In Economia, Libertarismo, Saggi

SOFISMIDI FREDERIC BASTIAT

Che cosa vale di più per l’ uomo e per la società, l’abbondanza, o la scarsità?

Si dirà: Ma come, e vi sembra questa una domanda? Si è mai detto, è mai possibile sostenere, che la scarsità sia la ragione del benessere degli uomini?

Certo che sì, è stato detto e sostenuto, si sostiene tutti i giorni, e non ho timore ad affermare che la teoria della scarsità è di gran lunga la più popolare. Essa occupa le conversazioni, i giornali, i libri, le tribune, e, benché possa apparire assai strano, è certo che l’ economia politica avrà raggiunto il suo scopo pratico quando avrà diffuso e resa inconfutabile questa affermazione così semplice: “la ricchezza degli uomini è l’abbondanza delle cose”.

Non sentite dire tutti i giorni: «lo straniero ci inonderà dei suoi prodotti»? Dunque si ha paura dell’abbondanza.

Il signor di Saint-Cricq non ha detto: « la produzione sovrabbonda» ? Dunque egli teme l’abbondanza.

Gli operai non rompono forse le macchine? Dunque, si spaventano per l’eccesso di produzione, per l’abbondanza.

Il signor Bugeaud non pronunciò queste parole: «Sia caro il pane, e l’agricoltore sarà ricco»? Ora, il pane non può esser caro che quando è raro. Dunque, il signor Bugeaud predicava la scarsità.

Il signor D’Argout non ha derivato un argomento contro l’industria dello zucchero dalla sua stessa fecondità? Non diceva egli: «La barbabietola non ha futuro, e la sua coltura non potrà estendersi, perché basterebbe consacrarvi qualche ettaro per dipartimento per provvedere a tutto il consumo della Francia»? Dunque, ai suoi occhi, il bene consiste nella sterilità, nella scarsezza; il male nella fertilità, nell’abbondanza.

La Presse, il Commerce e la maggior parte dei quotidiani non pubblicano ogni giorno uno o più articoli per dimostrare alle Camere ed al Governo che aumentare per legge il prezzo di tutte le cose per via delle tariffe è una sana politica? E i tre poteri non obbediscono forse tutti i giorni a queste ingiunzioni della stampa periodica? Ora, le tariffe non aumentano il prezzo delle cose che diminuendo la quantità offerta sul mercato. Dunque, i giornali, le Camere, il Ministero, pongono in pratica la teoria della scarsità; e io avevo ragione di dire che questa teoria è di gran lunga la più popolare.

Come è successo che agli occhi dei lavoratori, dei pubblicisti, degli uomini di Stato, l’abbondanza si sia dimostrata temibile e la scarsità vantaggiosa? Intendo risalire all’origine di questa illusione.

Bisogna notare che un uomo arricchisce in ragione del miglior vantaggio ch’egli ottiene dal suo lavoro, cioè dal vendere al prezzo più alto. Ora, egli vende a prezzo più alto in proporzione alla rarità, alla scarsità del prodotto che costituisce l’oggetto della sua industria. E da ciò si può concludere che, almeno per lui, la scarsità lo arricchisce. Applicando successivamente questo discorso a tutti i lavoratori se ne deduce la teoria della scarsità. Da ciò si passa alla applicazione: per favorire tutti i lavoratori si provoca artificialmente il rincaro, la scarsità di tutte le cose con la proibizione, la restrizione, la soppressione delle macchine, e simili mezzi.

Lo stesso vale per l’abbondanza. Si nota che quando un prodotto abbonda, si vende a basso prezzo: quindi il produttore guadagna meno. Ora, se tutti i produttori fossero in questa situazione, tutti sarebbero miserabili: quindi l’abbondanza è la rovina della società. E poiché ogni convinzione tenta di tradursi in fatto, in molti paesi si vedono le leggi degli uomini lottare contro l’abbondanza delle cose. Questo sofisma, rivestito di una forma generale, farebbe forse poca impressione, ma, applicato ad un ordine particolare di fatti, a questa o a quella industria, ad una certa classe di lavoratori, riesce assai capzioso; e questo si spiega bene: è un sillogismo che non è falso, è incompleto. Ora, ciò che vi è di vero in un sillogismo è sempre necessariamente presente nella mente; ma l’incompletezza è una qualità negativa, un dato assente di cui è possibile ed anche assai facile non tener conto.

L’uomo produce per consumare. Egli è nello stesso tempo produttore e consumatore. Il ragionamento che ho appena svolto non lo considera che sotto il primo punto di vista; considerato sotto il secondo, avrebbe portato alla conclusione opposta.

