In Libertarismo

DI LUCA*

Prossimamente pubblicheremo un’intervista a Stephan Kinsella. Nell’attesa vorrei, come si dice,aprire il dibattito su uno dei filoni nei quali Kinsella si spende maggiormente, ossia la proprietà intellettuale. L’argomento è controverso tra i libertari. C’è chi pensa che la proprietà intellettuale sia proprietà vera e propria e chi invece pensa che non lo sia. Io sono tra questi ultimi ma non al 100%. Per i libertari il rispetto dei diritti di proprietà è un pilastro della loro filosofia politica, quindi considerare o meno la proprietà intellettuale è un punto focale.

In quanto assiduo ascoltatore di musica, mi sono interrogato innumerevoli volte sul concetto di proprietà intellettuale riferita alle canzoni o agli album in generale. Assodato che secondo la legge vigente è reato, è però moralmente giusto che io scarichi da internet l’album X senza che l’artista Y creatore non riceva un bel niente? Mi sono interrogato innumerevoli volte ma non sono mai arrivato a una conclusione definitiva in quanto diverse considerazioni cozzano tra loro rendendomi difficile capire dove sia il principio da seguire.

Più in generale, possiamo considerare la proprietà intellettuale come vera proprietà e quindi applicarvi quei diritti di proprietà fondamentali per i libertarian? Un’idea, una canzone, una poesia, etc etc, dovrebbero godere o meno dei diritti di proprietà alla stregua di una casa, una sveglia o uno zaino? Prova a rispondere a questa domanda Stephan Kinsella con un agile libretto il cui titolo la dice già lunga sul pensiero dell’autore: Against Intellectual Property (si può scaricare liberamente in inglese qui, comprare in formato Kindle in inglese qui o in edizione cartacea in italiano qui). Il pensiero di Kinsella si può riassumere sinteticamente in questo modo: la proprietà intellettuale in realtà non è vera proprietà perché i diritti di proprietà si applicano a risorse scarse.

La funzione dei diritti di proprietà è prevenire il conflitto interpersonale su risorse scarse allocando la proprietà delle risorse a individui ben specifici (i proprietari). Per svolgere questa funzione, i diritti di proprietà devono essere sia visibili che imparziali. Chiaramente per impedire che alcuni usino la proprietà altrui, i confini della proprietà e i diritti di proprietà devono essere oggettivi (oggettivamente accertabili) e visibili. Per questa ragione i diritti di proprietà non devono essere ambigui. Il altre parole, “buone recinzioni fanno buoni vicini”.

[…] I diritti di proprietà sono applicabili sono alle risorse scarse. Fossimo in un giardino dell’Eden nel quale la terra e altri beni sono infinitivamente abbondanti, non ci sarebbe scarsezza e perciò regole di proprietà; i concetti di proprietà sarebbero senza senso. L’idea di conflitto e l’idea dei diritti non sarebbero nati.

[…] Le idee non sono scarse. Se io inventassi una tecnica per raccogliere il cotone e tu la usassi, questo non toglierebbe a me la mia tecnica. Io ho ancora la mia tecnica (e il mio cotone). Il tuo uso non esclude il mio uso; noi potrremmo entrambi usare la mia tecnica per raccogliere il cotone. Non c’è né scarsità economica né possibilità di conflitto sull’uso di una risorsa scarsa. Perciò non c’è bisogno di esclusività.

Similmente, se tu copi un libro che io ho scritto, io ho ancora il libro originale (e tangibile) e ho ancora lo schema delle parole che costituiscono il libro. Perciò le opere di intelletto non sono scarse nella stessa misura di un terreno o di un’auto. Se tu prendi la mia macchina, io non ce l’ho più. Ma se tu “prendi” il contenuto di un libro e lo usi per farci la tua copia fisica, io ho ancora la mia copia. Lo stesso vale per le invenzioni e anche per “pattern” o informazioni che uno genera o ha generato. Come ha scritto Thomas Jefferson (lui stesso inventore e il primo esaminatore di brevetti degli USA): “Colui che riceve un’idea da me, riceve istruzioni lui stesso senza ridurre le mie; come colui che accende il suo cero con il mio riceve luce senza spegnere la mia”. Fino a quando l’uso dell’idea di un altro non lo priva della sua idea, non c’è possibile conflitto sull’uso di quella idea. Le idee quindi non sono candidabili per essere soggette ai diritti di proprietà. Anche Ayn Rand ha riconosciuto che “la proprietà intellettuale non può essere consumata”.

