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democraziaeleggeDI GIOVANNI BIRINDELLI*

Buonasera. Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno dato il loro contributo all’organizzazione di questa conferenza, e in particolare Franco Bertelli, Rivo Cortonesi, Leonardo Facco, Luca Fusari.

Come noto, il termine “democrazia” indica un sistema sociale in cui esiste il potere politico e in cui questo è detenuto dal “popolo” (qualunque cosa si voglia intendere con questo termine). Di conseguenza, la domanda “quale democrazia?” presuppone che si sia preliminarmente risposto in senso affermativo alla domanda: “il potere politico ha ragione di esistere?”

La risposta a questa domanda tuttavia non può essere data per scontata. Infatti, all’interno della variata compagine di coloro che cercano la coerenza nella difesa della libertà, questa risposta non è né univoca né semplice. Essa si lega al dibattito fra stato minimo e anarco-capitalismo.

Per non allontanarmi dal tema di questa conferenza, supporrò una risposta affermativa alla domanda di cui sopra e quindi farò riferimento a una situazione in cui esiste il potere politico, e di conseguenza lo stato e le tasse.

Una volta ammesso, e non concesso, che il potere politico abbia ragione di esistere, viene spontaneo chiedersi “chi lo deve detenere?”. Il termine “democrazia” dà una risposta a questa domanda, risposta che cambia arbitrariamente a seconda di cosa si intende col termine “popolo”.

Il problema è che questa domanda è irrilevante, e quindi lo è la risposta.

*   *   *

Il punto non è chi detiene il potere politico, ma da che cosa questo potere politico, chiunque sia a detenerlo, è limitato. Ciò che infatti costituisce il totalitarismo non è il fatto che il potere politico non sia detenuto dal “popolo”, ma il fatto che questo potere politico, chiunque sia a detenerlo, è illimitato (o, il che è lo stesso, è limitato in modo arbitrario).

Lasciamo perdere dunque le domande irrilevanti e concentriamoci su quelle a cui dobbiamo per forza rispondere se il nostro obiettivo è invertire il senso di marcia e tendere verso una forma, seppur imperfetta, di libertà, ovvero:

1) ammesso e non concesso che il potere politico abbia ragione di esistere, da che cosa deve eventualmente essere limitato? e

2) come limitarlo?”

La prima domanda è teorica, la seconda strategica.

Su un piano generale, esistono due sole possibili risposte alla prima domanda. Da un lato, infatti, il potere politico può essere limitato dalla volontà arbitraria di chi lo detiene: sia questi Hitler, Stalin, quel folto gruppo di parassiti che scaldano le poltrone dei nostri parlamenti oppure i cittadini stessi. Dall’altro lato, il potere politico può essere limitato dalla Legge, la quale è indipendente dalla volontà di chiunque, e in particolare del “popolo”.

La Legge infatti è il principio astratto; la regola generale di condotta individuale valida per tutti (stato per primo) allo stesso modo. Come le regole della lingua, quelle della Legge sono un ordine spontaneo. In particolare, esse sono il risultato di uno spontaneo processo evolutivo di selezione culturale di usi e convenzioni di successo: nessuno ha arbitrariamente deciso che l’azione del furto o quella della contraffazione sono illegittime e per questo nessuno può decidere che siano legittime, anche se un potere violento può renderle legali. In questo senso, come dice Hayek, non è la Legge a derivare dall’autorità ma, al contrario, è l’autorità a derivare dalla Legge “non nel senso che l’autorità viene costituita secondo la Legge, ma nel senso che l’autorità deve essere rispettata perché (e fino a quando) difende una Legge che si presume esistere indipendentemente da essa”.

La “legge” fra virgolette (o fiat), al contrario, sono quei provvedimenti particolari, quelle decisioni arbitrarie dell’autorità che la Legge è cresciuta appunto per limitare.

Quindi, ricapitolando, ammesso e non concesso che il potere politico abbia ragione di esistere, è possibile avere solo due ordini politici: da un lato, quello in cui è l’autorità a derivare dalla Legge, cioè a “orbitare” attorno a essa come nel sistema eliocentrico è la Terra a orbitare attorno al Sole. Dall’altro lato, è possibile avere un ordine politico in cui è la “legge” fiat a derivare dall’autorità, cioè a “orbitare” attorno a essa come in un sistema geocentrico è il Sole a orbitare attorno alla Terra.

 

Nel primo sistema (la società imperfettamente libera), il potere politico è limitato dalla Legge nel senso che le funzioni dello stato sono limitate alla difesa di quest’ultima e da quest’ultima. Nel secondo caso (il totalitarismo), il potere politico, chiunque sia a detenerlo, è limitato dalla “legge” fiat e quindi dalle sue stesse decisioni: in altre parole, è illimitato.

