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COP PRIMA STATO ILLDI MATTEO CORSINI

“Dobbiamo accettare il fatto che ci sono alcuni interventi dello Stato che danno una spinta all’economia, e questi interventi non sono necessariamente equi. Ciò non li rende capitalismo corporativo”. (N. Smith)

In un pezzo nel quale intende respingere le accuse di “crony capitalism” riguardanti le tante imprese che anche negli Stati Uniti (mai come in questo caso tutto il mondo è paese) prosperano o semplicemente sopravvivono grazie a incentivi o distorsioni competitive a loro favore poste in essere dal governo federale, Noah Smith ammette per lo meno che gli interventi pubblici “non sono necessariamente equi”.

In realtà sarebbe stato corretto affermare che tali interventi sono necessariamente iniqui. In primo luogo, perché utilizzano la garanzia implicita del denaro dei pagatori di tasse per incentivare attività per le quali non vi sarebbero capitali privati sufficienti alla sopravvivenza, o anche solo alla fase di start-up. In pratica, il governo federale diventa una sorta di fondo di venture capital con il non insignificante dettaglio che le risorse non sono apportate volontariamente da chi sopporta i rischi degli investimenti, men che meno vi è proporzionalità tra i rischi sopportati dal singolo pagatore di tasse e gli eventuali utili prodotti dalle iniziative finanziate dal governo.

In secondo luogo, perché a fronte di imprese che beneficiano di incentivi pubblici ve ne sono altre che devono contare unicamente sulle scelte volontarie di chi le finanzia rischiando in proprio e dei consumatori dei prodotti o servizi che esse offrono. In sostanza, l’intervento pubblico altera inevitabilmente la concorrenza.

Secondo Smith, tutto questo sarebbe giustificato dai benefici che tutti quanti ottengono per merito delle innovazioni dovute a incentivi iniziali da parte del governo. A tale proposito, c’è evidentemente un problema di “cherry picking” sui dati utilizzati come evidenza dei successi dello Stato venture capitalist. Quando tali successi sono documentati da ricercatori a loro volta finanziati col denaro estorto ai contribuenti, è più che lecito il dubbio che costoro preferiscano cercare i casi di successo rispetto ai fallimenti.

Ma se anche fosse dimostrato che in taluni casi le imprese incentivate dal governo portano innovazioni a beneficio di tutti quanti, ciò continuerebbe a non giustificare, a mio parere, alcuna forma di interventismo. Innanzi tutto perché nessuno dovrebbe essere obbligato a finanziare questo o quel settore o singola impresa; poi perché, come evidenzierebbe Bastiat, per ogni caso di successo (ciò che si vede) vi sono molti casi di mancati successi perché le risorse dirottate su taluni progetti non hanno potuto essere utilizzate volontariamente per altri progetti (ciò che non si vede).

In definitiva, corporativismo o non corporativismo, lo Stato non fa altro che beneficiare qualcuno a danno di altri. Quello che non distrugge, al massimo lo redistribuisce.

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Showing 2 comments
  • Albert Nextein

    Governi e stati non dovrebbero ficcare il naso negli affari privati della gente.
    Sovvenzioni, facilitazioni, leggi particolari, incentivi, detrazioni, etc,etc, non dovrebbero esserci.
    A tutto basta il libero mercato.
    Senza correttivi.

  • Alessandro Colla

    Se vi sono innumerevoli casi di mancato successo a causa del dirottamento delle risorse, le innovazioni non sono automaticamente a beneficio di tutti quanti. L’ingiustizia provoca sempre danni. E’ uno dei pochi casi, forse l’unico, in cui la natura è madre e non matrigna.

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