In Economia, Libertarismo, Saggi

DI Z3RUEL

I diritti sulla proprietà intellettuale hanno diviso, da sempre, anche i più convinti difensori della Libertà e della Proprietà (cioè coloro i quali vedono ed apprezzano il logico nesso fra questi due valori).

Parecchi studiosi, che possiamo senza dubbio etichettare come liberali, se le son suonate di santa ragione disquisendo a proposito di questo argomento. Il più interessante scambio di idee sulla proprietà intellettuale che ho ritrovato durante la ricerca di informazioni svolto prima della stesura di questo pezzo, è quello fra l’anarchico individualista americano Lysander Spooner (giusnaturalista e “proto-libertarian”), e William Leggett (editorialista e scrittore jacksoniano). Entrambi difendevano la legittimità morale di tale diritto, usando giustificazioni lockiane, ma Leggett, probabilmente influenzato da Thomas Jefferson, riteneva che la difesa dell’esclusiva sulla proprietà intellettuale minacciasse pericolosamente la libera circolazione delle idee e la libertà di parola, per cui, nella sostanza, ed in parte contraddittoriamente, si opponeva alla possibiltà che il governo ed i tribunali potessero porla sullo stesso piano del diritto di proprietà sugli oggetti materiali.

Il punto fondamentale per comprendere se la proprietà intellettuale. possa veramente essere considerata legittima è apparentemente semplice: esistono differenze fra quest’ultima e la proprietà sugli oggetti materiali? Vediamo.

Sia che voi facciate riferimento a Hume e Mises, o che vi sentiate più affascinati da quanto John Locke scrisse nel suo Two Treatises of Government, è chiaro che il concetto di proprietà nasce dal fatto che viviamo in un mondo nel quale le risorse sono scarse, in un ambiente nel quale non è possibile chiedere il permesso a tutti gli abitanti della Terra ogni qual volta abbiam bisogno di utilizzare un determinato bene e che non è possibile che quest’ultimo possa essere sfruttato contemporaneamente da chiunque (senza proprietà vivremmo in un clima di conflitti senza fine). Chi, come Lysander Spooner, Ayn Rand, Herbert Spencer, Friedrich A. von Hayek, James De Long e Stuart Mill (la lista è davvero lunga), pone le due proprietà sul medesimo piano, non tiene conto delle due specificità della proprietà intellettuale o le ritiene in qualche maniera “dannose”:

– la non esclusività: più persone possono cantare la stessa canzone o recitare gli stessi versi di un poema nel medesimo istante senza l’uno arrechi danno all’altro;

– l’inesauribilità: l’oggetto immateriale non si consuma al suo utilizzo, ovvero la risorsa immateriale non può esser svuotata dal lavoro.

A questo punto, a rigor di logica, non ci può nascondere. La proprietà intellettuale lede il diritto di auto-possesso, rende cioè impossibile il libero utilizzo del proprio corpo anche se questa libertà non comporta un danno alla proprietà altrui. I diritti di proprietà intellettuale sono in conflitto con i diritti di proprietà.

Ad esempio, se io brevettassi un passo di danza, nessuno potrebbe ballare usando quella combinazione di movimenti senza il mio permesso. Cioè io estenderei il mio diritto di proprietà sul corpo di altri individui! Il brevetto di una invenzione lede la libertà ed i diritti di un altro eventuale inventore che sia giunto alla stessa creazione in maniera indipendente e a sua volta non tiene conto di quanto l’inventore ha preso da chi lo ha preceduto (questo esempio palesa anche quanto sia debole la pretesa del diritto d’autore).

Ayn Rand e Spooner si difendono da queste accuse dicendo che chi arriva secondo, semplicemente perde ogni diritto perché risulta il perdente di un processo di competizione. Più recentemente, J. De Long ha affermato che anche il diritto di proprietà su oggetti materiali limita la libertà ed il diritto di proprietà, ma la sua tesi, come quella di chi l’ha preceduto è davvero labile. Infatti se io compro un paio di scarpe, nessuno nega ad altri individui di comprarne un altro paio!

