In Anti & Politica, Economia

DI GIOVANNI BIRINDELLI

18 novembre 2011: nella sua replica al dibattito sulla fiducia alla camera dei deputati (la “c” e la “d” sono intenzionalmente minuscole, così come altre lettere in questo articolo), il professor Mario Monti afferma con sobria baldanza: «Di poteri forti in Italia non ne conosco, magari l’Italia avesse un po’ di più di poteri forti. Ci sono alcuni poteri forti nel mondo, ho avuto il privilegio di vederli quasi tutti come commissario europeo alla concorrenza e questi poteri forti se lo ricordano ancora. Il giorno in cui proibii una fusione fra due grandissime società americane, benché fosse intervenuto il presidente degli Stati Uniti su di me. L’Economist disse che il mondo Usa considerava Mario Monti il Saddam Hussein del business».

22 dicembre 2011: la misura “salva italia” del governo Monti viene approvata dal parlamento ma quelle pochissime micro-limature all’interventismo statale che il governo definiva “liberalizzazioni” e che avrebbero dovuto favorire la concorrenza nei pochi settori arbitrariamente selezionati sono sostanzialmente sparite: è bastato per esempio che i tassinari alzassero un sopracciglio che il nostro primo ministro si mettesse a pancia all’aria in segno di sottomissione come un elegante setter irlandese di fronte a un rottweiler ringhiante e mollasse subito l’osso (o meglio la scheggia di osso) che aveva in bocca.

Cosa è successo fra il 18 novembre e il 22 dicembre? Possibile che nel giro di un mese la forza del coraggioso cavaliere che in groppa al suo bianco destriero è riuscito a sconfiggere il grandissimo drago cattivo che voleva aggredire la principessa Concorrenza si sia trasformata nella debolezza di un pavido disertore che scappa con la coda fra le gambe lasciando la stessa principessa indifesa di fronte a niente di meno che un tassinaro?

Sbaglia, a mio avviso, chi pensa che la manovra del governo di Mario Monti approvata ieri sia in contraddizione con le azioni di cui egli si vanta il 18 di novembre: in entrambi i casi egli ha usato la violenza statale per abbattere la concorrenza. Per capirlo occorre soffermarsi un poco sul concetto di concorrenza.

L’idea di “concorrenza” che Monti ha difeso quando era commissario europeo era una particolare idea di concorrenza. In base a questa particolare idea, la “concorrenza” è una situazione avente (o comunque che si avvicina ad avere) determinate caratteristiche, quelle della cosiddetta “concorrenza perfetta”: a) perfetta omogeneità dei prodotti/servizi scambiati da compratori e venditori, nessuno dei quali è in grado, con la sua azione di acquisto o vendita, di avere un effetto percepibile sui prezzi; b) assenza totale di barriere all’entrata e perfetta apertura dei mercati; c) completa conoscenza dei fattori rilevanti da parte di tutti i venditori e compratori.

Questa particolare idea di “concorrenza” è alternativa al monopolio, nel senso che dove c’è “concorrenza”, così intesa (ammesso per assurdo che possa esserci), per definizione non c’è monopolio e viceversa. In altri termini, le tre condizioni di cui sopra garantirebbero che il prezzo sia pari al costo marginale, cioè che sia raggiunto il cosiddetto “punto di ottimo”, l’incrocio delle curve: se il prezzo fosse superiore al costo marginale un altro produttore del servizio troverebbe conveniente entrare e offrire lo stesso prodotto a un prezzo minore ma superiore al costo marginale, e così si tornerebbe verso l’equilibrio.

Se una situazione si allontana dalla “concorrenza” così intesa, allora lo stato (in questo caso la commissione europea) interviene con la coercizione per riportarcela: per esempio proibendo una fusione come ha fatto il commissario Monti.

Lo strumento attraverso il quale viene esercitato questo intervento coercitivo è una particolare idea di legge in base alla quale la “legge” è quel provvedimento burocratico approvato secondo le procedure previste dall’autorità legalmente costituita (che questa autorità sia o meno rappresentativa della maggioranza è del tutto irrilevante ai fini della definizione dell’idea di legge). In quanto provvedimento arbitrario deciso dall’autorità che ha il potere di imporlo, la “legge” così intesa può avere uno scopo particolare, quello che corrisponde alla volontà dell’autorità. Nel caso del provvedimento adottato da Monti questo scopo era quello di evitare che i prezzi di un particolare prodotto o servizio si discostassero (o si discostassero troppo) dal costo marginale.

