In Anti & Politica, Libertarismo

7di RICCARDO GHEZZI*

Giacomo Zucco è il portavoce nazionale del movimento Tea Party Italia. Gli abbiamo rivolto alcune domande per conoscere meglio la mission del Tea Party e le ultime iniziative.

QELSI: Giacomo Zucco, si parla molto del Tea Party Italia, quindi chissà quante volte ti hanno fatto la stessa domanda sulla mission del movimento, ma noi vorremo anche dare un taglio diverso a questa intervista ponendo l’accento oltre che sul gruppo su ciò che ha significato per te tua esperienza di attivista e portavoce nazionale al suo interno. Cosa hai da raccontarci in proposito?.

Giacomo Zucco: Al di là dell’importanza della battaglia che conduciamo con il movimento, che ritengo una battaglia di civiltà e di buon senso contro l’ideologia fanatica, pericolosa e irresponsabile dello statalismo, la militanza ha significato molto per me anche in termini personali. Innanzitutto per le persone che ho incontrato in questi 5 anni: molti di loro sono adesso tra quelli che considero i miei migliori amici in assoluto, e non li ho conosciuti a scuola, al lavoro o facendo vacanze, ma organizzando conferenze, volantinaggi, cortei, elaborando insieme articoli, strategie, riflessioni. Se vogliamo possiamo dire che il rapporto che si crea tra persone che hanno in comune una battaglia, un ideale o un modo di guardare il mondo è anche più profondo di quello che si crea in altri tipi di frequentazione. Non c’è dubbio che, nel corso di questi anni, grazie alle attività Tea Party io abbia incontrato alcune tra le persone più intelligenti, acute, brillanti e originali d’Italia, e comprendo nell’elenco anche molti che con il tempo si sono poi disinteressati al movimento o alle battaglie anti-tasse: nella vita c’è anche altro, ed è naturale che sia così. Ma i rapporti poi sono rimasti. Volendo essere onesti si è creato anche qualche rapporto personale tutt’altro che idilliaco, ma questo è inevitabile. Oltre alle amicizie e alle collaborazioni, ho scoperto di saper fare (mi dicono) relativamente bene cose che non avevo mai provato a fare prima, che non mi ero preparato a fare e che non immaginavo di essere particolarmente portato per fare: dibattere in televisione, tenere conferenze, arringare folle con un megafono, cose così. E si tratta di capacità che mi sono tornate utile di recente anche nella mia vita professionale: non tanto quelle relative ai megafoni, ma quelle relative alle conferenze.

QELSI: Cosa prevedi o auspichi per il futuro del Tea Party Italia e per il tuo impegno politico in generale, come si relazionano le due cose con la difficile situazione del paese e con il suo frastornato quadro politico attuale?

