come tutti i democratici vanno raccontando pubblicamente e gli insegnanti spiegando nelle scuole.

Le considerazioni presenti nel volume di prossima edizione dalla LEONARDO FACCO EDITORE sono tese a dare una risposta almeno a due grandi interrogativi relativi alla Rivoluzione francese, rivoluzione che sul finire del secolo XVIII ha scompaginato l’intera storia dell’umanità.

Innanzitutto: come sia stato possibile che una serie di eventi di efferata brutalità, o di innegabile immoralità, che una serie di vicende che hanno comportato enormi costi umani ed immani sacrifici siano stati recepiti, nell’immaginario dei più e nella coscienza moderna, in una luce totalmente positiva. Oltretutto, questa sorta di glorificazione acritica sconfessa proprio quel presupposto intellettuale dei sommovimenti politici del 1789, quella filosofia dei Lumi che intendeva finalmente rischiarare la ragione ottenebrata dai pregiudizi.

La seconda domanda a cui si è provato a dare risposta riguarda il motivo per cui la Rivoluzione giacobina è stata generalmente intesa come la grande occasione di affermazione dei diritti individuali quando, invece, essa ha rappresentato la imponente accelerazione di quel centralismo statalista che ha come primo ed inesorabile effetto quello di ridurre la persona alla totale dipendenza dal potere politico. Strana emancipazione – quella prodotta dalle trasformazioni messe in atto a partire dal 1789 – che ha reso la vita dell’uomo compiutamente subordinata al primato dello Stato.

Il volume contiene una serie di riflessioni critiche nei confronti delle svolte politiche e sociali, intorno alle date più significative degli eventi rivoluzionari. Possiamo sinteticamente dire che si è provato a passare in rassegna la vicenda dell’Ottantanove francese attraverso alcuni episodi ed alcune tematiche particolarmente rivelatrici della natura dell’ideologia.

L’AUTORE: Beniamino Di Martino è sacerdote della diocesi di Sorrento-Castellammare (in provincia di Napoli). È direttore di «StoriaLibera. Rivista di scienze storiche e sociali» (www.StoriaLibera.it). Insegna Dottrina Sociale e Storia della Chiesa.

Tra le sue pubblicazioni: Note sulla proprietà privata (2009), Il volto dello Stato del Benessere (2013) e I progetti di De Gasperi, Dossetti e Pio XII (2014).

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Potete prenotarlo, inviando una mail a: Leonardo.facco@tiscali

PREZZO DI COPERTINA 17 EURO (spedizione gratuita)

 

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Showing 16 comments
  • lorenzo s.

    Sarà disponibile in formato ebook?

  • Giuseppe Cerasaro

    Io li chiamo liberali all’amatriciana.
    La sostanza non cambia.

  • spago

    Bello il discorso di Bagus: come è nello stile austriaco, si esprime in modo estremamente chiaro e semplice. Io non capisco come uno possa non capire questo e far finta invece di capire e trovare sensati i vari Stefano Rodotà, Ugo Mattei, Slavoj Zizeck, Latouche, Zygmunt Bauman, Naomi Klein, Loreta Napoloeni, Diego Fusaro, Gianni Vattimo, Luciano Gallino, etc.. etc.. che ad ogni pagina per lo più sono incomprensibili e senza senso e nella parte restante è evidente che sono del tutto illogici.

  • spago

    Quello che fa rabbia è lo stupro della parola liberale quando tutto quello su cui si discute in Italia è sull’orientamento da dare allo statalismo (a seconda delle clientele e dei favori da distribuire). Togliere i soldi dal welfare e investirli nella difesa, togliere i soldi alla difesa e investirli nel welfare. Giocano tutti a monopoli e a risiko coi soldi degli altri!

  • Giuseppe Cerasaro

    Spago, la tua solidarietà mi conforta. Non mi capita spesso di trovare persone che sono d’accordo con me. Sono una bestia rara, e lo so. Certo, un Liberale non è comunista. Ma nemmeno fascista. Perché ambedue sono statalisti. Guy Van der… come cavolo si chiama è comunque un progressista, perché un Liberale bon può essere conservatore. La retorica dei due maro è estranea a un liberale tanto quanto l’adulazione acritica delle forze di polizia. Pannella, per esempio è un Liberale (scissione del 52) Ma hanno diritto alla coabitazione anche idee diverse. Lo Stato Laico ne è un fondamento. Il che non significa essere per forza atei. Per quezto la Rivoluzione Francese piace poco ai Conservatori Cattolici. Il centralismo il federalismo non possono essere tratti distintivi. Se lo Stato Centrale funziona bene (o abbastanza bene, come in Francia) si può anche essere centralisti. Se funziona come l’Italia, è giusto essere federalisti. Anche se in Italia fanno pena anche Regioni, Province e Comuni. Comunque, per capire il Liberalismo si parte dallo storicismo hegeliano. Da li si dipartono, come un bivio, Marx e Benedetto Croce.

