In Economia, Esteri

DI MATTEO CORSINI*

Ben Bernanke, gran capo della Federal Reserve (la banca centrale americana) ha affermato: “Stiamo cercando di creare più occupazione. Stiamo cercando di conseguire l’obiettivo di massimizzare l’occupazione che fa parte del nostro mandato, questo è l’obiettivo”. Lo scorso 13 settembre la Fed ha dichiarato quanto sopra, per bocca del suo presidente, che prevede di mantenere i tassi a zero fino alla metà del 2015 e che inizierà a comprare obbligazioni legate a mutui al ritmo di 40 miliardi di dollari al mese, continuando fino a quando riterrà necessario farlo. Durante la conferenza stampa Bernanke ha poi aggiunto che l’obiettivo è creare occupazione, in linea con il mandato della banca centrale. La nuova mossa espansiva della Fed ha subito raccolto il plauso degli economisti che lavorano nel settore bancario (soprattutto nelle banche di investimento) e, a ruota, dei principali mezzi di informazione, che le spacciano come analisi obiettive. La cosa non stupisce: le politiche inflazioniste hanno sempre riscosso il plauso di chi ne trae benefici.

Il fatto è che cercare di creare occupazione mediante inflazione monetaria significa cercare di abbassare il costo reale del lavoro. La cosa dovrebbe avvenire mediante un mix di effetto ricchezza dovuto a un apprezzamento delle attività finanziarie (ricchezza effimera, in quanto dovuta al mero aumento della quantità di base monetaria) e un sostegno al settore immobiliare (ecco perché la Fed comprerà 40 miliardi al mese di titoli legati a mutui) che, nelle intenzioni di Bernanke e colleghi, dovrebbe generare ottimismo, stimolare la domanda e, di conseguenza, favorire un aumento dell’occupazione. Di fatto la pressione al rialzo sui prezzi, anche se non si vedranno (quanto meno nel breve) aumenti a due cifre dei prezzi al consumo, dovrebbero poi abbassare il costo reale del lavoro.

Funzionerà? Credo che l’effetto sarà illusorio, come sempre accade quando si cerca di sostituire risparmio reale (l’unica base sostenibile per l’aumento di investimenti e crescita dell’economia), con denaro creato dal nulla. D’altra parte, finora l’espansione monetaria quantitativa ha rimandato la soluzione all’eccesso di debito, ingigantendo il problema, senza peraltro aver favorito occupazione e crescita economica. Ma, invece di interrompere queste politiche fallimentari e dannose, la Fed ha deciso di rincarare la dose, ed è intenzionata a farlo fino a quando non avrà raggiunto l’obiettivo di creare occupazione.

Per me la cosa è preoccupante, perché le conseguenze di lungo periodo di queste misure non sono state minimamente prese in considerazione. Al contrario, i sostenitori delle politiche inflazionistiche ribattono che senza l’intervento della Fed la situazione già oggi sarebbe peggiore. Guardano solo al breve periodo, e non si curano di altro. Ma la soluzione dei problemi non può essere rinviata all’infinito, così come non vi è nulla di razionale nell’escludere, come fanno implicitamente o esplicitamente gli inflazionisti, la possibilità che continuare con queste politiche possa portare all’implosione del sistema monetario.

Forse un giorno quelli che oggi lodano Bernanke rivedranno il loro giudizio, come hanno fatto con l’ex “maestro” Greenspan. Ma nulla li induce a supporre che coloro che mettevano in guardia dalle conseguenze dannose delle politiche monetarie di Greenspan – gli stessi che oggi avvertono sui rischi connessi alle mosse di Bernanke – potrebbero avere ancora una volta ragione. Ex ante, non col senno di poi.

 

*Link all’originale: http://www.lindipendenza.com/bernanke-stampante-cordini/

 

 

 

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