*   *   *

Ho parlato di “ordini politici” ma, più in generale, avrei dovuto parlare di ordini ideologici. Molti concetti politici, infatti (pensiamo all’uguaglianza davanti alla legge o alla certezza della legge), assumono un significato opposto a seconda che con la parola legge si intenda la Legge nel suo senso originario (il principio che limita il potere dell’autorità) o la “legge” fiat (lo strumento del potere dall’autorità).

 

Uno di questi concetti politici che assumono significato opposto a seconda di ciò che si intende con la parola “legge” è proprio quello di democrazia.

È fin troppo comune, perfino da parte di non pochi difensori della libertà, usare il termine “democrazia” senza qualificazioni, come se esistesse un tipo solo di democrazia. In realtà esistono due tipi di democrazia, e non mi riferisco alla democrazia diretta e a quella indiretta: quelle sono declinazioni diverse dello stesso tipo di democrazia.

Da un lato, c’è infatti la “democrazia” che si basa sulla “legge” fiat: questa è la “democrazia totalitaria”, quella che abbiamo oggi in occidente. Dall’altro, c’è quella che chiamerò semplicemente democrazia e che si basa sulla Legge intesa come principio.

La “democrazia” totalitaria consiste nella regola di una maggioranza. Ora, poiché nella “democrazia” così intesa l’unico limite a una decisione di gruppo è l’esistenza di una maggioranza a suo favore (eventualmente qualificata), questo significa che non esiste nessun limite non arbitrario al potere politico detenuto da questa maggioranza e quindi che, per definizione, questo sistema politico è totalitario. In altre parole, il fatto che oggi noi possiamo scegliere il colore della nostra camicia è il segno di un disinteresse del potere politico per il colore delle nostre camicie: se domani una maggioranza ci imponesse legalmente di usare un determinato colore per le camicie, quella decisione sarebbe “democratica” e chi non riconoscesse alla maggioranza il potere di prendere questa decisione sarebbe un “antidemocratico”. Se la democrazia fosse questo, cioè se essa fosse quello che è oggi in occidente, allora essere “democratici” vorrebbe dire necessariamente essere nemici della libertà.

La democrazia, tuttavia, non è questo: non è la tirannia della maggioranza, non è assenza di limiti non arbitrari al potere politico. Al contrario, essa è semplicemente uno dei tanti possibili sistemi politici basati sulla Legge intesa come limite al potere politico (un sistema pieno di difetti e con qualche vantaggio). In una democrazia, infatti, le regole, le Leggi, non le fa la maggioranza, ma, come le regole della lingua italiana, queste esistono indipendentemente dalla volontà di qualunque maggioranza. Il compito della maggioranza è quello di organizzare l’unica funzione dello stato che è compatibile con la sovranità della Legge: cioè la difesa di quest’ultima. Tuttavia, nell’organizzare questa difesa, la maggioranza non può violare la Legge se non per quello stretto necessario per difenderla (le tasse sono un furto, una violazione della Legge: ecco perché, laddove c’è lo stato minimo non arbitrariamente definito, parlo di società imperfettamente libera). Quindi, in primo luogo, in una democrazia una maggioranza non può decidere il finanziamento di un museo mentre può decidere, eventualmente e a certe condizioni, il finanziamento di un tribunale. In secondo luogo, anche per il finanziamento di quel tribunale, in una democrazia la maggioranza per esempio non può ricorrere (e ancora meno può ricorrervi in modo sistematico) alla proporzionalità fiscale né, tantomeno, alla progressività fiscale. Queste costituiscono infatti una violazione dell’uguaglianza davanti alla Legge.

In altre parole, in una società imperfettamente libera (e quindi anche in una democrazia) il potere politico (cioè il potere di decidere il finanziamento di quel tribunale) deve essere separato da (e sottoposto a) quello legislativo (cioè il potere di scoprire, custodire e difendere, mediante una coerente attività di studio e di ricerca, la Legge intesa come principio e l’uguaglianza davanti a essa, che è una cosa, non diversa, ma opposta alla disuguaglianza legale: sul piano delluguaglianza davanti alla Legge, non c’è nessuna differenza fra la progressività fiscale e le leggi razziali). In tutti i regimi totalitari (e quindi anche e soprattutto nelle “democrazie” totalitarie in cui viviamo) questi due poteri (il potere politico e quello legislativo) sono confusi e sommati l’uno all’altro. Anzi, quello legislativo di solito è soppresso, creando, nelle parole di Hayek, una situazione di “stato senza legge”, situazione il cui segno esteriore più evidente e misurabile è l’iperinflazione di “leggi” fiat.

In estrema sintesi, in una democrazia totalitaria una decisione è democratica se è presa a maggioranza. In una democrazia, invece, una decisione presa a maggioranza è democratica se è limitata allorganizzazione della difesa della Legge intesa come principio e se è da questa limitata.

