In Anti & Politica, Economia

DI ANDREA BENETTON*

Perché gli imperi crollano? Perché alcuni paesi sono diventati ricchi e prosperi, mentre per altri sembra che non vi sia alcuna speranza ? “Why nations fail. The origin of power, prosperity and poverty” – pubblicato a marzo di quest’anno – cerca, in circa 500 pagine, di rispondere a queste domande con un’ampia raccolta di esempi storici e contemporanei.

La tesi che i due coautori – Daron Acemoglu, economista al MIT e James Robinson, scienziato politico ad Harvard – ci propongono è che prosperità o povertà siano determinate dagli incentivi creati dalle istituzioni, e da come la politica abbia costruito, nel corso del tempo, le istituzioni del paese e non invece, come ritenuto dalle precedenti teorie, dalla geografia o dalla cultura o dalla conoscenza – o meno – da parte delle leadership del paese delle “giuste ricette”.

Per dimostrare la tesi, le istituzioni politiche ed economiche vengono analizzate lungo uno spettro nel quale da una parte troviamo le istituzioni “estrattive”, cioè quelle in cui gruppi ristretti di persone controllano il potere politico e tramite questo prelevano il frutto del lavoro dei suoi cittadini. Come emerge in molti esempi riportati nel libro, questo tipo di istituzioni disincentivano la creazione di ricchezza e l’innovazione tecnologica. Paesi con istituzioni estrattive sono destinati al declino o a rimanere indietro rispetto ai quelli che hanno sistemi politici ed economici definiti “inclusivi”. Al contrario, istituzioni economiche inclusive danno alle persone la possibilità di investire in un clima di sicurezza grazie alla garanzia dei diritti di proprietà. Danno la possibilità a ciascuno di crescere professionalmente, secondo la propria indole, di lavorare duro per inseguire i propri obiettivi personali. di arricchirsi senza timore di una ipertassazione, di innovare liberamente. Il successo economico così stimolato viene mantenuto perché, con istituzioni politiche inclusive, il governo è diventato più responsabile verso i suoi cittadini.

Dall’impero romano all’Unione Sovietica, dalla Repubblica di Venezia al Botswana di oggi, il libro snocciola un’incredibile sequenza di esempi storici, alcuni dei quali comparati come l’evoluzione delle due Coree dal 1945 ad oggi. Inoltre, viene spiegato come le istituzioni cambino attraverso il conflitto politico e come il passato abbia dato forma al presente. Le istituzioni, infatti, sono molto lente nella loro evoluzione e possiamo immaginarle come in una lenta deriva.

Viene affrontata e spiegata la Glorious Revolution inglese del 1688, analizzando come l’emergere di interessi diffusi della borghesia sia coinciso con la debolezza del sovrano incapace, come in altri stati, di imporre la propria visione assolutistica del potere. Le istituzioni inclusive che ne derivarono, la nascita della Rule of Law che pose i cittadini e i funzionari dello stato uguali di fronte alla legge e tutti al sicuro dall’arbitrarietà del potere politico, furono le precondizioni dell’industrializzazione dell’Inghilterra e dello sviluppo economico, che la pose per 3 secoli come prima potenza del pianeta. E di come, poi, gli Stati Uniti, nel definire le proprie istituzioni, si spinsero ancora in maniera più decisa nella direzione di creare istituzioni inclusive.

Il libro presenta poi due capitoli, uno dedicato al “circolo virtuoso” e cioè di come le istituzioni che incoraggiano la prosperità creano un feedback positivo che impedisce alle élite di distruggerle. E uno al “circolo vizioso” nel quale istituzioni che creano povertà generano feedback negativi, e per questa ragione si mantengono nel tempo. Ma spiega anche come alcuni paesi siano riusciti a cambiare la loro traiettoria economica cambiando le loro istituzioni. Gli autori si arrischiano, poi, nella previsione che il miracolo cinese degli ultimi due decenni non sia destinato a continuare per via delle istituzioni politiche poco inclusive.

E’ un testo che merita di essere letto anche senza essere interni al dibattito accademico sull’argomento. In primo luogo perché scritto in un linguaggio accessibile a tutti. In secondo luogo, perché evidenzia con chiarezza la centralità del fattore “istituzioni” nello sviluppo. Che non è, a mio modo di vedere, l’unico fattore come forse gli autori vorrebbero dimostrare, ma indubbiamente il libro colma una grossa lacuna.

Con i suoi esempi e i suoi confronti, fornisce molti elementi di riflessione sulla storia e sulle vicende storiche che stiamo vivendo. E’ un caso se, in Italia, il declino del paese coincide con un sistema politico bloccato ed autoreferenziale, con istituzioni economiche asfittiche costruite sulla necessità delle élite ad esso connesse? A mio modo di vedere non lo è, ed è quindi illusorio pensare di uscire dalla crisi con una ricetta di sola politica economica. Oggi abbiamo un’opportunità, e cioè che lo stato di crisi, come emerge dal libro, sia solo metà delle precondizioni per uscire dal circolo vizioso. Serve. in aggiunta. la volontà e la capacità dei soggetti esclusi da questo sistema estrattivo di coalizzarsi per renderlo inclusivo. E questa è la parte che molti analisti politici in attesa millenaristica ignorano.

Dopodiché, si potrà ragionare su come modificare le istituzioni. Ad esempio, attraverso liberalizzazioni per smontare il potere dei gruppi organizzati che soffocano i singoli; con una nuova legge elettorale che garantisca l’emergere di una offerta politica e non la conservazione di quella vecchia; mediante una riforma della giustizia che garantisca la Rule of Law, che è anche una funzione dei tempi entro cui la magistratura dà risposte ai casi che le vengono sottoposti. Per fermare il declino dell’Italia non si può pensare che le elite lavorino per rendere il paese più inclusivo. Così non è mai stato e così non sarà neanche in questa occasione.

Per chi non conosce l’Inglese rimane solo l’augurio che questo libro fondamentale venga tradotto in Italiano il prima possibile.

*Tratto da http://thefielder.net

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