In Libertarismo

9di HANS-HERMANN HOPPE*

Dopo questa escursione nella teoria della pace democratica torno alla proposizione che non vi è una maggiore minaccia alla pace duratura che lo Stato democratico, e in particolare gli Stati Uniti. Sicché questa è la domanda: come rendere il mondo sicuro dalla democrazia, o quale modo per difendersi contro gli Stati Uniti.

Questo è un problema che non riguarda solo gli stranieri ma anche gli americani. Dopo tutto, il territorio costituente anche gli Usa è territorio conquistato e occupato, conquistato dal governo degli Stati Uniti come oggi è conquistato l’Iraq (anche se con meno successo).

Pertanto, riconoscendo la questione come veramente generale, essa ci permette di ottenere una comprensione più di principio sulle questioni coinvolte. Supponiamo che un piccolo territorio (un paese, una città, una contea) entro i confini degli attuali Stati Uniti dichiari la sua indipendenza e seceda dagli Stati Uniti, cosa possiamo fare e cosa gli Stati Uniti faranno in risposta? La risposta dipende da molti “se” e deve essere per lo più speculativa, anche se non del tutto….

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Showing 6 comments
  • Pedante

    http://lefrasichemipiacciono.blogspot.com.au/2013/09/marco-tullio-cicerone-i-traditori.html

    Serve a poco l’autodifesa se non si prende coscienza del pericolo interno.

  • Pedante

    Alla luce del programma coordinato di deeuropeizzazione e rimpiazzo demografico in corso in tutti i paesi occidentali consiglio vivamente The Naked Prey (1965), film d’avventura privo di qualsiasi traccia di political correctness.
    https://youtu.be/cVZHRkHHSXU

  • eridanio

    A proposito dell’invasione islamica e del successo dei migranti sullo stato invaso, quest’articolo spiega esattamente come una enorme massa di persone indifese e non organizzate in forma di stato possono mandare in tilt qualsiasi potenza militare ed economica semplicemente perchè nessun individuo rappresenta un aggressore organizzato.

    Parafrasando un passaggio dell’articolo.

    Avere un ministro della difesa del calibro della Pinotta o L’alfaneo ministro delle interiora, intesi in riferimento delle rispettive istituzioni, è come avere una costosissima segreteria telefonica che ripete: “Ci arrendiamo”.
    Il dramma è che sono interdette dalla costituzione altre forme di difesa diffusa anche a bassa intensità, organizzata o individuale.
    Lo stato crea guasti ed impedisce gli accomodamenti spontanei.
    E’ solo un esempio delle conseguenze non intenzionali che anche la stessa gente per bene avalla poi contraddittoriamente indignandosi dell’inerzia.

    Ma non disperiamo

    La triste migrazione incontrollata e grondante di sofferenze è tuttavia l’unica speranza di battere lo stato. Gli autoctoni non hanno il fegato nemmeno per capire, figuriamoci per agire.

    Una mattina… mi sono alzato …..لطيمرحبا جميلة ..لطيمرحبا جميلة..لطيمرحبا جميلة
    mid ka mid subax….ман хеста..y he encuentrado un tio de Rho

    • LucaF.

      @Eridano
      Veramente l’articolo di Hoppe non fa riferimento all’invasione islamica o a tattiche jihadiste aggressivo-espansioniste di assoggetazione manu militari, ma semmai allo scenario (assai più concreto di quanto si possa immaginare) di una occupazione militare da parte di uno Stato estero (ad esempio i democratici Stati Uniti) di un territorio e di una comunità locale di proprietari residenti.
      Hoppe descrive come organizzazioni di resistenza operanti tattiche difensive (siano esse nonviolente e/o violente) di tipo policentriche e decentrate possano essere assai più capaci di mettere in crisi gli occupanti e il loro tentato controllo monopolistico del territorio.
      Ovviamente uno Stato estero o straniero può essere anche uno Stato da cui si intende secedere.
      In tal senso le tattiche di resistenza descritte da Hoppe possono essere attuate in chiave separatista contro lo Stato centralista (ad esempio, si veda l’attuale resistenza operata dai secessionisti del Donbass nei confronti dell’esercito di Kiev come caso da manuale hoppeiano).

      • eridanio

        Gent.mo LucaF, posso assicurare, non ho bevuto. :-)

        Il mio commento, apparentemente fuori tema, invece si rifa all’art. completo disponibile sul MiglioVerde (abbonamento di pochi euro mai spesi meglio da non so quanto tempo, anche per merito suo mi sembra).