Le idee non sono scarse di natura. Tuttavia, riconoscendo un diritto in un oggetto ideale si crea scarsezza dove non esisteva prima.

(traduzione dall’inglese mia)

Diciamo che questo discorso mi convince, ma dal punto di vista “utilitaristico”, un mondo senza copyright potrebbe essere un mondo migliore? Dato per scontato (o almeno, per me è scontato) che oggi assistiamo a una degenerazione folle del concetto di trademark, copyright, etc etc, con estensioni temporali sempre più dilatate, un mondo totalmente senza proprietà intellettuale come sarebbe? Questo argomento non viene affrontato da Kinsella ed è un peccato. Io sinceramente non ho un’idea così chiara perché sono talmente immerso in un mondo di brevetti e copyright che non riesco del tutto ad astrarre un mondo diverso pensando alle conseguenze. Andando per anologia, mi viene in mente una corporazione protetta dalle leggi dello stato che ha paura della deregolamentazione e del conseguente aumento esponenziale di concorrenza e quindi diminuzione di prezzi e aumento della qualità del servizio e quindi maggior profitto per il consumatore. Come scrive Kinsella infatti, la scarsità qui è indotta dalle leggi statali. Forse un mondo senza proprietà intellettuale potrebbe essere un mondo nel quale l’ingegno nelle sue infinite manifestazioni è libero di correre senza barriere e senza vincoli e nel quale nessuno può sedersi sugli allori ed è incentivato, in maniera esponenziale rispetto a oggi, a creare sempore cose nuove e migliori.

Perché allora, ritornando all’inizio, io quando scarico una canzone mi sento intimamente un po’ ladro? Perché riconosco che una persona e/o gruppo ha speso del tempo e del denaro per creare quella canzone e io, cafone, prendo senza dare. Tralasciando gli ancora pochi gruppi che mettono loro stessi a disposizione le loro canzoni liberamente scaricabili, la maggior parte degli artisti si sente derubata quando le loro canzoni vengono scaricate dai circuiti P2P. Tuttavia penso che la forma mentis mia e quella degli artisti sia dovuta anche a una questione generazionale, ossia per la maggior parte degli adolescenti di oggi pagare per avere una canzone è strano. Ossia la canzone non rientra nella proprietà altrui. Penso che ormai le tecnologie di condivisione ci abbiano fatto entrare di forza nel meccanismo del mecenatismo: io ottengo gratuitamente il prodotto intellettuale X e, se lo reputo valido, volontariamente finanzio l’artista perché ritengo che sia meritevole. A ben pensarci, nonostante oggi la stragrande maggioranza della musica venga “acquisita” in forme non legali, c’è sempre più musica e più artsiti in giro. Nonostante l’industria della musica sia in crisi, la musica in sé non è per niente in crisi e quotidianamente escono tonnellate e tonnellate di nuove proposte musicali.

Riallacciandosi al discorso precedente, questo può valere anche per il resto dei prodotti che rientrano sotto la proprietà intellettuale? Un mondo senza nessuna proprietà intellettuale è sostenibile così come ormai a conti fatti è diventato il mondo della musica? La proprietà intellettuale, come scrive Kinsella, non si può catalogare come vera proprietà, siamo pronti alle conseguenze?

 

* Link all’originale: http://libertarianation.org/2012/02/29/proprieta-o-no/

 

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Showing 14 comments
  • Giovanni Birindelli

    Non sono affatto d’accordo con la premessa del ragionamento di Kinsella e quindi con le sue conclusioni.

    Kinsella parte dal presupposto che “La funzione dei diritti di proprietà è prevenire il conflitto interpersonale su risorse scarse”.

    I cosiddetti “diritti di proprietà” non sono altro che il principio morale che vieta di rubare: “la proprietà di una persona consiste in un oggetto relazionato a lei. Questa relazione non è naturale, ma morale, e fondata su principi di giustizia” (Hume)

    Nel passaggio citato, Kinsella confonde il principio (che in quanto tale non ha nessuna funzione) con le convenzioni da cui è partito il processo spontaneo di selezione culturale che lo ha prodotto (convenzioni che invece avevano appunto la funzione di prevenire il conflitto interpersonale su risorse scarse).

    Un’ipotesi sul processo spontaneo di selezione culturale che ha gradualmente trasformato le convenzioni che avevano la funzione di ridurre la conflittualità nel principio morale che, in quanto tale, non ha nessuna funzione, è fornita da Hume nel suo “Trattato sulla natura umana” (in particolare, libro III, parte 2).