Hayek, che non era un pirla, aveva ben in mente le differenze fra le due proprietà, ma era preoccupato del fatto che senza una seria difesa della proprietà intellettuale, senza cioè un intervento che rendesse le idee e le invenzioni artificialmente scarse, l’incentivo all’innovazione e quindi all’investimento fosse troppo basso e che ne sarebbe derivato un rallentamento del progresso. Questo era, e sinceramente in parte rimane, il dubbio sull’effettiva convenienza della scomparsa di brevetti o copyright (siano essi statali o privati, come quelli proposti da Henri Lepage). Il fatto è che è davvero difficile stabilire se questo timore sia fondato. Come ha fatto notare Murray N. Rothbard, la difesa dei brevetti è infatti un incentivo alla ricerca, ma diviene anche un costo per il fatto di dover pagar pegno per le invenzioni tutelate da altri brevetti che l’inventore utilizza per giungere alla sua nuova creazione. Mi sembra un cul-de-sac. Ed anche il buon Rothbard è riuscito a fare un bel po’ di confusione, riuscendo addirittura ad entrare in contraddizione con se stesso. In Man, Economy and State, attacca i brevetti ma difende i copyright (servendosi del concetto del bundle of sticks, caratteristico della common law americana, ma che in realtà è valido solo per la proprietà su beni materiali), mentre nel successivo “L’Etica della Libertà” protegge il costruttore di trappole per topi che, apponendo la parola “copyright” sul suo prodotto impedisce all’acquirente il diritto di copiare l’oggetto e rimettere la copia in vendita.

Insomma, la mia conclusione è che i diritti sulla proprietà intellettuale siano illegittimi, moralmente ingiustificabili ed in contrasto con la libertà degli individui.

Pensare a come sarebbe il nostro mondo senza copyright e brevetti è davvero un azzardo (ma ci son diversi esempi storici che lasciano pensare che il progresso non si fermerebbe affatto). Allo stesso tempo non trovo nulla di illegittimo nella protezione delle proprie invenzioni con mezzi tecnologici e con contratti di riservatezza imprenditore-collaboratore che prolunghino il vantaggio temporale di un determinato metodo di produzione.

In fondo, i trucchi dei prestigiatori non sono protetti da copyright.

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  • Caber

    attenzione però, il discorso non è così semplice.
    Il brevetto serve si a proteggere per un certo tempo un’idea a fronte di un pagamento in denaro.
    Ma non si ferma qui, un altro elemento è la pubblicazione dell’idea, che scaduto il brevetto diventa proprietà di tutti.
    Se non esistesse il brevetto l’unica difesa dell’inventore sarebbe tenere nascosti gli elementi principali dell’invenzione (come fa la coca-cola con la famosa “formula”).
    Che c’è di male?
    Bhè nel ‘500 un ostetrico inventò il forcipe, però per poterlo sfruttare in esclusiva tenne l’invenzione segreta e si tramandò come “segreto di famiglia” per un paio di secoli. Tutto ciò impedì ad innumerevoli bambini (tra l’altro per un periodo molto più lungo di un normale brevetto) di sopravvivere al parto.

  • Michele Zucal

    Se le argomentazioni dell’articolo, ed in particolare quelle che chiariscono la differente natura delle idee e delle risorse materiali, per cui dalla loro stessa natura scatuirsce il diritto di proprietà esclusiva nel caso di una risorsa materiale, e di mancanza di proprietà esclusiva per quanto riguarda le idee, viene avvalorata l’idea che il denaro non può che essere una merce rara.

    L’oro ha una bassa riproducibilità, dovuta alla difficoltà di estrazione ed alla limitata presenza sulla Terra. La valuta di carta è riproducibile quasi in maniera indefinita, in quanto deriva da meterie vegetali che hanno una alta riproducibilità.

    E’ un diritto naturale stamparsi in proprio l’euro, e difendere e promuovere l’oro come vero denaro ?

  • Fabrizio Dalla Villa

    Scusate, ma già una trentina di anni or sono, qualcuno fece un esempio: se due persone hanno un panino a testa, l’uno col prosciutto e l’altro col salame, volendo fare “metà per uno” di entrambi i panini, e scambiarseli, ognuno dei due, tornerà a casa con due mezzi panini. Se, viceversa, due persone scambiano delle idee, ognuna di essa tornerà a casa con le sue e le altrui idee. Io credo che i brevetti servano per ciò che può essere tradotto in materia, ma per le idee… in genere chi ha idee si “accontenta” che esse circolino e non si preoccupa nemmeno di rivendicarne la paternità. Quanti di voi hanno mai sentito il neologismo (ormai non è più tale) che, attorno alla metà degli anni ’90 ha iniziato a circolare, provocando dibattiti tra chi era pro e contro: diversamente abile? Chi pensate l’abbia usato per la prima volta? Io credo di essere un “vulcano” di idee e non mi curo affatto che alcune possano essere utilizzate ed altre no. Per i libri, la musica, il teatro, ecc… ci sono comunque i diritti d’autore, invece del brevetto. Io scrivo una canzone che contemporaneamente è eseguita da 100 cantanti? Mi beccherò la cifra relativa ai diritti d’autore per tutte le 100 esecuzioni, a prescindere da chi e da come sono state eseguite. Il discorso dei brevetti per le proprietà intellettuali è improponibile, altrimenti non si potrebbero manco citare le affermazioni altrui. Che mondo ne uscirebbe?