Questa idea di concorrenza (quella in base alla quale concorrenza e monopolio sono due concetti per definizione alternativi l’uno all’altro) oggi è acriticamente data per scontata da quasi tutti allo stesso modo in cui lo è l’idea di “legge” su cui si basa.

Esiste tuttavia un’altra idea di concorrenza, la quale corrisponde a un’altra idea di legge.

In base a questa seconda idea la concorrenza non è affatto incompatibile col monopolio. Anzi, molto spesso il monopolio è un risultato della concorrenza.

In base a questa seconda idea, la concorrenza non è una situazione avente determinate caratteristiche ma un processo legittimo. Ciò che conta perché una situazione sia compatibile con la concorrenza non è che in quel particolare mercato non ci siano barriere all’entrata, per esempio, ma che quelle barriere non siano state erette in modo illegittimo, cioè in violazione della Legge, dove per Legge non si intende la decisione burocraticamente corretta dell’autorità in base agli scopi particolari che questa vuole ottenere (la legge intesa come strumento di potere) ma il principio generale e astratto che è indipendente dalla volontà dell’autorità che lo deve difendere e custodire nei diversi casi particolari che si possono presentare e che, in quanto tale, non ha nessuno scopo particolare (la legge intesa come limite al potere).

Se per esempio in un paese c’è un unico albergo che ha la possibilità di affacciarsi sul mare, questa sarà evidentemente una situazione di monopolio (naturale) nel mercato di riferimento. Questa situazione è concorrenziale? In base alla prima idea di “concorrenza” no: essendoci monopolio (essendo violata almeno la prima della tre condizioni della concorrenza perfetta) per definizione non può esserci concorrenza. Per la seconda, dipende dalla legittimità del processo che ha portato il proprietario ad acquisire quell’albergo: se questo processo è stato legittimo (per esempio consiste in un libero accordo fra privati) allora quella situazione è concorrenziale; se invece questo processo è stato illegittimo (per esempio perché, consistendo in una confisca da parte dello stato o in un’estorsione da parte della mafia locale, viola i legittimi diritti di proprietà dei precedenti titolari) allora quella situazione non è concorrenziale.

Il processo legittimo della concorrenza porta alla scoperta di informazioni (per esempio i prezzi, i costi, l’effettiva presenza di competitors, le loro effettive capacità in quel contesto particolare, eccetera) le quali sono date per note dalla prima idea di concorrenza ma che in realtà non possono essere note a priori a nessuno. Come dice Hayek, «La competizione è […], come la sperimentazione nella scienza, prima di tutto un processo di scoperta. Nessuna teoria che parte dall’assunzione che i fatti che devono essere scoperti sono già noti può rendergli giustizia. […] La vera questione è come possiamo creare le migliori condizioni perché la conoscenza, le capacità e le opportunità di acquisire conoscenza, le quali sono disperse fra centinaia di migliaia di persone, ma non sono date a nessuno nella loro interezza, siano utilizzate nel modo più ampio. La competizione deve essere vista come un processo in cui le persone acquisiscono e comunicano conoscenza; trattarla come se tutta questa conoscenza fosse già disponibile all’inizio a una qualunque persona è una cosa senza alcun senso. E parimenti non ha alcun senso giudicare i risultati concreti della competizione in base a qualche preconcetto sui risultati che essa ‘dovrebbe’ produrre».

Il commissario alla (prima idea di) concorrenza Monti è ricorso alla coercizione sovrastatale per impedire un libero accordo fra le parti sulla base della “grandezza” e della “forza” del soggetto che sarebbe nato da quella fusione, cioè in base ai risultati particolari che secondo i suoi preconcetti la concorrenza dovrebbe produrre, non sulla base della Legge intesa come principio astratto (come limite al potere arbitrario). Per questo, giustamente a mio parare, «il mondo Usa considerava Mario Monti il Saddam Hussein del business»: la sua decisione esprimeva un potere politico non limitato da quello legislativo e quindi illimitato, cioè totalitario. Così facendo, Monti ha abbattuto la concorrenza intesa come processo di scoperta. Altro che difendere la principessa dal grandissimo drago!