*   *   *

Ora, l’aver chiarito in teoria l’antitesi fra la “democrazia totalitaria” e la democrazia, aiuta, ma non risolve il problema pratico e strategico posto dalla seconda domanda: come limitare il potere politico? Come passare da un sistema in cui è la “legge” a derivare dall’autorità a uno in cui è l’autorità a derivare dalla Legge? Qual’è la migliore strategia per avviare la rivoluzione copernicana in ambito politico?

Nel 1983 Murray Rothbard scriveva che “L’elaborazione di una teoria sistematica della libertà è stata già di per se una cosa piuttosto rara. Ma l’esposizione di una strategia per la libertà è stata di fatto inesistente”. Non molto è cambiato da allora: il problema strategico di come passare da una società totalitaria a una libera ha ricevuto ancora meno attenzione di quello teorico di definizione dell’obiettivo.

L’anno scorso, alla seconda edizione di questa stessa conferenza, ho presentato le linee essenziali di una mia proposta strategica in questo senso. Ho chiamato questa proposta L’offerta privata della legislazione.

Prima di chiudere questo intervento, mi limito a mettere brevemente in evidenza una caratteristica strategica di questa proposta che l’accomuna a Bitcoin e che secondo me costituisce uno dei suoi punti di forza (non c’è bisogno di conoscere o di ricordarsi di quella proposta: il punto che voglio fare qui è generale).

Bitcoin non è nata sostituendosi al denaro fiat. Lo sostituirà, prima di quanto si pensi. O magari lo sostituiranno altre monete digitali, magari basate sull’oro fisico, al cui ritorno potrebbero quindi aprire la strada. Ma Bitcoin non è nata sostituendolo, bensì affiancandolo. Questo affiancamento (il mettere in atto un progetto privato senza chiedere il permesso a nessuno) ha prodotto l’avvelenamento del “denaro” fiat che è appena iniziato e che gradualmente porterà alla sua fine. Il veleno non è il fatto che Bitcoin sia una moneta moralmente superiore al denaro fiat: il veleno (o meglio, parte del veleno) è la convenienza che le persone hanno a usare e detenere Bitcoins (una moneta che non può essere arbitrariamente inflazionata dallo stato, cioè dalle banche centrali cosiddette “indipendenti”). Ecco, la mia proposta ha in comune con Bitcoin, o piuttosto con una moneta digitale basata sull’oro fisico, questo: non mira a sostituire dall’alto la “legge” fiat con la Legge (ciò sarebbe utopico). Al contrario, mira ad affiancare la Legge alla “legge” fiat (privatamente, senza chiedere il permesso a nessuno) così da iniziare ad avvelenarla. Il veleno è una struttura di incentivi, che costituisce l’anima della proposta. Grazie a questa struttura di incentivi, le persone potranno individualmente concorrere al restauro della Legge, ma non necessariamente per motivi morali, bensì in funzione del proprio interesse. Denaro non-fiat e Legge sono entrambi limiti non arbitrari al potere politico, sono entrambi due ordini spontanei: ciò che sta funzionando per il restauro del primo non è detto che non possa dare alcune indicazioni utili su cosa potrebbe funzionare per il restauro della seconda.

Il modo migliore e più sicuro per proseguire lungo la strada della schiavitù è far dipendere l’inversione di marcia dalla lungimiranza dei politici e, forse, anche da una diffusione preliminare della cultura della Libertà fra le masse, cioè fra coloro (basti pensare alle odierne élites intellettuali) il cui pensiero non è capace di uscire dalla gabbia in cui è stato rinchiuso dallo stato moderno. Una struttura di incentivi, invece, non richiede a chi ne approfitta né lungimiranza né cultura della libertà; non richiede di essere fuori da quella gabbia mentale. Richiede semplicemente alle persone di fare ciò che sanno fare meglio: i propri interessi. E facendo liberamente i propri interessi esse potranno gradualmente acquisire la cultura della libertà senza nemmeno rendersene conto.

*   *   *

In conclusione, per i suoi fans la “democrazia” totalitaria è un fine in se stessa: la “legge” fiat è il mezzo per conseguire questo fine, il pilastro su cui esso si regge. La democrazia, all’inverso, non è un fine ma un mezzo, uno dei tanti possibili: il fine è la sovranità della Legge intesa come principio e quindi la libertà. Il problema più grande che oggi abbiamo davanti non è teorico, è strategico e consiste nel trovare un modo pacifico e concretamente percorribile per cambiare sistema di riferimento: cioè per passare da un sistema in cui è la “legge” fiat a orbitare attorno all’autorità a uno in cui è l’autorità a orbitare attorno alla Legge, cioè a derivare da essa. Io credo che, su un piano strategico, per una possibile soluzione a questo problema, Bitcoin abbia molto da insegnare alla teoria politica.

