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DI REDAZIONE

Quante volte avete sentito la gente esclamare con piacere: “ho ottenuto un rimborso fiscale, quest’anno!”? Gli americani sono ormai così assuefatti al meccanismo della ritenuta alla fonte del reddito, che molte persone considerano i rimborsi dell’IRS (l’amministrazione fiscale e tributaria statunitense, ndt) come dei veri e propri regali. I fraintendimenti  e le errate interpretazioni circa quell’istituto sono alquanto diffusi. In realtà, la ritenuta alla fonte è semplicemente un sistema regressivo, costoso, e furtivo per raccogliere le tasse.

Cinquantacinque anni fa (si tenga conto che il contribuito qui tradotto risale all’aprile del 1999, ndt) il Congresso approvò l’attuale sistema, in base al quale viene trattenuta una somma da ogni busta paga, che viene poi  collettata presso il governo;  con i contribuenti e lo stesso governo che provvedono poi a saldare i propri conti una volta l’anno, nel momento in cui vengono compilate le dichiarazioni dei redditi.

Secondo Milton Friedman, che contribuì in maniera sostanziale, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, ad istituire il sostituto d’imposta, in qualità di giovane economista operante presso la Tax Research Division, la ritenuta alla fonte era giustificabile durante quel periodo contingente, perché permetteva di incrementare le risorse necessarie a finanziare lo sforzo bellico: obiettivo che non si sarebbe potuto ottenere in altro modo.
Le ritenute alla fonte sono giustificabili?

Ma cosa  giustifica le ritenute alla fonte in tempo di pace? Si dice che il meccanismo in parola abbia tre vantaggi, rispetto ad un sistema in cui i contribuenti saldino i corrispettivi conti con l’erario, ogni anno e in un’unica soluzione. In primo luogo, le trattenute alla fonte costituiscono un baluardo contro il rischio che la gente si ritrovi con risorse insufficienti per pagare le tasse. Alcuni membri del Congresso ebbero persino a dire,  nel 1942, che il meccanismo del sostituto d’imposta doveva ritenersi indispensabile per proteggere i contribuenti dagli strozzini, nel momento in cui andavano a versare le imposte! In secondo luogo, contraendo il reddito disponibile corrente, si dice che le ritenute alla fonte assolvano ad una funzione anti-inflazionistica. In terzo luogo, agevolando il flusso delle entrate statali, le ritenute rendono più semplice e lineare il processo di gestione della spesa pubblica.

Nessuno di questi obiettivi impone però che i dipendenti che sono stati soggetti a sostituto d’imposta non debbano, in qualche modo, essere compensati per la perdita di interessi, per la remunerazione di soldi anticipatamente versati. Il governo potrebbe ovviare a questo problema, semplicemente pagando gli interessi sul denaro trattenuto. Questa non è un’idea nuova. Nel 1912, il governo federale sperimentò una sorta di vaglia cambiario fruttifero sulle anticipazioni fiscali; il segretario del Tesoro emise la prima nota al presidente Teddy Roosevelt. Dei difetti nella progettazione di queste note le condannarono al fallimento, ma il principio rimane senza tema di smentite corretto: il pagamento anticipato delle imposte dovrebbe essere ristorato dal pagamento degli interessi.

Un sistema costoso e regressivo

Il meccanismo delle ritenute alla fonte costa ai contribuenti una gran messe di denaro. Ricorrendo ai calcoli sugli arretrati, basati sui dati dell’ IRS, si stima che fin dalla sua nascita, nel 1943, l’erario, per mezzo del sostituto d’imposta, si è appropriato di più di 400 miliardi di dollari (calcolato in dollari del 1995) in soli interessi defraudati ai contribuenti. Ogni anno, il lavoratore medio paga lo scotto di circa 100 dollari in interessi mancati.

Non ci si deve affatto sorprendere allora che le ritenute alla fonte penalizzino ingiustamente i redditi da lavoro, rispetto ad altre fonti di reddito, non rivenienti dal lavoro. Consideriamo due coppie, Ted e Tammy (lavoratori) e Pierre e Priscilla (redditieri). Entrambe le coppie sono gravate da imposte federali per circa 10.000 dollari, ed entrambe le coppie strutturano chi la propria ritenuta, chi il versamento delle imposte stimate, in maniera tale da ridurre al minimo, nel rispetto della legge, la somma da corrispondere al fisco entro il 15 aprile. L’unica differenza tra queste coppie consiste nel fatto che la prima percepisce reddito da lavoro dipendente, la seconda vive esclusivamente in virtù dei suoi redditi da capitale. Così la prima coppia è soggetta a sostituto d’imposta e le imposte vengono prelevate dalle loro busta paga ogni due settimane, mentre la seconda può effettuare quattro pagamenti di imposte stimate l’anno. Supponendo un tasso di interesse pari al 4 per cento, alla fine dell’anno la coppia di lavoratori, in forza delle ritenute alla fonte, subirà una perdita, sotto forma di interessi non percepiti  (circa  273 dollari), superiore del 17 per cento alla perdita subita dalla coppia dei redditieri (circa  234 dollari). Questa disparità di trattamento fiscale è causata dal comportamento del governo, che preleva forzosamente una maggior quantità di risorse, anticipando oltremodo il prelievo nel tempo, alla prima coppia di lavoratori, rispetto a quanto faccia nei confronti della seconda coppia.