Infatti si potrebbe ben dire: Il consumatore è tanto più ricco quanto più compra tutte le cose a miglior mercato; egli compra le cose a miglior mercato quando queste sono più abbondanti; dunque l’abbondanza arricchisce. E questo ragionamento, esteso a tutti i consumatori, condurrebbe alla teoria dell’abbondanza.

E’ la nozione imperfettamente compresa dello scambio che produce queste illusioni. Se valutiamo il nostro interesse personale, riconosciamo distintamente che è duplice. Come venditori, abbiamo interesse all’aumento dei prezzi, e di conseguenza alla scarsità; come compratori, al buon mercato, o, che è lo stesso, all’abbondanza delle cose. Noi non possiamo dunque basare un ragionamento sull’uno o sull’altro di questi interessi prima di avere compreso quale dei due coincide e s’identifica con l’interesse generale e permanente della specie umana.

Se l’uomo fosse un animale solitario, se lavorasse esclusivamente per sé, se consumasse direttamente il frutto del suo lavoro, in una parola, se non facesse scambi, la teoria della scarsità non si sarebbe mai potuta introdurre nel mondo. E’ ben evidente che l’abbondanza sarebbe per lui vantaggiosa, da qualsiasi parte gli arrivi; sia che questa fosse il risultato della sua industria, di strumenti ingegnosi, di macchine potenti di sua invenzione, sia che fosse dovuta alla fertilità del suolo, alla generosità della natura, o anche ad una misteriosa invasione di prodotti che la marea gli avesse portato da lontano e in abbondanza sulla spiaggia. L’uomo solitario non penserebbe mai, per incoraggiare e dare alimento al proprio lavoro, di rompere gli strumenti che gli permettono di lavorare meno, d’impedire la fertilità del suolo, di ributtare in mare i beni che quello gli avesse procurato. Egli comprenderebbe facilmente che il lavoro non è un fine, ma un mezzo; che sarebbe assurdo respingere il fine per il timore di nuocere al mezzo. Capirebbe che consacrando due ore della giornata per provvedere ai suoi bisogni, qualunque cosa (non importa se macchine, fertilità o dono gratuito) che gli permetta di risparmiare un’ora di quel lavoro, dandogli lo stesso risultato, pone quest’ora a sua disposizione, per utilizzarla per accrescere il proprio benessere. Comprenderebbe, in breve, che il risparmio di lavoro non è altro che progresso.

Ma lo scambio offusca la nostra vista su una verità così semplice. Nello stato sociale, e con la divisione del lavoro che porta con sé, la produzione e il consumo di un oggetto non si producono più nello stesso individuo. Ognuno è portato a vedere nel suo lavoro non più un mezzo, ma un fine. Lo scambio crea, relativamente ad ogni oggetto, due interessi: quello del produttore e quello del consumatore, e questi due interessi sono sempre immediatamente opposti.

E’ fondamentale analizzarli e studiarne la natura.

Prendiamo un produttore qualunque. Qual è il suo interesse immediato? Consiste in queste due cose:

1° che il minor numero possibile di persone si dedichi allo stesso suo lavoro; 2° che il maggior numero possibile di persone ricerchino il prodotto del suo lavoro; Cosa che l’economia politica esprime più sinteticamente in questi termini: che l’offerta sia molto limitata e la domanda molto grande, o in altre parole, che la concorrenza sia limitata e le possibilità di commercio illimitate.

Qual è l’interesse immediato del consumatore? Che l’offerta del prodotto di cui si sta trattando sia estesa e la domanda limitata.

Poiché abbiamo dunque due interessi che si contrappongono, uno dei due deve necessariamente coincide con l’interesse sociale o generale, e l’altro è a questo opposto. Ma qual è quello che, come espressione del bene pubblico, deve essere favorito dalla legislazione, se essa proprio debba favorirne qualcuno?

Per saperlo basta domandarci cosa accadrebbe se i desideri segreti degli uomini fossero esauditi.

Come produttore, bisogna pur convenirne, ciascuno di noi fa voti antisociali. Siamo, per esempio, vignaioli? Non saremmo dispiaciuti se gelasse su tutte le vigne del mondo, meno la nostra: è la teoria della scarsità. Siamo proprietari di fonderie? Desideriamo che non vi sia sul mercato altro ferro che quello che vi portiamo noi, qualunque sia il bisogno che ne abbia il pubblico, e proprio perché questo bisogno, vivamente sentito e imperfettamente soddisfatto, ci permetta di fornirlo ad alto prezzo; e questa è ancora la teoria della scarsità. Siamo agricoltori? Eccoci a dire, col signor Bugeaud, “sia caro il pane”, cioè raro, e gli agricoltori faranno bene i loro affari; è sempre la teoria della scarsità.