Nei limiti in cui il potere che essi detengono è limitato dalla volontà di una qualunque maggioranza, i politici sono il nemico da abbattere con le nostre idee. Essi tuttavia sono la manifestazione del problema, non la sua causa. La causa del problema è il positivismo giuridico, quella che ho chiamato la “legge” fiat: senza estirpare questo non ci può essere né Legge, né libertà, né capitalismo, né prosperità. Grazie.

Intervento tenuto a Interlibertarians, Lugano 30.11.2013

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Showing 25 comments
  • riccardo

    come diceva il grande frederic bastiat, non e’ perche’ gli uomini hanno emanato delle leggi che la personalita’, la liberta’ e la proprieta’ esistono. al contrario,e’ perche’ la personalita’,la liberta’ e la personalita’ preesistono che gli uomini fanno le leggi.
    che cos’e’ dunque la legge? e’ l’organizzazione collettiva del diritto individuale di legittima difesa.
    questo a me pare il senso della legge e dei diritti-doveri dell’uomo, e credo che questo valga in ogni luogo e in ogni tempo,praticamente valori universali da conservare e tramandare a tutte le generazioni a venire.

  • peripiupigri
  • E.F.

    Non ci sono parole per descrivere questo intervento, se non STUPENDO…. un capolavoro di argomentazione!

  • Giovanni Birindelli

    Grazie del commento. Dove c’è la sovranità della Legge intesa come regola generale di comportamento individuale, l’unica “regolamentazione” di qualunque professione sarebbe la Legge così intesa. In altre parole, dove c’è anche la minima regolamentazione delle professioni (per esempio dove per curare una persona è richiesta la laurea in medicina, l’autorizzazione dell’autorità ecc.) non c’è sovranità della Legge. Il mercato lasciato a se stesso selezona sempre i più capaci: quella è la sua natura. La natura dello stato, invece, è cristallizzare, impedire, soffocare, ostacolare l’esercizio di ogni professione, l’innovazione e la sperimentazione. Riesce a fare questo suo lavoro con successo perché asseconda le paure e le insicurezze delle persone.

  • Mauro Gargaglione

    Comunque, Giovanni, hai sollevato un punto di straordinaria attualità che ci tocca molto da vicino. Provo a riassumerlo così.

    Se io non taglio la gola ad uno che si è infilato fulmineamente nel posteggio che puntavo da dieci minuti, non è perchè ho paura di beccarmi trent’anni di galera. Rischio trent’anni di galera perchè la comunità in cui vivo, me compreso, “sente” che sgozzare il prossimo è un atto criminale. Così criminale, che non sono previste attenuanti.

    Ti vengono in mente culture in cui sgozzare il prossimo è perfettamente lecito e codificato dalla morale e dalla legge? Oppure ammazzare di botte la figlia perchè indossa un paio di jeans? Certo che sì!

    Questa riflessione mi mette un po’ in imbarazzo, nel senso che i diritti naturali a cui pensi nelle tue analisi, esistono solo per chi è d’accordo volontariamente a considerararli al di sopra di tutto.

    Per chi è lontano da questa cultura, sono semplicemente una filosofia o anche una religione come un’altra. Anzi, la religione degli Infedeli da purificare col ferro e col fuoco.

    Non prevedo, ahinoi, un futuro prossimo nel quale la sparuta minoranza “giusnaturalista” possa vivere tranquilla nella sua comunità. Scannare per non essere scannati? Un futuro funereo ma, temo, realistico.

    • Giovanni Birindelli

      Grazie Mauro. Attenzione a non confondere la Legge intesa come ordine naturale (il giusnaturalismo) e la Legge intesa come ordine spontaneo. Dal mio punto di vista, la critica che fai tu per certi versi può essere fatta al giusnaturalismo, ma non alla Legge intesa come ordine spontaneo.

      Un ordine naturale è uno che non dipende né dall’azione dell’uomo né dal suo disegno naturale (per esempio la forza di gravità).

      Un ordine razionale è uno che dipende sia dall’azione dell’uomo che dal suo disegno (per esempio un concerto di musica classica)

      Un ordine spontaneo è uno che dipende dall’azione dell’uomo ma non dal suo disegno (per esempio una lingua, che senza l’uomo non ci sarebbe ma che non è stata “progettata a tavolino” da nessuno).

      Come la Legge intesa come ordine spontaneo, la Legge intesa come ordine naturale (il giusnaturalismo) è compatibile con un sistema politico in cui è l’autorità a derivare dalla Legge e non viceversa (sistema elicentrico in figura o, come lo chiamo io, “nomocentrico”). Questo punto che queste due idee di Legge hanno in comune induce spesso a confonderle l’una con l’altra ma esse sono diverse appunto perché una è un ordine spontaneo e l’altra è un ordine naturale.