Quando si è trattato di ricorrere alla forza (sovra)statale, la quale in ultima istanza si basa sulle armi, per applicare coercizione a dei soggetti che non avevano violato nessuna Legge intesa come principio e che essendo non violenti erano indifesi di fronte all’arbitrio dello stato, il nostro eroe è stato prontissimo. Quando invece si è trattato di difendere la Legge intesa come principio, e quindi la concorrenza, da quelle categorie che usano lo stato cosiddetto “democratico” come mezzo per imporre i propri interessi e difendere i propri privilegi, il nostro si è dato a gambe alla velocità del fulmine.

Altro che cavaliere coraggioso che si batte contro i forti, altro che contraddizione: a me sembra che entrambi i comportamenti siano coerenti nell’essere forte con i deboli e debole con i forti, cioè nella vigliaccheria e nel disonore.

 

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Showing 17 comments
  • Pedante

    @ alberto:
    Credo che siamo sostanzialmente d’accordo. Se tutti ci mettessimo a produrre pere, certo il prezzo crollerebbe, Ma sapendo questo, ci sarebbe una rivolta contro il prodotto generico verso la diversificazione. Le mie pere sono bio-organiche, lue tue si conservano meglio, ecc. I prezzi rifletterebbero queste particolari qualità.

    Io sono un libertario un po’ blut und boden, perciò non credo che il modello anglosassone sia trasferibile nei paesi latini. I popoli sono troppo diversi.

  • alberto

    mi fa piacere aver sollevato un dibattito..
    ebbene, sono pienamente d’accordo, con Antonino Trunfio che gli ordini professionali, così come sono strutturati, “ingrassano” solamente i membri dei vari consigli e i dipendenti della struttura burocratica..anch’io, iscritto ad un ordine degli architetti, pago ogni anno la tassa provinciale, ma poi non ho nessun servizio in cambio…e per prevenire eventuali critiche a ciò, non certo provenienti da questa platea, anche la sola funzione di difendere gli interessi della professione in campo sociale, politico, economico, legislativo, è stata TOTALMENTE disattesa in questi ultimi 60 anni..basta vedere con quale altra considerazione professionale venivano visti gli architetti in tutto il periodo di modernizzazione infrastrutturale del paese, avvenuto prima della seconda guerra mondiale, ed anche fino al 1960…anche in questo l’università per tutti ha fatto i suoi bravi danni..e forse, siccome ci si è resi conto di ciò (l’insussistenza di utilità degli ordini), nel programma di riforma è stata anche inserita la formazione continua, utilissima a mio avviso, stante le sacche di ignoranza derivante da una insufficiente formazione universitaria, ma purtroppo probabilmente gestita in proprio dagli stessi ordini e dalle università, con chissà quali logiche.
    Per quel che riguarda le affermazioni di “Pedante”, molto differente è la gestione e il livellamento dei prezzi sulle merci, rispetto a quello delle prestazioni professionali..nel primo caso, se ipotiziamo come estremizzazione che improvvisamente tutti producano pere, e tutti i banchi al mercato vendano solo pere, crollerà il prezzo per un surplus di offerta, costringendo in breve gli agricoltori A)a nutrirsi solo di pere, che non riescono a vendere con un margine di guadagno B)a variare la produzione spostandola su altri prodotti…fermo restando che stante il detto”scarpe grosse, cervello fino” ciò difficilmente accadrà per gli agricoltori, salvo che folli politiche burocratiche comunitarie lo impongano,diverso è il caso delle professioni, dal momento che per arrivare ad offrire un prodotto prestazionalmente efficiente, ci vogliono anni di studio, pagati in parte dalla famiglia, in parte dalla società, stante i prezzi in realtà bassi della formazione italiana, rispetto, ad esempio ad un campus anglosassone….già questo dovrebbe portare a una modifica sostanziale dell’accesso all’università, e su questo gli anglosassoni sono molto bravi..
    per altro, io con i dati statistici intendevo solo dire che il mercato, così come oggi strutturato, non può assorbire la forza lavoro generata dall’università, e ciò ha creato un precariato che, qui si sente molto di più che in altri paesi..
    per la categoria di cui faccio parte, abbiamo un architetto ogni 400 abitanti, ma se mettiamo assieme, architetti, ingegneri civili/edili e geometri, che in maniera diversa operano in campi affini, avremo un tecnico a famiglia allargata…quindi ben venga l’aumento delle tasse universitarie, ma unito a tutte quelle tutele anglosassoni nei confronti dei più meritevoli, presenti a partire già dalla prima elementare..
    infine, e qui getto un altro sasso, mi sono sempre chiesto se poi sia possibile armonizzare certe dinamiche (come quelle sommariamente descritte sulla formazione meritocratica anglosassone) proprie di paesi protestanti e calvinisti, rispetto alle società latine e cattoliche, come la nostra..