Tali disparità sono dilaganti nel nostro sistema fiscale. Scappatoie procedurali e conseguenze inintenzionali si sostanziano in aliquote fiscali radicalmente divergenti per importi similiari di reddito imponibile: e ciò in funzione della fonte da cui tale reddito promana, del contribuente, e, per quanto ne sappiamo, delle fasi lunari. Non vi è alcuna base razionale per l’applicazione di una tassa implicita, più alta, che incide i redditi da lavoro, rispetto ad altre tipologie di reddito.
Un business che si comportasse in tal modo, imponendo a casaccio, ad esempio, dei prezzi più elevati ad alcuni clienti, rispetto ad altri, chiuderebbe ben presto bottega. Il grande “vantaggio” dello Stato per le sue politiche di “tassa e spendi”, naturalmente, è da rinvenirsi nel fatto che esso cortocircuita le forze di mercato, le quali tendono a sanzionare il comportamento irrazionale da parte delle imprese private.

Ingannare i contribuenti

La ritenuta alla fonte si costituisce altresì come una potente causa di illusione fiscale tra i contribuenti. Piuttosto che richiedere una verifica annuale, al governo federale, sull’intero ammontare delle imposte da corrispondere, la maggior parte dei contribuenti, il 15 aprile, o presenta una richiesta di rimborso, o deve pagare solo una piccola frazione di imposte, a titolo di conguaglio. Nel suo libro del 1989,  “A Law Unto Itself: Power, Politics and the IRS”, David Burnham narra la confessione di un membro della facoltà della Harvard Medical School, che a malapena si accorge delle trattenute sullo stipendio. Burnham riporta che commercialisti e fiscalisti ora ravvisano che un gran numero di contribuenti non identifica più l’amministrazione fiscale “come gabelliere dalla faccia feroce”, ma piuttosto come “una burocrazia benevola, che distribuisce soldi alla classe media che ne ha bisogno”. Così, poiché  i contribuenti sono diventati del tutto immuni alla effettiva portata della stretta fiscale, la crescita dello Stato è maggiore di quella che si registrerebbe se non vi fossero le ritenute alla fonte, o se queste fossero meno torbide.

Una proposta di riforma

La cosa migliore da fare sarebbe quella di abolire, in toto, l’imposta sul reddito. Fino a quel momento, tuttavia, il governo dovrebbe pagare gli interessi sul denaro trattenuto, nonché sui pagamenti delle imposte stimate, a decorrere dalla data di deposito di tali somme presso il Tesoro. Le dichiarazioni fiscali a breve termine forniscono un tasso di interesse di mercato, che può essere facilmente utilizzato; poche righe di codice informatico sono suscettibili di eseguire i calcoli necessari sul rendiconto fiscale che i dipendenti ricevono a fine anno.

Così come, sarebbe persino facile fare un ulteriore passo avanti per porre fine alla problematica del costo mascherato dello Stato. I datori di lavoro potrebbero depositare le somme trattenute, alla fonte, dalle paghe dei dipendenti (imposte sul reddito e contributi previdenziali) in conti fiscali fruttiferi e condizionati,  da cui il governo può attingere, prendendo le somme a prestito, corrispondendo un tasso di interesse fissato per le dichiarazioni fiscali. Questi conti potrebbero essere quindi ceduti ai dipendenti, al lordo delle imposte dovute. Il governo sarebbe così assicurato che i contribuenti  individuali dispongano delle risorse necessarie al pagamento delle imposte, e contestualmente i contribuenti acquisirebbero finalmente contezza di quanto, in realtà, costi loro la macchina statale. L’adozione di una siffatta proposta potrebbe significativamente ridurre la crescita della spesa pubblica, cancellando l’illusione fiscale ingenerata dal corrente regime di riscossione alla fonte.

Equità e correttezza impongono di riformare il sistema regressivo e truffaldino della ritenuta alla fonte. Sostenere una simile proposta di riforma sarebbe senz’altro un primo passo, di sicuro importante, per quei politici che considerano la giustizia come qualcosa di diverso da un semplice slogan da spendere demagogicamente per denunciare i conflitti di classe.

Articolo di Donald J. Boudreaux and Andrew P. Morriss su The Freeman Online

Traduzione di Cristian Merlo – Tratto da vonmises.it

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