      Come dicevo, questa differenza secondo me acquista particolare rilevanza nel caso della tua critica, che secondo me è rilevante nel caso della Legge intesa come ordina naturale ma non in quella della Legge intesa come ordine spontaneo. Infatti la Legge naturale (il “diritto naturale”) è necessariamente arbitraria in quanto il concetto stesso di cosa è “naturale”, nel campo delle scienze sociali, lo è. Come dice Antiseri, «il concetto di ‘natura’ – e quindi di ‘natura umana’ – assume il suo significato all’interno di prospettive teoriche (filosofiche e religiose) differenti, e magari contrastanti […]. In altri termini: nulla vi è di più culturale della ‘natura’. […] ‘Per Kant […] era naturale la libertà; ma per Aristotele era naturale la schiavitù. Per Locke era naturale la proprietà individuale, ma per tutti gli utopisti socialisti […] l’istituto più conforme alla natura dell’uomo era la comunione dei beni’».

      La Legge intesa come ordine spontaneo, invece, non è esposta a questa critica. Per capirlo, conviene pensare a un ordine spontaneo con cui siamo più familiari: la lingua appunto. La declinazione del verbo avere non è arbitraria, non dipende dalle opinioni individuali. La prima persona singolare del futuro semplice del verbo avere è “avrò” e se qualcuno dice “avretti” al suo posto possiamo dire con certezza che sbaglia.

    • Fabio

      il problema è nell’essere costretti ad usare la strada pubblica, che ti costringe ad aspettare 10 minuti per il parcheggio e poi ti abbandona quando due utenti (non clienti) hanno un attrito.
      la strada dovrebbe essere privata e qui si aprirebbe l’arcobaleno di soluzioni dei privati in concorrenza:
      -la stada cara ma con tanti parcheggi (pochi se la possono permettere) ma ,forse, frequentata da parecchie donne perché si sentono al sicuro, perché ci possono trovare uomini ricchi da sposare, ecc..
      -la strada senza pedaggio ma con parcheggi solo nei silos (ne ho visti di fantastici ipertecnologici nel mio recente viaggio in giappone)
      -le strade coi parcheggi gratuiti presso i silos sopra i centri commerciali
      -eccetera, per tutte le soluzioni che a qualcuno possa venire i mente di offrire: se trova clienti vuol dire che va bene così.

      sempre che usare la propria auto sia ancora una scelta, perché oggi siamo costretti dalle politiche pro Fiat, visto che l’economia si regge sull’industria del mattone e dell’auto. Un domani che chiunque potrà dare un passaggio remunerato a chiunque altro senza scontrino né tasse.le auto ferme parcheggiate saranno drammaticamente meno e quelle in circolazione lo saranno di continuo e sempre con qualcuno a bordo.
      Non solo,essendoci anche libertà di lavorare, lo potrai fare vicino casa senza bisogno dell’auto, mentre oggi è tutto studiato per avere quartieri dormitorio lontani dai quartieri degli affari e scarsi collegamenti pubblici tra questi (la metro è studiata solo per collegare dormitori a ministeri).

      come vedi basta anche solo cominciare a far funzionare la mente per scoprire l’enorme potenzialità di quello che potresti fare coi TUOI soldi, rischiando di tasca tua.
      Oggi di chiacchiere se ne fanno tante, ma tutti cercano il culo altrui, il contributo pubblico, il finanziamento statale, il fondo europeo.
      Nel Libero Mercato in Libera Concorrenza, TU lavorerai a fare la TUA offerta (parcheggio,istruzione,trasporto,rifiuti,energia,ecc..) e se non riesci ad avere successo TU ci rimetti, ma in caso contrario TU diventerai ricco e NESSUNO potrà, in nome della fantomatica democrazia, venirti a togliere l’80% di quanto hai in tasca per mantenere la mafia statale pubblica collettiva.

  • FrancescoL

    Bellissimo intervento, fino a quando la democrazia sarà la dittatura della maggioranza sulla minoranza sarò anti-democratico.

  • Giovanni

    Salve,
    intervento davvero molto bello. Vorrei però fare un commento/domanda
    Cito:
    ”’Come le regole della lingua, quelle della Legge sono un ordine spontaneo. In particolare, esse sono il risultato di uno spontaneo processo evolutivo di selezione culturale di usi e convenzioni di successo.”’

    C’é però una cosa che mi lascia perplesso: essendo il processo evolutivo continuo ne deriva di conseguenza che anche la Legge é in continua evoluzione. L’esistenza di un qualsivoglia organo che operi per il rispetto della stessa non é di per sé un freno all’evoluzione della Legge stessa? Lo stesso “principio di non aggressione” é probabilmente frutto di un processo evolutivo. E’ la sua difesa un opposizione alla sua “naturale” evoluzione?