  • spago

    Sono d’accordo con Giuseppe Carasaro sull’analisi che fa dell’Italia: i liberali italiani sono finti anche come semplici liberali non libertari. In realtà sono semplicemente di destra, con la scusa dell’anticomunismo. Certo che un liberale non può che avversare il comunismo, che scoperta, ma se si trova costantemente alleato di nazionalisti, destra sociale, fascisti/neofascisti e via dicendo, in funzione sedicente anticomunista, quando un liberale decente dovrebbe avversare anche tutto questo oltre che il comunismo, a un certo punto smette di essere un liberale e diventa semplicemente un destroso. Infatti è questa la storia dei liberali per finta italiani, pur di essere anticomunisti va bene Berlusconi, va bene Storace, va bene Salvini lepenista, va bene Fratelli d’Italia e così via.. votano Alemanno e Polverini, applaudono alle operazioni CAI, sono proibizionisti con Givanardi, e così via.. e la politica estera è uno dei campi più penosi. Anche le voci liberali non organiche ai partiti e che vogliono essere più autentiche, sulla politica estera si incartano. Su l’Intraprendente, un quotidiano che non è particolarmente servo del centrodestra attuale e che si picca di essere liberalissimo, si leggono continuamente articoli “pacati” che dicono cose così:

    “Per combattere l’Isis in Libia serve un’occupazione militare delle città, dei pozzi petroliferi, delle vie di comunicazione. Il modello? L’invasione dell’Iraq. Invece, la riluttante classe dirigente del mondo libero sproloquia di diplomazia, di “peacekeeping”, al massimo di Onu…” di Maria Giovanna Maglie (ma sulla stessa linea tutto il giornale).

  • Giuseppe Cerasaro

    È proprio questo il problema. Il giudizio storico, ormai ampiamente consolidato, è diverso da quello etico o da qualsiasi altra valutazione. E il giudizio storico promuove la R.F. mentre boccia senza appello quella di Ottobre. Per me, che sono Liberale e Libertario (e non da ieri) la R.F. è sempre stata uno dei punti di riferimento. Se non altro, perché è stata feconda di esiti progressivi. Ma abche per tutti gli altri Liberali del Mondo. Ma in Italia un chiaro pensiero Liberale non c’è mai stato. Basti pensare che nentre Churchill, De Gaulle e Roosevelt facevano la guerra a Hitler e Mussolini, i Liberali Italiani erano dall’altra parte. E la storiografia politica recente ci ha riproposto di nuovo questo logoro schema. E anche la Lega, bata con forti connotazioni liberali con Miglio e Pagliarini, finisce con assumere una fisionomia consetvatrice con Salvini. Questa ossessione dell’anticomunismo finisce per diventare la prigione delle idee.

  • Giuseppe Cerasaro

    Mah, una prospettiva molto parziale.
    Le Rivoluzioni sono Rivoluzioni.
    Inutile andare alla ricerca dell’etica e dei comportamenti lineari e rigorosi. Comunque, la Rivoluzione Francese è stata sooratutto una Rivoluzione Borghese, tanti che i marxisti l’ hanno avversata per lungo tempo, tanti quanto i cattolici conservatori. I Liberali sono altra cosa. Mi pare che siamo alla confusione delle lingue.

    • leonardofaccoeditore

      Mi pare che lei confonda storia con propaganda

  • Pedante

    Centinaia di miglaia dei suoi cloni cercheranno sicuramente di portare a termine il lavoro di Robespierre. Questa volta però non è l’aristocrazia che deve scomparire ma gli autoctoni.

  • Guglielmo Piombini

    Grazie Enrico Sanna per l’interessante segnalazione.

    Stando a queste fonti i rivoluzionari francesi avevano in mente di realizzare, con due secoli d’anticipo, un programma del tutto simile a quello dei khmer rossi in Cambogia: rigenerare la società francese facendo tabula rasa di tutta la popolazione ancora contaminata dalle idee dell’antico regime. Non a caso Pol Pot aveva studiato a Parigi!

    La caduta di Robespierre probabilmente limitò lo sterminio alla sola regione della Vandea.

  • leonardofaccoeditore

    Grazie

  • Enrico Sanna

    Questa riflessione ci voleva. Proprio qualche giorno fa Gary North ha pubblicato un articolo che parla di un aspetto poco discusso della rivoluzione francese: il progettato sterminio della popolazione francese (http://www.garynorth.com/public/13370.cfm). North fa riferimento ad un libro pubblicato un secolo fa, sempre nascosto, boicottato, ma mai smentito: The French Revolution, di Nesta Webster (http://garynorth.com/WebsterFR.pdf). Vi invito a leggere l’articolo di Gary North e il libro della Webster.

    • Mario

      Grazie per la segnalazione

  • Guglielmo Piombini

    Lo leggerò con grande interesse!

    • leonardofaccoeditore

      Grazie

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