  • zenzero

    Come Domenico, che c’entra? Fidenato vuol poter seminare qualcosa – indipendentemente da di chi è quella cosa – che peraltro lui paga, anche se fosse contrario alla proprità intellettuale mi par di capire.

  • Lorenzo

    Allora siete scandalosamente incoerenti: perché sostenete Fidenato nella sua battaglia in favore degli OGM se siete contrari ai brevetti??!

    • domenico

      CHE CAZZO CENTRA? XD

  • domenico

    “la mia conclusione è che i diritti sulla proprietà intellettuale siano illegittimi, moralmente ingiustificabili ed in contrasto con la libertà degli individui” Condivido perfettamente! E vorrei aggiungere delle mie considerazioni riguardo ai brevetti sul quale argomento sono più ferrato.
    Non è affatto vero che i brevetti garantiscono un maggiore progresso scietifico, è il mercato ed i bisogni della gente che portano al progresso, e non è necessario brevettare le proprie idee aziendali per garantirsi una fetta di mercato, tutti possono avere delle idee o comprenderle quando vedono un invenzione di qualcun’altro, ma non tutti sanno come realizzarle, come organizzarne la produzione, come sponsorizzarle, come rendersi meglio competitivi. Non tutti una volta avuta un idea saprebbero metter su un impresa e produrla, e ciò è dimostrato anche dal fatto che molte aziende italiane, piccole e medie imprese, non pagano costosi brevetti per trovare mercato.
    Da qui tra l’altro si evince una cosa importante, il vantaggio offerto da un brevetto a uno che lo richiede è di riservarsi una sorta di “piccolo monopolio” (statale, europeo o mondiale, dipende che brevetto si fa, ovviamente maggiore è l’estensione del brevetto più costa) garantito dallo Stato per 20 anni in cambio di pagamento di cedola annuale.
    Ma quale è, a questo punto, il vantaggio che il brevetto da al resto della società?
    Una volta assistetti ad una conferenza/lezione di un funzionario dell’ufficio brevetti di Bruxelles, il “quartier generale” che controlla la proprietà intellettuale in Europa, dettandone le direttive principali e consentendone anche una certa flessibilità in materia ai singoli stati. Egli disse che i brevetti, per la società, hanno un unica funzione quella di garantire il libero accesso ad informazioni generalmente tenute nascoste dagli inventori. Non quella di garantire il progresso, per i motivi precedentemente esposti. Il progresso ci sarebbe comunque!
    Chi fa volgarmente “l’inventore”, o per meglio dire lavora come ricercatore industriale, sa bene che i brevetti sono pubblici, chiunque può consultarli. Esistono anche database internet con centinaia di migliaia o milioni di brevetti, come il famoso Espacenet.com (con oltre 70milioni) o quello creato da Google ovvero “Google Patents”.
    Quidi ricapitolando, il funzionario sostiene che i brevetto permetta: all’inventore di ripagarsi in 20 anni, grazie a quello che io definisco “piccolo monopolio”, delle risorse spese nella sua ricerca, come se inventare una sedia a forma di cactus o elefante (la maggior parte dei brevetti sono stronzate del genere) richieda chissà quali risorse da spendere in ricerca; mentre la società viene ripagata grazie alla diffusione pubblica dell’idea, specificata in ogni suo dettaglio, della sedia a forma di cactus, senza però poterne approfittare per 20 anni. Il funzionario a questo punto specifica che la maggior parte dei brevetti, più dell’80%, sono molto datati e quindi ormai già riutilizzabili essendo scaduti i 20 anni, per cui dobbiamo essere grati a questo sistema che ha permesso la diffusione di cotanta conoscienza.
    Ma qui entra il mio ragionamento. I brevetti il più delle volte non riguradano idee difficilmente comprensibili e copiabili dalla semplice osservazione del prodotto, spesso si tratta del semplice utilizzo di un materiale diverso, di una geometria diversa, di una molecola in un farmaco facilmente individuabile e riproducibile. Per cui tutto sto vantaggio nella “diffusione della conoscienza” non lo percepisco.
    E qui arrivano le considerazioni più pesanti. Se si presentasse qualcuno alla porta (un boss mafioso direi io) e dicesse all’inventore : “senti, ti faccio un offerta che non potrai rifiutare, io ti garantisco che per 20 anni questa cosa la vendi solo tu, a chi si azzarda di copiartela gli spezzo le gambe, tu in cambio ogni anno mi dai una certa somma di denaro. Ci stai?”. Ecco come agisce lo Stato. Addolcendo lo spezzare le ambe con una coercizione legale (se copi un brevetto il possessore dei diritti può chiamarti in causa e richiedere risarcimenti, tra i quali rientra in genere anche una multina che va allo Stato) e facendo credere che sia una cosa bella perche il brevetto dienta pubblico (anche se devi aspettare 20 anni per approfittarne). Con i brevetti si passa da un sistema dove gli attori diventano chi inventa qualcosa di nuovo ed il resto delle persone, libere loro di copiare (se ci riescono) e anche prendere ispirazione dall’idea per aggiornarla e libero lui di utilizzarla solo per se e non produrla, o vendere il suo segreto a qualcun’altro; ad un sistema dove tra questi due attori interviene lo Stato, che approfitta delle nostre idee, si allea con i migliori di noi, quelli che fanno progresso, proponendogli un patto in assenza del quale lo Stato sarebbe tagliato fuori dal nuovo business generato dall’invenzione.