    • Giovanni Birindelli

      Grazie per il commento. La risposta, dal mio punto di vista, è “no” in quanto, in una società imperfettamente libera, coloro che devono imporre il rispetto della Legge sono separati da (e sottoposti a) coloro che, mediante una coerente attività di studio e di ricerca, la devono scoprire, custodire e difendere. Quindi se la Legge evolvesse, la sua evoluzione sarebbe colta da questi ultimi. Detto questo, credo che l’affermazione in base alla quale “la Legge è in continua evoluzione” sia vera nel senso che l’emergere continuo di “nuove” situazioni (pensiamo a internet) richieda l’applicazione a essi dei “vecchi” principi. Per quanto teoricamente possibile (come lo è il fatto che il futuro del verbo “avere” sia un giorno usato per riferirsi al passato), ritengo che la probabilità di un’evoluzione della Legge nel senso di una modifica dei principi (p. es. la trasformazione del furto in azione giusta e non in contraddizione con tutte le altre azioni ritenute giuste) sia tecnicamente impossibile.

      • Giovanni

        Grazie della risposta e vorrei farle un’altra domanda.
        L’esistenza di queste persone che hanno come compito scoprire, custodire e difendere la “Legge” non crea la possibilità della nascita di una elité? ( a maggior ragione che coloro che devono far rispettare la legge sono si separati ma sottoposti a questi ). Nel caso quale sarebbe il meccanismo interno al sistema atto ad impedire questa eventualità?

        • Giovanni Birindelli

          A mio modo di vedere, ciò che deve essere impedito non è che i legislatori siano un’élite. Più i legislatori sono un’élite, meglio è: uno dei problemi del positivismo giuridico consiste proprio nel fatto che la “legge” fiat non richiede nessun’altra capacità oltre quella di saper spingere un pulsante, e spesso nemmeno quella (e quindi uno Scilipoti, un Bersani o un Monti qualunque vanno bene). Ciò che invece deve essere impedito è che il lavoro di queste élites dia loro dei gradi di libertà o la possibilità di esercitare una qualche arbitrarietà. E solo la Legge intesa come principio, e in particolare come ordine spontaneo, è in grado di fare questo.
          Mi spiego con un’analogia (in relazione alla quale è utile ricordare che, così come la Legge intesa come principio, anche lingua è un ordine spontaneo).
          Immaginiamo di scoprire per caso, a seguito di scavi archeologici, una lingua antica finora sconosciuta. Abbiamo davanti a noi due possibilità: a) affidiamo il lavoro a sei non-lingusti: p. es. Scilipoti, Santanché, Monti, Bersani, Casini, Renzi (che per semplicità chiamerò la “banda degli inetti”) ; b) affidiamo il lavoro ai sei linguisti ritenuti fra i migliori nel loro campo (che per semplicità chiamerò “il gruppo d’élite”). Con quale delle due scelte massimizzeremo le possibilità di scoprire quella lingua misteriosa? Col gruppo d’élite: e più quell’élite è tale e meglio è.
          Questo vuol dire che stiamo affidando a quest’élite un potere arbitrario? Niente affatto: infatti non stiamo chiedendo a questo gruppo di linguisti di inventarsi di sana pianta una lingua, ma di scoprire, mettendone insieme i pezzi e creando legami e relazioni fra di essi, una lingua che esiste già, indipendentemente da loro. Essi quindi non hanno gradi di libertà o spazi per l’arbitrarietà: il loro lavoro sarà corretto se (e nei limiti in cui) è attinente al materiale che hanno trovato e se (e nei limiti in cui) l’ordine da essi scoperto (la lingua) non presenta elementi di arbitrarietà.
          In una situazione di positivismo giuridico (cioè di “legge” fiat), invece, i “legislatori” possono essere degli inetti qualunque e il loro lavoro implica un potere totalmente arbitrario: essi possono creare (e hanno creato) situazioni in cui l’appropriazione indebita o la contraffazione, tanto per fare un esempio, sono permesse in alcuni casi (banche commerciali e banche centrali rispettivamente) e non in altri: non essendo il loro lavoro vincolato da princìpi, cioè da regole di comportamento che devono essere valide per tutti allo stesso modo, il loro potere arbitrario è illimitato. Mentre è proprio questa caratteristica dei principi di dover valere per tutti allo stesso modo che vincola (e toglie potere arbitrario a) coloro che devono scoprire, custodire e difendere la Legge: se essi volessero creare inflazione monetaria attraverso la manipolazione monetaria e del credito essi 1) sarebbero obbligati a permettere a tutti l’appropriazione indebita e la contraffazione e 2) dovrebbero dimostrare che l’appropriazione indebita e la contraffazione sono comportamenti che non sono in contraddizione, su un piano astratto, con altri comportamenti ritenuti giusti, il che è impossibile.
          In conclusione, e mi scuso per la lunghezza della risposta: ciò che dobbiamo impedire non è che i legislatori siano un’élite, ma che il loro lavoro sia arbitrario.