    Fatto sta che, per quanto sia vero che le convenzioni da cui è partito il processo di selezione culturale che poi ha prodotto il principio furono adottate in modo utilitarista (cioè in funzione di un interesse, per quanto “illuminato” nelle parole di Hume), il principio in quanto tale è anti-utilitarista, nel senso che non ha nessuna funzione: «[Un principio] è uno standard che deve essere rispettato, non perché promuoverà o assicurerà una situazione economica, politica o sociale ritenuta desiderabile, ma perché è un requisito di giustizia o di qualche altra dimensione della moralità» (Dworkin).

    Per esempio, seviziare un detenuto è immorale comunque, anche se ciò consentisse agli altri detenuti di sfogarsi e quindi di ridurre la conflittualità fra di essi.

    Quindi non è vero che “la funzione dei diritti di proprietà è prevenire il conflitto interpersonale su risorse scarse”. I diritti di proprietà sono il principio morale che vieta il furto. Questo principio morale è, in quanto tale, astratto, nel senso che prescinde dai particolari tipi di proprietà.

    E’ vero che, come sostiene Menger, generalmente (ma secondo me non necessariamente) l’assenza di scarsità rende la proprietà inutile, ma non bisogna confondere l’assenza di scarsità con l’assenza di recinti. Nel giardino dell’Eden di cui parla Kindella tutti potrebbero usare il terreno infinitamente abbondante (e supposto per assurdo avere identiche caratteristiche). Ma quel terreno non sarebbe frutto del lavoro di nessuno, e quindi nessuno vedrebbe lesi i propri diritti di proprietà e dunque nessuno protesterebbe. Ma, se in virtù di qualche potere straordinario, avendo impiegato del lavoro per produrre un tavolo, io potessi produrne infiniti altri con sforzo nullo, questo non darebbe a nessuno il diritto di appropriarsene.

    La violazione dei diritti di proprietà intellettuale è un furto come qualunque altro. Le conseguenze materiali di questo furto sono evidenti: “Se (il nostro software) non fosse protetto non ci sarebbe nessun incentivo per noi di produrre nuovo software …. Se la protezione della proprietà intellettuale cominciasse a scomparire, le imprese creative scomparirebbero o non nascerebbero” (Steve Jobs). Concordo con l’autore dell’articolo sul fatto che Kindella si è scordato di dire che nel giardino dell’Eden, questa drammatica conseguenza non ci sarebbe.

    • Ped@nte

      “La violazione dei diritti di proprietà intellettuale è un furto come qualunque altro.”

      Petitio principii, dal momento che non esista questa proprietà.

    • mario

      Giovanni.Come sempre molto profondo.
      La faccenda è spinosa.
      Come diceva M. Ayau ci sono risposte lunghe e ci sono risposte brevi.
      Il principio morale o l’ordine pregiuridico sono già il sedimento di quel processo che ha scoperto che conviene.

  • Lorenzo

    I cantanti famosi sono strapagati, guadagnano decine di migliaia di euro per qualche ora di concerto, che bisogno hanno di lucrare con i cd, senza lavorare?

    IO NON MI SENTO IN COLPA: W IL PEER-TO-PEER E I SITI DI FILE HOSTING!!!

  • Dino

    La capacità di produrre opere che piacciano è un bene raro.
    Io questi difensori della pirateria non capisco se ci credono davvero o se fanno gli gnorri.

    Sia ben chiaro che con le leggi attuali sul copyright sono ridicole e non proteggono affatto l’ingegno, quindi infrangerle è giusto, ma da qui a non dare valore alle opere c’è una grande differenza.

    A me spiace molto vedere che non si riesce mai a trovare un giusto equilibrio tra le cose. Esiste un modo per proteggere le opere d’ingegno e allo stesso tempo non vietare ad altri ingegni di usare le opere altrui per costruire opere diverse, e quindi sviluppare la civiltà umana.

    Ma chi se ne fotte del progresso, alla fine ciò che conta è rubare, sia che si parli di The Pirate Bay che degli immorali vermi che tirano fuori idee come ACTA e SOPA.
    Creperemo insieme nella vostra avidità, e così sia.

    • domenico

      Non credo ad una sola parola di quello che dice.

      Gli individui sanno riconoscere le opere di ingegno, lo si fa contemplandole non pagando qualcuno che afferma di detenerne i diritti.
      Le leggi sul copyright sono ridicole ma non perchè non proteggono affatto, ma perchè possono essere ereditate anche a chi poi non è stato autore un bel niente, sono ridicole perchè permettono di campare di rendita derubbando ricchezze ottenute dalla limitazione del mercato umano, ecc.