Siamo medici? non possiamo non vedere che certi miglioramenti fisici, come il rendere salubre il paese, lo sviluppo di certe virtù morali, come la moderazione e la temperanza, il progresso del sapere giunto fino al punto che ciascuno sappia curare la propria salute, la scoperta di certi rimedi semplici e di facile applicazione, sarebbero altrettanti colpi funesti recati alla nostra professione. In quanto medici, i nostri voti segreti sono antisociali. Con ciò non voglio dire che i medici formino tali voti. Voglio credere anzi che essi accoglierebbero con gioia una panacea universale; ma in questo sentimento non è il medico, è l’ uomo, il cristiano che si manifesta. Per una lodevole abnegazione di sé stesso, egli si mette nella posizione del consumatore. Ma esercitando una certa professione, traendo da quella il proprio benessere, la propria importanza e i mezzi d’esistenza per la propria famiglia, non è possibile che i suoi voti, o se si vuole, i suoi interessi, non siano antisociali.

Siamo fabbricanti di tessuti in cotone? Desideriamo venderli al prezzo più vantaggioso per noi. Consentiremmo volentieri che tutte le manifatture rivali fossero proibite; e se pubblicamente non osiamo manifestare questi desideri o impegnarci per la sua completa attuazione con qualche probabilità di successo, ci arriveremo comunque in una certa misura per mezzi indiretti, per esempio escludendo i tessuti stranieri, al fine di diminuire la quantità offerta, e produrre così, tramite l’uso della forza e a nostro vantaggio, la scarsità degli abiti.

Alla stessa maniera potremmo passare in rassegna tutte le industrie, e troveremmo sempre che i produttori, in quanto tali, hanno intendimenti antisociali.

«Il mercante — dice Montaigne — fa ottimi affari con la dissolutezza della gioventù, l’ agricoltore con la carestia del grano, l’ architetto con la rovina delle case, gli ufficiali della giustizia con i processi e le liti degli uomini. L’importanza stessa e l’ ufficio dei ministri della religione derivano dalla nostra morte e dai nostri vizi. Nessun medico trova piacere nella salute dei suoi stessi amici, né il soldato nella pace del paese, e così via discorrendo».

Segue da ciò che, se i voti segreti di ogni produttore fossero realizzati, il mondo tornerebbe rapidamente verso la barbarie. La vela vieterebbe il vapore, il remo vieterebbe la vela, e ben presto dovrebbe cedere i trasporti al carro, questa al mulo, e il mulo al facchino. La lana escluderebbe il cotone, il cotone la lana, e via via sino a che la scarsità di tutte le cose facesse sparire l’ uomo stesso dalla superficie del globo.

Supponete per un attimo che il potere legislativo e la forza pubblica fossero posti a disposizione del comitato Mimerel, e che ogni membro di quell’associazione avesse la facoltà di fare ammettere e sanzionare una piccola legge. È così difficile indovinare a qual codice industriale sarebbe sottoposto il pubblico?

Se ora passiamo a considerare l’interesse immediato del consumatore, troveremo che esso è in perfetta armonia con l’interesse generale, con ciò che esige il benessere dell’umanità. Quando il compratore si presenta sul mercato desidera trovarlo abbondantemente provvisto. Che le stagioni siano propizie a tutte le raccolte, che le invenzioni sempre più meravigliose mettano alla sua portata un maggior numero di prodotti e di soddisfazioni, che il tempo e il lavoro siano risparmiati, che le distanze spariscano, che lo spirito di pace e di giustizia permetta di diminuire il peso delle imposte, che le barriere di qualsiasi natura cadano; in tutto ciò l’interesse immediato del consumatore segue parallelamente la stessa linea dell’interesse pubblico ben inteso. Egli può spingere i suoi desideri sino alla chimera, sino all’assurdo, senza che per questo cessino d’essere umanitari. Può desiderare che il vitto e l’alloggio, il tetto e il focolare, l’istruzione e la morale, la sicurezza e la pace, la forza e la salute, si ottengano senza sforzi, senza lavoro, e senza limite, come la polvere delle strade, l’acqua del torrente, l’aria che ci circonda, la luce che c’irradia; senza che la realizzazione di tali desideri sia in contraddizione col bene della società.

