L’economia libertaria

Secondo i libertari, per organizzare una società il capitalismo liberale basta a sé stesso.
Non c’è alcuna ragione di abbandonare la civiltà dei rapporti volontari (comunitari, di mercato o di altro genere) per introdurre relazioni aggressive fondate sulla coercizione.

È esattamente in questo senso che va intesa la tesi di Rothbard secondo cui l’imposizione fiscale è un’estorsione: una vera e propria aggressione ai beni e ai diritti dei singoli.
La pianificazione economico-sociale rappresenta, invece, la distruzione di ogni possibilità di disporre di informazioni, conoscenze, esperienze e occasioni di crescita.

A questo riguardo è stato ricoperto un ruolo fondamentale dagli economisti della Scuola Austriaca (Menger, Mises, Hayek, Kirzner).
Essi hanno favorito una nuova ed inedita comprensione del mercato.
Non viene più immaginato come un sistema in equilibrio ma come un processo in costante evoluzione, non più come un meccanismo impersonale ma come luogo di incontri e transazioni

Questa cultura liberale rigetta l’animismo che caratterizza buona parte della cultura politica contemporanea.
Questa è abituata ad attribuire identità e unità d’azione a realtà sociali complesse che esistono solo come incontro di molteplici e discordanti decisioni.

Adorno e Horkeimer pretesero addirittura di definire quali sarebbero gli effetti del capitalismo sulla personalità individuale.
AL contrario, per il liberalismo austriaco il termine mercato è solo un’espressione che si utilizza per indicare un insieme di accordi volontariamente sottoscritti dagli individui.

Il mercato, quindi, non fa nulla e non condiziona nessuno. Non esistono decisioni del mercato, ma solo decisioni liberamente assunte all’interno del mercato.

Anche il prezzo che emerge nello scambio, non ha mai quel carattere assoluto, generale e universale che una certa economia neo-classica tende ad attribuirgli.
Esso vive solo nelle transazioni.

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