  • Pedante

    E un’altra osservazione sulle professioni – se si pagasse il prezzo di mercato per i corsi universitari, i numeri dei laureati non sarebbero un problema!

  • Pedante

    Andrea:
    “principi macro economici elementari dicono al contrario che l’eccesso di offerta, rispetto alla domanda, non crea ricchezza, bensì abbassamento indiscriminato di qualità e prezzi…”

    Con la liberalizzazione, spetterà al consumatore giudicare la qualità e il prezzo di una prestazione, quindi non è possibile prevedere se la dinamica dei singoli prezzi. Alcuni parcelle aumenteranno, altre no. La spesa medica è uguale a tutte le altre, nel senso ch’è soggetto al libero arbitrio. La tua ipotesi vuole che tutti i professionisti sono omogenei, idem per i servizi forniti.

  • alberto

    Molto interessante l’articolo sulle liberalizzazioni, anche se, secondo me, tra teorie e pratica, ce ne corre..tra l’altro in un paese come il nostro, ove il controllo della macchina burocratica ha dettato regole rigide per anni, pensare ad una liberalizzazione immediata di settori tra loro anche molto diversi rischia di fare più danni che altro.
    C’è poi da dire che ognuno di noi, nel momento in cui ha conquistato, con le regole esistenti, una sua nicchia di mercato, pagando cara ad esempio la sua licenza (vedi i tassisti), o spendendo soldi e fatica per la formazione (vedi i professionisti delle così dette professioni intellettuali), è poco propenso ad una improvvisa eliminazione di tutte quelle barriere poste fino ad ora dal mercato.
    Posta questa generica premessa, io vorrei soffermarmi più che altro sulle libere professioni.
    Ebbene, sono anni che, in tema di liberalizzazioni, si rincorrono voci relative all’eliminazione degli ordini professionali o ad una loro sostanziale riforma, dal momento che rappresenterebbero una delle tante “caste di privilegiati”che blocca la sviluppo economico. Ma ad onor del vero, le così dette professioni intellettuali sono un variegato mondo ove convivono, oltre ai Notai (questa si unica vera professione a numero chiuso), gli Avvocati, gli Ingegneri, i Commercialisti, gli Architetti, i Medici, i veterinari, le Ostetriche, gli Infermieri Professionali, le Assistenti Sanitarie, ecc..
    E l’idea che siano i liberi professionisti, riuniti in ordini o collegi, un ostacolo alla crescita del PIL è secondo me poco condivisibile; principi macro economici elementari dicono al contrario che l’eccesso di offerta, rispetto alla domanda, non crea ricchezza, bensì abbassamento indiscriminato di qualità e prezzi..
    E’ quindi veramente auspicabile tutto ciò per certe professioni che incidono fattivamente sulla qualità della vita delle persone, come medici e infermieri per la salute, ingegneri e architetti per la qualità ambientale e avvocati per gli aspetti legali?
    Per altro, dopo oltre 40 anni di folle politica liberalizzante sulla formazione, con università moltiplicate nelle sedi e nell’offerta formativa, aperte a tutti, senza nessun principio meritocratico, i “professionisti”di buona parte dei settori sopra menzionati, in raffronto agli altri paesi europei, sono diventati in Italia una moltitudine.
    Io infatti, nel mio piccolo, ho fatto un po’ di ricerca in rete e, analizzati una serie di dati di raffronto con gli altri paesi (che riporto succintamente ) sono arrivato alla conclusione che non sia certo la liberalizzazione delle professioni (che poi mi piacerebbe capire cosa significhi), il vero problema italiano
    Infatti il risultato dell’università per tutti ha portato l’Italia al triste primato rispetto ai paesi occidentali, del più alto numero di Medici, Avvocati, Architetti, Veterinari, ecc..
    A titolo esemplificativo:
    • gli architetti italiani, fonte CNAPPC e INARCASSA, erano nel 2008 il 40,4% degli architetti europei ;
