In Economia, Esteri

34di DAVID GORDON*

Quelli di noi che sono a favore del libero mercato devono affrontare un problema. Le virtù del mercato, e i vizi del socialismo e dell’interventismo, sono stati incontestabilmente chiariti da Mises, Rothbard, Hazlitt ed altri autori.

Il caso per il libero mercato, come queste grandi figure spiegano, può essere facilmente afferrato e non richiede alcuna conoscenza esoterica. Eppure molti accademici rifiutano il mercato condannando il capitalismo per aver lasciato molti in povertà e per le disuguaglianze clamorose.

Come possono tanti studiosi non riuscire a cogliere ciò che ci sembrano ovvie verità?. In Crony Capitalism, un libro fondamentale, Hunter Lewis risolve il nostro interrogativo. Coloro che condannano il libero mercato lo fanno considerando le cattive caratteristiche dell’attuale economia, sia negli Stati Uniti che nel resto del mondo.

Nel giudicare il libero mercato, in questo modo, si basano su un presupposto non esaminato. Essi danno per scontato che l’attuale ordine di cose è il libero mercato in azione. Come Lewis spiega e documenta a fondo, questa ipotesi è falsa. Quello che abbiamo oggi non è il libero mercato ma un “capitalismo clientelare”, una questione del tutto diversa….

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Showing 2 comments
  • Alessandro Colla

    Quello che non si riesce a spiegare è come un sistema che ha garantito un secolo di progresso e ricchezza possa non aver rimosso l’unico ostacolo al proprio sviluppo, il potere coercitivo statale. Possibile che il tallone d’Achille del capitalismo sia la difesa? o la diffusione della cultura? Per il resto concordo con l’analisi di Gastone, magari aggiungendo l’italico monopolio Fiat. Credo che la Disney avrebbe ottenuto lo stesso il successo e le dimensioni attuali a causa di una particolare predisposizione del consumatore medio; un po’ come per il giuoco del calcio da noi. Ma per il resto avremmo senz’altro avuto una maggiore diffusione di imprese concorrenziali che avrebbero creato forme di occupazione non fittizia, senza interventi legislativi e governativi pronti a imporre ogni tipo di sciocchezza come il salario minimo, le quote sessuali o razziali, le assunzioni non per via diretta ma filtrate da burocratici uffici di collocamento, il divieto di licenziamento, la contrattazione collettiva obbligatoria e altro.

  • gastone

    anche qui, e anche oggi, forse oggi più che mai prima, c’è dolo.
    il capitalismo moderno, il liberismo selvaggio, il turbocapitalismo, il capitalismo di rapina, il capitalismo di stato, il capitalismo finanziario, alcuni tra i più coloriti aggettivi del capitalismo di oggi, connotano più o meno bene quello che è di fatto l’arrangiamento economico postww1/2, e tutti, continuando l’esplorazione delle vette fantasiose degli aggettivi,
    hanno in comune una caratteristica,
    una invariabile foglia di fico che copre la vergogna della coscenza con un aggettivo descrittivo per non doverlo confondere con il semplice capitalismo,
    o più semplicemente “libero scambio”, di cui oggi non rimane traccia se non nella memoria onesta di quelli che ne ricordano i timidi vagiti, che furono sufficienti a regalarci un secolo di ricchezze, la cui razzia è stata una occupazione costante degli stati democratici.

    nei decenni addietro fino ad oggi con un fragore e una propaganda pari solo a quella di guerra,
    siamo stati abituati a familiarizzare con il termine “privatizzazioni” con le quali hanno sistematicamente e maniacalmente puntualizzato come la economia ad ogni privatizzazione deteriorasse rispetto all’assetto organizzativo statale,
    fino a giungere ai brandelli dell’economia espressa da questo nuovo assetto “privatistico e liberista” per desumere che il maggior disastro della economia è stato fatto dal capitalismo che arso dalla sua sete di profitto, ha “rapinato” via via tutte le competenze statali finendo per distruggere e bruciare tutto.

    il dolo sta nel non volere ammettere che un potere coercitivo così ingombrante e invadente come quello dello stato, assetato di denaro per sua stessa natura, per assecondare una irreversibile tendenza alla crescita esponenziale delle sue competenze, ha concesso il privilegio assoluto di controllare la moneta ad una cricca di cambiavalute, che con quel regalo ha potuto “comprare” l’intero sistema economico per poterlo pianificare a suo piacimento,
    “ricomprandosi” via via tuttii monopoli statali e le
    sue “competenze” economiche, per lasciargli l’onere, ben remunerato, di legiferare per proprio ordine e conto.
    in un libero mercato regolato dai meccanismi della concorrenza che oggi sono ridondanti e inutili in un panorama di big business e monopoli,
    forse non avremmo avuto, una microsoft od una general electric, piuttosto che una walt disney , wal mart o coca cola, che attraverso immensi benefici protezioni e “trattamenti fiscali” a la cart,
    godono oggi di fortune che vanno ben oltre le ricchezze di uno stato mediano, ed un potere che travalica le competenze di un gabinetto burocratico nazionale, con delle fantasie che fanno impallidire le più feroci espressioni del dottor jekyll.

    forse, e dico forse senza arroganza ma con la leggittimità del dubbio che la realtà suggerisce, con i meccanismi disciplinati della concorrenza,
    avari nella concessione e inflessibili nella revoca e nella punizione, democratici nella pur generosa remunerazione,
    aziende pur fortunate, non avrebbero potuto nemmeno immaginare di accumulare fortune così imponenti da solleticare le fantasie più insane per un loro utilizzo.
    forse e dico forse, progetti folli degni della migliore scuola scientista francese, cartesiani, novelli puristi dell’ingegneria applicata, non mai avrebbero potuto sconfinare in progetti, in sfacciata concorrenza divina, dove il detto sussurrato e quello inconfessabile
    appena svelato a pochi intimi sarebbe stato una congrua remunerazione per le proprie fortune.
    il capitalismo, alzi la mano della propria coscienza, chi lo ha visto..
    io avendo fatto impresa per 30 anni ne ho sempre e solo sentito parlare (male)
    adesso che sono tornato alla mia professione elettiva di contadino, guardo da lontano con malinconia, brandelli di economia.
    una economia esautorata dalle sue funzioni e privata di quei meccanismi naturali che la preservano, garantendone democraticamente le giuste remunerazioni assegnate in maniera perfettamente impersonale e anonima ma mirabilmente efficiente.

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