GZ: Nel rispondere a questa domanda parlo a titolo personale, e non in qualità di Portavoce Tea Party: il movimento è una piattaforma aperta basata su alcune linee guida fondamentali, “appartiene” a chiunque le porti avanti e di sicuro ognuno ha diverse speranze, convinzioni strategiche, preferenze tattiche, sensibilità, visioni per il futuro. Per quanto mi riguarda, nel corso degli anni sono diventato sempre più scettico sulle possibilità di limitare i danni prodotti dal fanatismo statalista all’interno del medesimo sistema con cui lo stato definisce la spartizione delle risorse altrui: elezioni, partiti, cariche istituzionali e così via. Non lo ritengo impossibile: qualche volta nella storia è successo, specie al culmine di periodi di grandi crisi, come in alcuni paesi dell’est europeo dopo il crollo dell’URSS o nel Regno Unito con l’arrivo di Lady Thatcher. Ma fatico a farmi illusioni sull’Italia in questo senso: la gran parte della popolazione vive ancora nella superstizione di poter risolvere i problemi creati dallo Stato con “ancora più Stato” e nell’illusione di poter usare la politica per vivere alle spalle degli altri. E anche se questa mentalità diffusa cambiasse (e non mi sembra una cosa probabile nel breve) il sistema politico italiano è totalmente impermeabile, refrattario ai “corpi esterni”: si tutela e si difende perfettamente da ogni outsider, escludendolo prima e “comprandolo” poi, cannibalizzandolo totalmente e rendendolo inoffensivo. Inserire nuovi strumenti partitici nella competizione elettorale, superando le incredibili barriere all’ingresso, richiederebbe risorse immense, mentre provare a “contaminare” dall’interno i partiti esistenti si rivela sul lungo un tentativo estenuante e logorante. E per concludere: anche se si creasse o conquistasse un partito, se si “de-statalizzasse” la testa degli italiani portandolo al 51%, se si formasse un governo “teapartysta” mantenendo lo spirito iniziale (cosa molto difficile), esistono nello Stato incrostazioni burocratiche, giudiziarie e sindacali che lavorerebbero incessantemente per indebolire ogni mandato politico di riduzione dello Stato. Con questo non voglio dire che non si possa portare avanti queste strategie: molti militanti Tea Party l’hanno fatto e lo faranno, e io li sosterrò come posso. Solo, se devo dire cosa ritengo più efficace dopo questi anni di battaglia, punterei su quattro fronti. Il primo è quello la battaglia culturale sul lungo periodo: dobbiamo svegliare le persone da una superstizione irrazionale, quella statalista, che sta distruggendo le economie di tutto il mondo e sta indebolendo la società nel suo complesso.
Per fare questo serve comunicazione, elaborazione, proposta, occorre presidiare tanto il terreno scientifico quanto quello mediatico: non si tratta di un’elezione l’anno prossimo, ma di una lunga e graduale battaglia di ragionevolezza contro un’ideologia da cui svegliare le menti. Il secondo, complementare al primo, è quello delle risposte pragmatiche e operative: non dobbiamo solo spiegare perché le tasse sono immorali, dannose o illegittime, ma dobbiamo anche aiutare le persone, operativamente, a ridurre il danno sulla loro vita; dobbiamo cominciare a fare incontri con notai, avvocati, commercialisti e delocalizzatori di imprese, specializzati nel ridurre l’impatto fiscale dei singoli tartassati, almeno tanto spesso quanto ne facciamo con economisti, filosofi, giornalisti o politici. Il terzo fronte è quello della globalizzazione: dobbiamo federarci efficacemente e sistematicamente con i movimenti anti-tasse in giro per il mondo (cosa che abbiamo provato a fare diverse volte, ma per ora senza risultati stabili), perché anche se sul suolo italiano i tartassati sono deboli e sostanzialmente indifesi contro gli artigli del fisco, una libertà che ancora per il momento ci lasciano è quella di spostarci e di “votare con le gambe”, e noi dobbiamo usare questa libertà per mettere gli Stati in concorrenza uno con l’altro, aiutando il movimento di imprese, capitali e individui grazie al supporto di un unico grande “sindacato globale dei tartassati”, che possa usare la fiscalità di vantaggio canadese, inglese, marocchina o svizzera come clava e come arma di ricatto contro lo Stato italiano. Il quarto fronte, complementare al terzo, è quello dell’azione locale: se i palazzi governativi sono lontani, impenetrabili e inattaccabili, così spesso non è per le piccole istituzioni locali, dove la responsabilità delle scelte può essere maggiormente evidenziata e dove una strategia ben studiata può portare a cambiare molte cose.

QELSI: Escludi a priori un tuo impegno politico diretto all’interno di qualcuno dei contenitori politici attuali o futuri e se no, a quali condizioni lo prenderesti in considerazione?

GZ: No, non escludo nulla, semplicemente, come dicevo prima, lo ritengo poco probabile. Ma alle giuste condizioni non mi farei scrupoli ad utilizzare i meccanismi dello Stato per ridurre i danni prodotti dallo Stato. Dirò di più: se anche una determinata operazione politica non avesse prospettive di un impatto reale sulla tassazione o su altre politiche concrete, ma potesse rivelarsi davvero utile in termini di “megafono” per la battaglia culturale di cui parlavo prima, sarebbe comunque da prendere in considerazione. La visibilità che la politica può dare alle idee è immensa…e se dobbiamo fare una battaglia di idee, non è impensabile usare la politica come mezzo. L’importante è ricordarsi che è un mezzo, e non un fine. Come detto, però, la cosa dovrebbe essere fattibile a determinate condizioni, che solo molto “impegnative” e mi fanno essere un po’ scettico su questa possibilità. Innanzitutto dovrei avere la garanzia di poter dire quello che penso sempre e comunque, perché se si deve usare la politica come megafono per delle idee, imbavagliare quelle idee per motivi tattici, per “ordini di scuderia” o per logiche da gioco delle parti sarebbe non solo inutile ma addirittura controproducente (e al sacrificio della propria voce in cambio di “risultati concreti”, come nell’improbabile scenario in cui un politico per poter tagliare le tasse fosse costretto a dire “evviva le tasse”, come dicevo prima credo molto poco, anche perchè il sistema mi sembra scarsamente riformabile). Molte delle cose che penso, e che direi, non portano consenso, ma anzi lo allontanano. Ma sono cose logiche e a mio parere vere, e io non voglio dire il contrario per nessun motivo. Poi dovrei avere la possibilità di continuare a stare sul mercato e a sviluppare la mia professionalità: quello del politico non è un mestiere, e chi fa il politico di mestiere diventa dipendente dal sistema politico (a meno che non sia già milionario di suo. E c’è comunque il rischio anche in quel caso), e finisce per difenderlo, mentre il lo voglio smontare. Infine: per la considerazione fatta prima sull’importanza dell’azione locale, credo preferirei, nel caso, un impegno politico ad alto impatto su un piccolo territorio, piuttosto che uno a impatto zero (si trattasse anche solo di impatto mediatico) a livello nazionale. Insomma: meglio il sindaco di un paesino che privatizza tutto, piuttosto che un parlamentare che scompare in una schiera anonima di personaggi del sottobosco politico romano.