        Il parallelo dell’invasione islamica o meglio dei migranti in generale nasce dalla constatazione che proprio le dinamiche spiegate nell’articolo sono valide ed effettivamente verificabili nella progressione proprio per quella comunità nascente dei migrati. Non si può chiamare nazione perché non per nascita, lingua o gens è andata a formarsi. Diciamo che è andata a formarsi per fuga da altri stati o da condizioni impossibili.
        Per invasione mi riferisco alle dinamiche di sostituzione per evoluzione dell’origine demografica di un territorio che tra 20 anni potrebbe rendere un lombardo di Gallarate minoranza.

        Ma non è l’ immigrazione in se che interessa per quest’articolo, ma dell’efficacia delle dinamiche di resistenza.

        L’articolo spiega che una comunità senza organizzazione statuale, decentrate, multicentriche, e a gerarchie volontarie e spontanee aggiungo io, possono aver più successo nel combattere organizzazioni altamente gerarchiche di tipo statale. Ciò accade anche quando esiste alta asimmetria di intensità offensiva specifica rispetto alle forze statali, ma non solo. Avviene comunque quando la resistenza si oppone a gerarchie sociali (magari conseguenti allo statalismo) o consuetudini sclerotizzate non permeabili all’evoluzione.

        Ricapitolando:
        1) L’emigrazione è uno dei più pregevoli byproducts della organizzazione in stati.
        2) Quando la immigrazione raggiunge intensità critica non è più governabile appunto per la policentricità, lo scollegamento, la frammentazione che non consente allo uno stato di collegare le dinamiche in atto all’opera di una entità che si possa definire nemica o qualificare come affrontabile.
        3) la resistenza passiva ed attiva dei migranti non è riconducibile ad un pianificazione ma allo spontaneo perseguimento della opzione di vivere e vivere meglio.
        4) la resistenza, l’ostruzione, l’umana ingombrante presenza per necessità, hanno più effetto se lo stato centrale è retto da una accozzaglia di statalisti dalla arroganza cognitiva manifesta che paiono costituire un invito, una chiamata a raccolta di tutti i disperati che riescono a venire, anche solo di passaggio.
        5) Gli autoctoni (magari mentre pensano come secedere) non potendosi difendere individualmente non possono guidare ed accompagnare come possibile il processo d’integrazione con iniziative a bassa intensità di violenza.

        Funziona! E’ la prova provata che Hoppe ha ragione da vendere.

        Questo avviene sotto i nostri occhi.
        Hoppe fa si il caso classico della secessione da uno stato centralista monopolista della violenza in un territorio, ma la ribellione (secessionista o no) funziona sempre ed in ogni caso, anche se non pianificata.
        Avviene spontaneamente tutte le volte che una organizzazione gerarchica entra in contatto con una agglutinazione di diffusi interessi che si oppongono impalpabilmente circondano ed infine soffocano le istituzioni che non accettano di cambiare.

        Il grosso dei migranti è gente disperata che cerca di sopravvivere mitemente ed in santa pace al riparo dei tormenti. E’ gente che ha fatto la propria secessione con le gambe ed occorrendo nuotando.
        Dove si installa in massa necessariamente cambierà il luogo anche per chi lo occupava da sempre. Cambierà, come sta cambiando, soprattutto per le loro basiche richieste di pace e tranquillità e decenza del vivere.
        Senza farne un caso, i cinesi a Prato pagano le tasse che vogliono, così come accade a Napoli, in via Sarpi a Milano, ma così come in altre parti crescono per esigenza di sopravvivenza e no imprese di stranieri sempre più capaci, operosi e produttivi.

        Non è solo una questione di Americani o statalisti contro secessionisti, ma quest’articolo apre alla speranza che le cose non sono mai comunque ferme e statiche.
        Mentre i secessionisti si faranno venire il mal di testa almeno a studiare e capire cosa voglio e quanto utili sarebbero le osservazioni sulle possibilità di successo di una società senza stato, le dinamiche di “germinazione” di una nuova nazione fatta di persone che, sfuggendo dal disastri statalisti, oppone anche ai secessionisti localizzati sul medesimo suolo la pressione di una presenza della quale si potrebbe tenere conto ed anzi provare ad arruolare alla causa per le sue caratteristiche di disarmante “pace offensiva” che colpisce al cuore con alto distribuito impatto la gerarchia e monopolio istituzionale della coercizione.
        La sanzione dell’inerzia dei secessionisti sarà la loro irrilevanza. E’ solo questione di tempo.

        • eridanio

          excusatio non petita, accusatio manifesta?
          Ci può stare, ….ho smesso di curarmi da poco. :-))

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