    • gli avvocati italiani, secondo alcune statistiche pubblicate dal Consiglio degli Ordini forensi europei (CCBE) risalenti sempre al 2008, erano 213.000 ; contemporaneamente la Francia ne contava 47.765, la Germania 146.910, la Spagna 154.953, il Regno Unito 155.323;
    • per i medici, secondo un articolo reperito in rete sulla professione medica in Europa, si parla di 6 medici ogni 1000 abitanti in Italia , rispetto ai 2-4 medici ogni 1000 abitanti in tutte le altre nazioni europee, riferito all’anno 2000;
    • per i veterinari, su Wikipedia si può leggere che in Italia ci sono 14 facoltà di medicina veterinaria, contro le 4 facoltà in Francia, 5 in Germania e 6 nel Regno Unito..la conseguenza di ciò è che un sesto dei veterinari europei è Italiano. A ulteriore titolo esemplificativo, negli USA vi è un’unica facoltà di veterinaria…ed è una delle più difficili in cui entrare… perché? Forse che quello sia un vero sistema meritocratico?
    Mi fermo qui con le statistiche, ma qualsiasi professione avrebbe, penso le stesse risultanze, salvo alcuni specifici settori di ingegneria..
    Tutto ciò malgrado il numero chiuso, introdotto su imput della comunità europea, che però, gestito all’Italiana, con la moltiplicazione degli istituti universitari e la relativa offerta formativa, che razza di numero chiuso è?
    Ed infatti la liberalizzazione e l’innalzamento della qualità nelle professioni la si può attuare solo dopo aver frenato l’accesso all’università in maniera incisiva e meritocratica, così come avviene negli altri paesi…non comprendo infatti il perché di tanto scollamento nei numeri tra laureati e professionisti..saremo noi tutti geni e all’estero tutte braccia votate all’agricoltura, o il sistema, per ingrassare un certo settore economico, cioè tutto quello che gira intorno alla formazione, ha creato un mostro?
    Ma perché si è arrivati a ciò?
    Il sistema italiano negli ultimi 40 anni ha dimenticando che il lavoro nei settori professionali non si moltiplica come “i pani e i pesci”, (salvo che non si aumenti a dismisura la burocrazia, o ci si inventi il motto”lavorare poco – lavorare tutti”, ecc.) ma dovrebbe essere conseguenza del mercato e, secondo me comunque, di un corretto e controllato rapporto tra domanda e offerta, specie poi per le cosi dette professioni intellettuali. Questo basilare principio è invece stato disatteso in nome del politicamente corretto “democratica, ed egualitarismo per tutti a prescindere da intelligenza, capacità, volontà, ecc.”, conseguenza anche di una istanza culturale post bellica, il cui portato in sintesi auspicava la laurea per tutti come garanzia certa di scatto socio economico non indifferente…ma tutto ciò ha fatto solo danni nel sistema formativo, oltre che nell’umus della società italiana…
    Infatti, se ci troviamo di fronte alla emergenza precari, nello specifico relativa ad alcune (o tutte?) le professioni intellettuali, questo scatto per tutti sembra non essere avvenuto..anzi ha solo creato precariato, insoddisfazione, ma anche pretese di diritti, derivanti da pezzi di carta spesso senza alcun valore..
    E allora, mi si può spiegare cosa si intende per liberalizzazione delle professioni????
    Buon Natale

    • Antonino Trunfio

      Io sono ingegnere, pago un ordine professionale senza riceverne nulla in cambio se non un bollettino annuale, e pago Inarcassa come unica cassa previdenza e pensioni per ingg e architetti. Le professioni sono libere. Il mercato le giudica da sole come fa con me da decenni. Poi altro conto che è che uno vuole progettare il ponte dello stretto con la laurea in agraria, o con l’attestato di addetto anticendio.
      Sentir parlare di liberalizzazioni lo stato, i suoi apparati e i suoi sacerdoti è come chiedere a Toto Riina di liberare la sicilia dal pizzo !!!
      Un importante giornale americano ebbe a dire di Monti allora ingaggiato all’autority della concorrenza !!!
      Mr. Monti is regarded as the corporate equivalent of Saddam Hussein.
      Non si sbagliavano affatto.
      AMEN