          • Giovanni Birindelli

            PS. Nell’esempio della lingua scoperta a seguito di scavi archeologici il problema che i due gruppi devono risolvere è naturalmente quello del decifrarla.

          • Giovanni

            Sono solo in parte d’accordo.
            Se scoprissimo una nuova lingua morta senza dubbio anche io vorrei che a studiarla siano degli esperti non certo dei pinco pallini qualunque presi per strada.
            Chi mi assicura che il loro studio sia fatto bene? deve esserci un fortissimo legame di fiducia tra costoro, che interpretano/studiano, e la popolazione, tanto di più che nel caso della “Legge” quello che loro scoprono sarà applicata a tutti.
            Mi si può obbiettare che quello che loro studiano ed interpretano deriva dalla popolazione stessa e non e’ propriamente applicato in quanto, se ho capito bene, l’applicazione diviene una pura formalità in quanto “mettere nero su bianco” una consuetudine già ampiamente accettata.
            La cosa non mi convince fino in fondo.
            A differenza di una nuova lingua il cui studio non é ambiguo, la “Legge” in quanto espressione di una consuetudine popolare é fortemente sfaccettata all’interno della società stessa.
            Prendiamo per esempio il “non uccidere”. Generalmente é accettato da tutti ma ci sono una quantità enorme di sfumature. Come comportarsi con chi commette crimini indicibili? Senza entrare nel dettaglio immagino ci siano tantissime idee anche se rimane un nocciolo duro di fondo.
            Come gli studiosi e gli interpreti della “Legge” arrivano a codificarla? solo il nocciolo duro?
            Inoltre altra cosa che non mi convince fino in fondo é il fatto che “la regola vale per tutti” sia un forte disincentivo. Generalmente é vero ma ci sono tanti casi in cui non é così.
            Mi scuso se mi sono dilungato e se sono stato un pó confusionario, spero di essermi riuscito a spiegare decentemente.

          • Giovanni Birindelli

            Grazie della risposta. Lei scrive: “A differenza di una nuova lingua il cui studio non é ambiguo, la “Legge” in quanto espressione di una consuetudine popolare é fortemente sfaccettata all’interno della società stessa”. Sul fatto che, in alcuni casi, scoprire la Legge sia un compito difficilissimo (a volte perfino impossibile) a causa della complessità di quest’ultima, sono perfettamente d’accordo con lei. Proprio per questo i legislatori devono essere un’élite e non un Monti, una Finocchiaro, uno Scilipoti o un Grillo qualsiasi. Tuttavia, in primo luogo, questi casi non sono quelli che stanno alla base della tracotanza delle odierne “democrazie” totalitarie: dalla progressività fiscale al welfare state, dalla manipolazione monetaria e del credito all’interventismo economico. In secondo luogo, la Legge, in quanto ordine spontaneo, non è “espressione di una consuetudine popolare” ma di un processo evolutivo di selezione di usi e convenzioni di successo. Non si tratta di spaccare un capello in quattro: se la Legge fosse espressione di una consuetudine, l’esistenza di una consuetudine (poniamo, oggi, la stampa di moneta delle banche centrali, il welfare state, il fatto che lo stato finanzi il teatro) sarebbe di per se sufficiente per costiture la Legge. Invece la Legge è il risultato di quel processo evolutivo che, in un tempo lunghissimo, ha spontaneamente selezionato quelle regole generali di comportamento individuale la cui osservazione consentiva per esempio di ridurre la conflittualità all’interno della società. Dove la Legge è il provvedimento particolare, la complessità della Legge (le sfaccettature a cui si riferisce lei) viene risolta negandola. Dove invece la Legge è il principio generale, non c’è nessuna garanzia che questa complessità venga sempre capita ma c’è la garanzia che: 1) non negando il problema ed essendo attrezzati per affrontarlo, si sia nella posizione migliore per risolverlo, e 2) che nei molti casi in cui non c’è questa complessità (quelli che come ho detto prima stanno alla base del totalitarismo moderno: chiamiamoli i “casi semplici”), la Legge possa essere difesa immediatamente, senza nessuna incertezza o esitazione, in quanto è chiara e lampante. Basti pensare alla riserva frazionaria: se si è d’accordo che l’appropriazione indebita sia una violazione della Legge, allora lo è anche la riserva frazionaria. Se si è d’accordo che la contraffazione sia un crimine, allora lo è anche la stampa di moneta. Se si è d’accordo che le leggi razziali costituiscano una violazione dell’uguaglianza davanti alla Legge, allora, necessariamente, lo è anche la progressività fiscale. E così via. E qui vengo all’altro punto che lei solleva (“Chi mi assicura che il loro studio sia fatto bene? deve esserci un fortissimo legame di fiducia tra costoro, che interpretano/studiano, e la popolazione”). Nel positivismo giuridico (quella che ho chiamato “legge” fiat) lei ha la certezza assoluta che il lavoro sia fatto male anche nei casi più semplici (si vedano di nuovo i casi citati) in quanto la “legge” è un provvedimento particolare (strumento di potere) e non c’è alcuna esigenza di coerenza con una regola generale di comportamento individuale che deve valere per tutti allo stesso modo. Nel caso della Legge, invece, è proprio questa esigenza di coerenza con una regola generale di comportamento individuale che a) le assicura che nei “casi semplici” il lavoro sia fatto bene (se è illegittima la contraffazione allora è illegittima anche la stampa di moneta ecc.) e b) che aiuta chi deve scoprire la Legge nei casi difficili a fare un buon lavoro. Lo stesso identico discorso vale per coloro che devono decifrare una lingua: se un certo simbolo significa una cosa in un caso e quella opposta nel caso opposto, allora vuol dire che probabilmente c’è qualche problema. Non è quindi un problema di fiducia, è un problema di coerenza.