      Non prendiamoci in giro, ci sono tantissimi sistemi per far coincidere un opera col suo autore in modo che nessuno si dimentichi chi è stato e questo dovrebbe bastare ad un artista, poi qualcuno che gli darà dei soldi se la sua opera lo merita lo si troverà sempre.

      Il concetto di furto si applica alle risorse scarse, qui non si parla di furto ma di copia. Come qualcuno intelligentemente ha scritto una volta su un commento in questo sito: “se a me copiano la macchina ma mi lasciano l’originale non ho nulla in contrario”.

      • Dino

        Ma guarda che il problema non è l’attribuzione della paternità dell’opera, ma essere pagati per quello che si fa.
        In Italia soprattutto il lavoro d’ingegno non viene considerato vero lavoro. La classica frase “vado a faticare” indica qualcuno che va a costruire muri e cose simili, ma chi disegna come costruire un muro su autocad senza che crolli non ha lavorato davvero.
        La cosa si estende alle opere d’arte, che infatti sono considerate così poco commercializzabili che si accetta l’idea che siano finanziate con i soldi pubblici.

        Le attuali leggi sul copyright le opere d’ingegno non le proteggono, ma proteggono vili interessi e l’ingordigia. In origine furono fatte in quel modo perché se copiavi voleva dire che avevi costruito probabilmente un apparato gigante volto alla copia e alla commercializzazione di copie. Ma oggi che si può copiare gratis, e che quelle leggi sono superate, non si cambiano perché offrono uno spazio, una scusa per promuovere censure e altre amenità.

  • Dexter

    Questo è un campo in cui ho vari dubbi.
    Ci sono buoni argomenti contro il diritto d’autore e i brevetti…. ma se ad esempio prendiamo in considerazione un’azienda chimica o farmaceutica che spende decine di milioni di dollari per inventare un fitofarmaco, un ogm o un farmaco, grazie ai soldi incassati dalla vendita del prodotto riesce a coprire i costi e finanziare future ricerche. Se invece immediatamente dopo la scoperta chiunque può vendere quel loro prodotto, violando la loro proprietà privata, l’investimento di ricerca potrebbe risultare non conveniente.

    • domenico

      Col sistema attuale le scoperte rimangono di proprietà di aziende che monopolizzano così il mercato e puntano a fare ricerca per lucro derivante dal monopolio della scoperta stessa.
      In realtà la scoperta non dovrebbe permettere un guadagno dalla sua monopolizzazione, ma dal fatto che apre un nuovo mercato.

      Le ricerche sarebbero comunque finanziate dalle collettività, associazioni di beneficenza, associazioni che riuniscono società farmaceutiche. Proprio come accade con le ricerche su nuove terapie (quindi non su farmaci artificiali, semplici molecole prima non esistenti) le quali non possono godere della proprietà intellettuale. Si farebbe con i farmaci quello che si fa con le ricerche sul cancro, sull’AIDS, la distrofia muscolare, la chirurgia estetica e qualsiasi campo medico, la medicina non è mica fatta solo di viagra e aspirine.

      La ricerca dovrebbe servire per far scoperte che permettano di lanciare nuovi mercati. Una scoperta di un nuovo farmaco, una volta diffusa la sua idea, permetterebbe di creare un mercato dove molti più attori economici possono guadagnarci.
      Questo permetterebbe la sana “redistribuzione di ricchezza” che ai filocomunisti piace tanto, ma sarà appunto quella sana, quella vera redistribuzione di ricchezza, cioè non data per mezzo del fisco che estorce ricchezza ai più ricchi per darla (si fa per dire poi i burocrati si pappano tutto loro) ai più poveri, ma permessa dalla possibilità di far entrare in un dato mercato molti più soggetti, potenzialmente tutti.