    Credo, infondo, che brevetti e diritti d’autore siano solo ulteriori mezzi di finanziamento statale, quest’ultimi grazie all’auito da richiedere alla SIAE per vederseli tutelati. E che, per le ragioni esposte in questo articolo ma anche in un libro che consiglio (“Against Intellectual Monopoly” di Michele Boldrin e David K. Levine), siano un ostacolo al libero mercato delle idee.

    • Alessandro

      La SIAE è un’ente finallizzato all’estorsione legalizzata e alla truffa e ho sempre contestato i suoi presupposti e finalità, tanto che anni addietro scrissi lettere infuocate alla direzione con il motto “siete il primo nemico da combattere”. I concetti di “copyright” e di brevetto sono nati per regolare la riproduzione e la distribuzione delle opere su larga scala, a partire dal XV secolo con l’invenzione della stampa. .Per un approfondimento del tema: http://www.biblio.liuc.it/liucpap/pdf/44.pdf

  • Giuseppe D'Andrea

    Abbiamo un caso concreto nel quale il brevetto ed il copyright ha provocato seri problemi all’innovazione ed alla competizione; il settore dell’IT.

    Il settore dell’IT è straziato dalle guerre di brevetti (Microsoft vs Sun, Oracle vs Google, AMD vs Intel, Nokia vs Apple) che rendono sempre più complicato anche inventare di sana pianta nuovi programmi e nuovi prodotti, si pensi al settore dei microprocessori x86 quelli che animano praticamente il 99% dei personal computer e buona parte dei Server, in teoria una nuova azienda dotata di tecnologia, denaro e capacità di vendita oggi non può entrare nel settore microprocessori, sebbene la base tecnologica abbia più di vent’anni molte caratteristiche avanzate ampiamente utilizzate dai moderni pc sono soggetti ad ulteriori licenze che appartengono ad Intel ed AMD principalmente le quali sono de facto monopolisti totali del settore con l’80% ed 20% del mercato. Si pensi a Microsoft Windows che vieta mezzo brevetto la possiblità di “smontare” il suo codice e di reimpiegarlo in altri programmi, per non parlare delle guerre recenti nel campo degli smartphone ed i relativi produttori che si accusano sempre più di copiarsi a vicenda, ultima operazione l’acquisizione di Motorola da parte di Google per “acquisire” 17.000 brevetti più altri 3.000 che la casa di MountainView da IBM. Ancora possiamo citare il caso di Sony che impedisce qualsiasi uso difforme a quello concepito dall’azienda delle console PS3 e la diffusione di progetti che sfruttano in maniera differente le qualità della macchina. In pratica Sony ti dice che puoi comprare una PS3 ma non puoi ne comprenderne il funzionamento, ne farci esperimenti su.

    Insomma questo andazzo renderà sempre più difficile e rischioso produrre software e hardware senza il rischio di incorrere in cause legali, questo a mio giudizio qualifica il brevetto per quello che è ; “una pastoia” che blocca il libero mercato e la libera circolazione della tecnologia, proteggendo posizioni dominanti il tutto sottendendo alla formazione di oligopoli fortissimi che distorcono ancor di più la concorrenza, sono d’accordo che ogni casa abbia diritto di oscurare, nascondere e proteggere i propri segreti, ma questo non deve portare allo stallo della ricerca e della tecnologia.

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