  • Roberto F

    “In una democrazia, infatti, le regole, le Leggi, non le fa la maggioranza, ma, come le regole della lingua italiana, queste esistono indipendentemente dalla volontà di qualunque maggioranza”.

    Non sono troppo convinto di questo, chi ha il potere di legiferare usa i decreti o modifica le leggi, non è una critica è un mio dubbio.

    • Giovanni Birindelli

      Se fosse una critica, sarebbe la benvenuta. Maggiori sono le critiche e meglio è. Lei dice: “chi ha il potere di legiferare usa i decreti o modifica le leggi”. Questo vale per la “legge” fiat (il provvedimento particolare), non per la Legge (la regola generale di comportamento individuale, cioè il principio). Attraverso la “legiferazione”, cioè l’approvazione di provvedimenti particolari, un’autorità può rendere legale qualunque crimine (pensiamo allo stupro): basta un tratto di penna. La legalità è il rispetto di questo ordine dell’autorità: una persona che partecipasse a uno stupro in questo caso agirebbe in modo legale. La legittimità, viceversa, è il rispetto di una regola generale di comportamento individuale che deve necessariamente valere per tutti allo stesso modo. In questo esempio quella persona starebbe agendo in modo legittimo? A meno che non si sia capaci di sostenere in modo coerente che lo stupro è una regola di giusta condotta individuale valida per tutti allo stesso modo e non incontraddizione con le altre regole di condotta individuale ritenute essere giuste, la risposta è “no”. Ma se la risposta è “no” (cioè se è vero che un’autorità, anche se ha il potere di rendere lo stupro legale non ha quello di renderlo legittimo) allora vuol dire che la regola in base alla quale non si deve struprare una persona è indipendente dalla decisione dell’autorità. In altri termini: dove la legge è la “legge” fiat, “legiferare” significa “fare la legge” (cioè prendere decisioni arbitrarie particolari). Dove la legge invece è la Legge (il principio, la regola generale di comportamento individuale, che in quanto ordine spontaneo non è stata decisa da nessuno), “legiferare” vuol dire scoprire e custodire la Legge, la quale esiste indipendentemente dalla volontà di chi la deve scoprire e custodire come la declinazione del verbo “avere” esiste indipendentemente dalla volontà del linguista che deve scrivere un libro di grammatica.

  • eridanio

    Grande Giovanni Birindelli,
    e complimenti agli organizzatori
    Interlibertarians cresce sano e forte

  • Mauro Gargaglione

    E soprattutto, caro Giovanni, “memento evadere semper” !!!

  • Albert Nextein

    Ma Birindelli le paga le tasse? O attua una qualche protesta?
    Scrive bene, ma come razzola?

    • Giovanni Birindelli

      Non che la riguardi, ma io razzolo in un modo tale da essere ritenuto “immorale” e impresentabile dalla gran parte dei collettivisti che mi circondano e tale da spingere alcuni di essi a cacciarmi dalle cene a cui essi stessi mi avevano invitato. E questo a me basta.

      • Albert Nextein

        Grazie.
        Non mi riguarda, è vero.
        Ma ora mi sento meno solo.

  • Mauro Gargaglione

    Aspettavo con ansia la pubblicazione di questo intervento.
    Il solito outstanding Birindelli. Non ci sono parole per lodare la logica e l’intelligenza di quest’uomo.
    Grazie Giovanni.

    • leonardofaccoeditore

      Mi accodo ai complimenti!

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