  • claudio

    Monti ha fatto marcia indietro sulle liberalizzazioni dei taxi , perche’ e’ un settore gia’ liberalizzato.
    Mi stupisco del fatto che non si parli di liberalizzazioni dei Notai,Avvocati,giornalisti etc. categorie che fanno girare molti capitali. Come fa ad esserci concorrenza tra i taxi se le tariffe sono bloccate e imposte dal comune ?
    buon natale

  • Antonino Trunfio

    Per cortesia, chiedo a tutti voi, di andare sul sito di quel piacione di Pierferdi Caltagirone, pardon Casini
    che sul suo blog, anche oggi giorno di natale di nostro signore, le spare ad alzo zero, stavolta sulla spread che non scende !!! leggete cosa scrive alle masse che aspettano di essere rassicurate dal verbo del profeta :
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    Perché lo spread non scende?

    In tanti mi chiedono: “perché lo spread non scende rispetto ai livelli del Governo Berlusconi?”. La risposta è semplice: ieri la BCE comprava miliardi di titoli di Stato per sostenere l’offerta, oggi non più. Procediamo con le nostre gambe!

    Pier Ferdinando
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    Io ho già commentato. Fatelo pure voi. Smascheriamo i falsai, i bancarottieri e i loro stallieri.

  • Fidenato Giorgio

    Tu che hai una gamba non puoi pretendere che all’altro venga tagliata uno per partire dalla tua stessa posizione. Ad un certo punto i dati di fatto devono essere accettati come tali, come dei dati di fatto e niente più!!!!!

  • Alessandro Colombo

    Bello e pieno di ottime enunciazioni quasi d’accordo. Ci si dimentica sempr delle pari opportunità. Es. se concorriamo sui 100 metri, io con una gamba e tu con due, io ci metto 1 minuto e tu 10 secondi, ma chi è il migliore, chi dei due merita dipiù.
    La forza non fa diritto (J.J.Rousseau) ne quella materiale e nemmeno quella intellettuale. Un saluto Alessandro

    • Giovanni Birindelli

      Il concetto di “pari opportunità” è incompatibile con la Legge intesa come principio (cioè come limite al potere arbitrario) e con l’uguaglianza davanti alla Legge: puoi avere o “uguaglianza di opportunità” o la rule of law (lo stato di diritto) e l’uguaglianza davanti alla Legge, non tutte e due insieme (cioè sia la prima che le seconde).

      L’“uguaglianza di opportunità” infatti non è altro che un’uguaglianza di possibilità (nel tuo esempio, di vincere i cento metri) e quindi non è altro che una delle infinite forme di uguaglianza di situazione materiale che arbitrariamente qualcuno può volere. Poiché gli individui sono necessariamente diversi fra loro rispetto a infiniti fattori (le loro capacità, le loro circostanze di tempo e di luogo, le loro situazioni, eccetera) l’unico modo per garantire loro le stesse possibilità sarebbe quello di trattarli in modo diverso, cioè di violare il principio dell’uguaglianza davanti alla Legge.

      Questo trattamento diverso spesso comporterebbe anche la violazione di diritti di proprietà e quindi della Legge: se a una persona mancassero entrambi i reni chiaramente essa non avrebbe le stesse possibilità o opportunità di una persona che li avesse entrambi ben funzionanti; se lo stato sequestrasse la persona con i reni sani e con la forza la operasse per asportarle un rene così da trapiantarlo nell’altra, starebbe violando il diritto di proprietà che quella persona ha sul suo rene, cioè la Legge intesa come principio.

      Viceversa, il rispetto della Legge e dell’uguaglianza davanti alla Legge necessariamente porta a una totale disuguaglianza di possibilità o di “opportunità” che dir si voglia. Quindi la disuguaglianza di opportunità o di possibilità, nei limiti in cui è espressione del rispetto della Legge e dell’uguaglianza davanti alla Legge, è un bene: più ce ne è e meglio è.

      Se fosse realizzabile, quindi, l’uguaglianza di opportunità violerebbe necessariamente la Legge e l’uguaglianza davanti alla Legge.