QELSI: Sappiamo che sei molto impegnato, professionalmente parlando, nella divulgazione e nella promozione della tecnologia Bitcoin, ci puoi spiegare meglio di cosa si tratta e soprattutto a quali altre applicazioni, oltre alla moneta virtuale, può preludere questa rivoluzionaria tecnologia?

GZ: La tecnologia in questione si è rivelata per me qualcosa di molto particolare, perché rappresenta INSIEME una battaglia politica (contro il monopolio statale sulla moneta e sulla finanza, contro le manipolazioni delle banche centrali, contro il grande fratello fiscale e a favore della massima privacy finanziaria, contro protezionismi e proibizionismi vari e a favore del libero scambio tra adulti consenzienti) e una sfida tecnologica ed imprenditoriale davvero appassionante. Fino a qualche anno fa, il mio interesse professionale per le tecnologie innovative e il mio impegno politico contro lo statalismo viaggiavano su canali paralleli, alcuni recenti fenomeni (che potrei volendo allargare anche oltre il tema Bitcoin, comprendendo per esempio realtà imprenditoriali che sfidano i monopoli, come Uber, o componenti “rivoluzionarie” del deep web e delle comunicazioni crittografiche, ma di cui Bitcoin rappresenta una “bandiera” simbolica complessiva) hanno contribuito a fondere un po’ i due percorsi. Di che cosa si tratta? Beh, sostanzialmente si tratta di ricreare nel mondo digitale il concetto di “scarsità” che esiste nel mondo fisico, rendendo di conseguenza possibile scambi di “beni scarsi” tra controparti che non si conoscono e non si fidano l’una dell’altra, senza l’intervento di enti centrali che facciano da mediatori. Il sistema di pagamento e di riserva di valore di cui molti hanno sentito parlare è la prima applicazione, ma le potenzialità sono infinite. Si tratta di qualcosa che già Milton Friedman aveva profetizzato in un suo intervento nel 1999: una “internet della proprietà”! Oggi abbiamo un sistema di pagamento peer-to-peer, pseudo-anonimo e non fiduciario. Un domani potremo avere, grazie alla medesime tecnologia, anche mercati, borse, contratti, dinamiche aziendali, finanza avanzata.

QELSI: Ultima domanda di rito, quali sono le iniziative che il movimento del Tea Party ha in essere al momento o sulle quali preme maggiormente?.

GZ: In questo momento il Tea Party è impegnato a sostenere con forza l’iniziativa, promossa da Andrea Bernaudo, riguardante l’abolizione dell’oscena clausola “solve et repete”: un esempio di inciviltà fiscale che ha ridotto in ginocchio molti produttori di ricchezza. Il ddl è stato presentato in Senato, e cercheremo di tenere alta la tensione sul tema. Il mese prossimo, a Torino, organizzeremo insieme all’associazione Synerghein un evento contro le imposte patrimoniali (in particolar modo quelle di successione): sarà un evento particolare perché comprenderà anche una parte tecnica e operativa, un po’ nella logica di cui parlavo prima di aiutare concretamente il tartassato a ridurre il danno, oltre a condurre una battaglia di denuncia e di chiarificazione in senso astratto sui tanti mali della rapina fiscale. L’anno prossimo, poi, ci saranno le elezioni comunali a Milano, città in cui il nostro movimento è molto radicato e presente. Cercheremo di formulare una strategia per approfittare al massimo della circostanza ponendo con forza i nostri temi.

* Articolo tratto da http://www.qelsi.it/

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