  • Citizen Kane

    Un particolare di cui credo bisognerebbe tener conto discutendo di copyright si’ o no e’ anche la degenerata continua estensione dei copyright.
    Quando studiavo diritto negli anni 80 il copyright durava 20 anni dopo la morte dell’autore. Di anno in anno si e’ continuato ad estendere questo periodo, al punto che adesso il copyright vale fino a 70 anni dalla morte dell’autore, e si parla gia’ di estendere questo termine.
    Nel 1995 negli Stati Uniti si tento’ di introdurre un copyright eterno e la legge non passo’ grazie solo a dei cavilli legali (http://en.wikipedia.org/wiki/Copyright_Term_Extension_Act#Support)
    Se si tornasse a dei copyright con delle durate “normali” potrei essere favorevole, ma non posso che essere contrario, quando vedo che nel 1998 si estese il copyright da 50 a 70 anni solo perche’ la Disney rischiava di perdere i diritti su topolino e paperino.
    La lobby del copyright vorrebbe un mondo dove bisognerebbe ancora pagare le royalties agli eredi di Mozart o Boccaccio.
    Lo stesso vale anche per la produzione di qualunque apparecchiatura: se avessimo avuto una tale lobby non nel 1990 ma nel 1890, produrre nuove invenzioni che riutilizzano idee altrui (motori, elettricita’, componenti elettrici, reazioni chimiche) sarebbe stato talmente costoso da bloccare ogni progresso.

  • fabio (da roma)

    altro esempio: se io vado al ristorante e mangio una portata particolare, una pasta orignale e della carne preparata in modo particolare, perché non la posso rifare a casa o al mio ristorante?
    non ne voglio estorcere al cuoco i suoi segreti ne spiarne la cucina, ma ingegnarmi a casa a rifare quel che m’è piaciuto, usando mio gustoe capacità. Perché no??

    ebbene col software proprietario è vietato non solo disassemblare il prodotto ma addirittura il reverse engeenering, cioè fare un software che faccia quello che fa un altro nel medesimo modo.
    Tornando all’esempio iniziale, è come se mifosse vietato di rifare a casa mia la pasta alla carbonara che ho tanto ho apprezzato a casa di quel parente a natale, o rifare al mio ristorante la zuppa di mare gustata da baccus a fiumicino…..

    Se posso essere d’accordo con il contratto d’acquisto di un prodotto, dove m’impegno a non violarne i segreti intimi con tecniche aggressive, non reputo assolutamente giusto -ancorché legale- che mi si vieti di rifarlo di sana pianta utilizzando mie conoscenze, mio tempo, mie capacità.
    Per me è come se mi si vietasse di usare il fuoco avendo visto un altro preistorico accenderlo ed usarlo.

    il libro di Richard Stalmann mi ha aiutato a formarmi l’opinione che ho…forse di parte ma mi convince molto più delle obiezioni:

    qui per scaricare il libro in formato epub
    http://www.apogeonline.com/libri/9788850311224/scheda

    qui per scaricare il lettore di ebook per windows e mac
    http://www.adobe.com/products/digitaleditions/

    Potreste anche solo leggere la licenza GNU, è sintesi e concentrato di tutto.

    Fabio

  • domenico

    “Perché allora, ritornando all’inizio, io quando scarico una canzone mi sento intimamente un po’ ladro?” questo è dovuto al semplico sentimento di empatia che ognuno ha nei confronti degli altri, anche solore che sbagliano.
    Anche a me può dispiacere per una famiglia col padre tassista che rischia di vedersi liberalizzata la professione. Ma non per questo mi permetterei di dire che la licenza dei taxi è utile quando in realtà è una porcata.
    Se un muscicista non riesce a guadagnare con la sua musica senza richiedere l’aiuto dello Stato si trovi un altro mestiere così come dovrebbe fare il tassista incompetene, invece di dare del “ladro” a chi lo ascolta senza fargli l’elemosina. L’arte del resto io sapevo si facesse per passione e non per lucro.

    Cmq la proprietà intellettuale è stata messa su solo per far entrare più soldi allo Stato. Come può lo stato guadagnarci dalle idee e dall’ingegno dei singoli uomini altrimenti lasciate in balia del libero mercato?
    Semplice si presenta alla tua porta come un mafioso e ti dice “Ho una proposta che non potrai rifiutare. Tu hai belle idee, si nu bravo guagliona. Facimme cossì, io mando i miei picciotti a sistemare nu poco quelli che copiano le tue idee, così i soldi generati dai mercati che sfruttano le tue idee te li fai tu e poi me dai na percentuale, che ne dici?” e chi rifiuterebbe? Solo gli onesti.

    Riguado ai brevetti suggerisco anche il libro “Against Intellectual Monopoly” di Michele Boldrin e David K. Levine, per capire come i brevetti non stimolino il progresso scientifico anzi in realtà lo limitano, anche a causa del perverso meccanismo che porta a premiare solo gli ultimi ricercatori, quelli che arrivano alla scoperta, molto più degli altri.

    Se uno ha delle belle idee tanto ci guadagna comunque dalla pubblicità che si è creato avendole.

    • Ped@nte

      Anche per evitare la diffusione di pensieri sediziosi, vedi The Statute of Anne 1710.

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