      Incidentalmente, l’uguaglianza di opportunità non è nemmeno lontanamente realizzabile: i fattori rispetto ai quali le persone sono diverse e quindi hanno diverse possibilità sono infiniti (non contano solo i soldi) e nella maggior parte inconoscibili e comunque mai a priori ma solo, eventualmente, a posteriori (l’importanza dei fattori che hanno portato Steve Jobs a ottenere i suoi risultati si poteva intuire, eventualmente, solo dopo, non prima che li ottenesse, come lui stesso tra l’altro ha riconosciuto nel suo bel discorso a Stanford).

      Anche se per assurdo questi fattori rispetto ai quali le persone sono diverse fossero pochi e conoscibili a priori, lo stato dovrebbe controllare così tanto le persone, i loro corpi e le loro vite da poter alterare tutti questi fattori su tutti gli individui e contemporaneamente: se infatti alterasse solo alcuni fattori ma non altri contribuirebbe ad aumentare la disuguaglianza di possibilità, non a ridurla.

      Su quest’ultimo punto ti faccio un esempio: supponiamo che Steve non possa permettersi gli studi universitari ma abbia una famiglia presente e attenta, mentre John possa permettersi gli studi universitari ma non abbia una famiglia presente e attenta; e supponiamo anche, per semplicità, che i fattori che concorrono a definire le possibilità di avere successo nella loro vita siano, invece che infiniti, solo questi due: capitale finanziario e capitale familiare. Ora, è chiaro che se lo stato sottraesse con la forza capitale finanziario dalla famiglia di John alla famiglia di Steve senza però trasferire capitale familiare dalla famiglia Steve alla famiglia di John, per esempio senza obbligare i genitori di Steve a spendere tot ore al giorno con John (il che violerebbe i diritti di proprietà che la famiglia di Steve ha sul suo tempo allo stesso modo in cui trasferire capitale finanziario dalla famiglia di John a quella di Steve violerebbe i diritti di proprietà della prima) non starebbe affatto uguagliando le possibilità di Steve e di John: starebbe semplicemente modificandole arbitrariamente in violazione della Legge e dell’uguaglianza davanti alla Legge per soddisfare le personali idee o passioni di chi ha la forza di trasferire la proprietà da chi ne è legittimo proprietario a che non lo è (oggi lo stato).

      E’ proprio perché la forza non fa diritto, come dici tu, che lo stato non deve perseguire l’uguaglianza di opportunità o di possibilità. Nel momento in cui lo stato persegue l’uguaglianza di opportunità o di possibilità si ha la “legge” del più forte, cioè la negazione della Legge. Nel suo Contratto Sociale Rousseau, uno dei capostipiti del totalitarismo moderno, sostiene un’idea di “legge” in base alla quale se il più forte decide che è conveniente per lo stato che una persona muoia, ebbene quella persona deve morire (Libro 2, cap. 5): Rousseau è il più strenuo difensore della “legge” del più forte, del fatto che la forza fa diritto come dici tu.

      Sul merito sarò breve: una redistribuzione delle risorse basata sul merito non ha nulla a che vedere con una basata su un desiderio di uguagliare le “opportunità”, tranne che su una cosa: entrambe presuppongono la “legge” del più forte. Chi decide cosa merita cosa? In base a quali parametri? La Legge intesa come principio e l’uguaglianza davanti alla Legge richiedono l’assenza di qualunque pattern distributivo (cioè di qualunque criterio arbitrario sul quale basare una distribuzione delle risorse), sia esso il merito, il bisogno, l’uguaglianza di situazione materiale o altri (tranne il valore, purché questo sia inteso in senso soggettivo, ma questa è una questione che aprirebbe un altro capitolo).

      Buon Natale!

  • Pedante

    C’è da notare, tuttavia, che gran parte della capitalizzazione della Microsoft è grazie al monopolio concesso dallo Stato, la cosidetta “proprietà intellettuale”.

  • Antonino Trunfio

    Eccellente esposizione della concorrenza. E inoppugnabile smascheramento di Monti il finto garante della concorrenza, burattino dell’impero dei falsari e dei bancarottieri.
    Grande Giovanni !!! Mica che ti invitano a Matrix, o da Santoro !! Li c’è sempre e solo rappresentata la società civile. La concorrenza è tutta li.Quella della chiacchiera monocorde, mascherata da pluralismo.
    Antonino

    • Lorenzo

      Concordo pienamente: eccellente esposizione!!

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