Si dirà forse che, se questi voti fossero esauditi, l’opera del produttore si limiterebbe sempre più, e finirebbe col cessare per mancanza d’alimento. Ma perché ciò? Perché, in questa estrema ipotesi, tutti i bisogni e tutti i desideri immaginabili sarebbero completamente soddisfatti: l’uomo, come l’ Onnipotenza, creerebbe tutte cose con un solo atto della sua volontà. Ma mi si può dire, in questa ipotesi, in cosa la produzione industriale sarebbe spiacevole?

Io immaginavo poc’anzi un’assemblea legislativa composta di produttori, in cui ogni membro potesse trasformare in legge il suo voto segreto in quanto produttore, e dicevo che il codice promulgato da questa assemblea sarebbe il monopolio fatto sistema, la teoria della scarsità messa in pratica.

Allo stesso modo, una Camera in cui ciascuno consultasse esclusivamente il proprio immediato interesse di consumatore, porterebbe alla libertà fatta sistema, alla soppressione di tutti i provvedimenti restrittivi, alla rimozione di tutte le barriere artificiali, in una parola a realizzare la teoria dell’abbondanza.

Segue da ciò che consultare esclusivamente l’interesse immediato della produzione, è consultare un interesse antisociale, che prendere esclusivamente per base l’interesse immediato del consumatore, sarebbe prendere per base l’interesse generale.

E mi sia permesso di insistere ancora su questo punto di vista, anche a rischio di ripetermi.

Esiste un antagonismo radicale tra chi vende e chi compra. Il primo desidera che l’oggetto che vende sia raro, poco offerto, e a un prezzo elevato. L’ altro lo desidera abbondante, molto offerto, e a basso prezzo.

Le leggi, che dovrebbero essere almeno neutrali, prendono le parti del venditore contro il compratore, del produttore contro il consumatore, del caro prezzo contro il buon mercato, della scarsità contro l’abbondanza.

Esse muovono, se non intenzionalmente, per lo meno logicamente, da questo assunto: Una nazione è ricca quando manca di tutto.

Poiché esse dicono: è il produttore che bisogna favorire, assicurandogli un buon impiego per il suo prodotto. Per questo bisogna elevarne il prezzo, per elevarne il prezzo bisogna limitarne la offerta, e limitare la offerta è creare la scarsità.

Supponiamo che, nel momento attuale, in cui queste leggi hanno tutta la loro forza, si faccia un inventario completo, non in valore, ma in pesi, misure, volumi, quantità, di tutti gli oggetti esistenti in Francia atti a soddisfare i bisogni ed i gusti dei suoi abitanti; grano, carni, stoffe, tele, combustibili, derrate coloniali, etc.

Supponiamo inoltre che domani si abbattano tutte le barriere che si oppongono all’ingresso in Francia dei prodotti stranieri.

Infine, per apprezzare il risultato di questa riforma, si proceda dopo tre mesi ad un nuovo inventario.

Non è forse vero che in Francia, all’epoca del secondo inventario, si troverebbero più grano, bestiame, stoffe, tele, ferro, carbone, zucchero, di quante ve n’erano dopo il primo inventario?

Questo è talmente vero che le nostre tariffe protettrici non hanno appunto altro scopo che quello d’impedire a tutte queste cose di giungere fino a noi, di limitarne la offerta, di impedire il calo dei prezzi e l’abbondanza.

Ora io domando: il popolo è meglio nutrito, sotto il potere delle nostre leggi, perché vi è meno pane, carne, e zucchero nel paese? È meglio vestito perché vi è meno filo, tele, stoffe? É meglio scaldato perché vi è meno carbone? È meglio aiutato nei suoi lavori perché vi è meno ferro, rame, utensili, macchine?

Ma ci dicono: «se lo straniero c’inonda con i suoi prodotti, porterà via il nostro denaro».

E cosa importa! L’uomo non si nutre di denaro, non si veste d’oro, non si scalda con l’argento. Cosa importa se vi è più o meno denaro nel paese, quando c’è più pane alla tavola, più carne allo spiedo, più biancheria negli armadi, più legna nella legnaia?

Io porrò sempre alle leggi restrittive questa domanda: accettate il fatto che producete la scarsità? Se ne convenite, con ciò stesso confessate che fate al popolo tutto il male che potete fargli. Se non ne convenite, voi negate di avere limitato la offerta, elevato il prezzo, e, di conseguenza, negate di aver favorito il produttore.

Voi dunque siete o nocive o inefficaci. Non potete essere utili.

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