In Libertarismo, Saggi

DI GIUSEPPE SANDRO MELA*

Ogni epoca si connota per l’uso ed il misuso di alcuni termini, che assumono inoltre significati differenti a seconda degli autori che li usano e dei contesti nei quali sono inseriti.

Ai nostri giorni vanno di moda “democrazia” e “libertà”: é un vezzo tollerabile fino a tanto che resta relegato nei salotti civettuoli, ma diventa fatto rilevante quando pervade le menti ed impronta pensieri ed azioni.

Ogni Collettività che si forma é un’unione di persone umane che da questa unione si aspettano un tutela maggiore della propria persona mentale e fisica, una migliore garanzia e tutela della propria libertà, anche di quella economica, al fine di realizzare al meglio lo scopo della loro vita. In ultima analisi, per essere sia rispettati, sia tutelati, sia felici.

La Collettività si dota di un corpo di regole sulle quali potersi reggere.

In primis, di canoni metagiuridici di ordine quanto mai generale, riassumibili nel non uccidere, non rubare, non mentire, non fare adulterio. Questo è campo dell’etica, ed è sostanzialmente asservito al principio di giustizia, secondo il quale a ciascuno dovrebbe essere corrisposto il suo. Persone quindi eguali per dignità, ma differenti per ruoli, mansioni e posizione economica. Adempiere i canoni di giustizia implica necessariamente il rispetto della propria e dell’altrui libertà. Libertà che, se travalica l’alveo etico, si tramuta in licenza, in mera possibilità di fare qualcosa senza rispetto alcuno dei canoni fondamentali.

In secundis, di una sua caratteristica legislazione, che codifica le norme comportamentali in relazione alle situazioni contingenti. É intuitivo che tale legislazione, diritto positivo, non dovrebbe e non potrebbe contrastare i canoni etici, altrimenti sarebbe ingiusta, contraddittoria.

Il corpo legislativo stabilisce anche le modalità di governo della Collettività. Essendo stabilite per legge, queste né possono né debbono essere considerate valide in ogni tempo, luogo e circostanza. Sarebbe un severo errore assolutizzare una concezione di governo, quasi astraendola dal dominio del tempo. Non esiste una forma di governo valida in assoluto. I Romani, gente pratica, avevano concepito la Res Publica gestita da senato e potere consolare, prevedendo però anche un dittatura pro tempore, per superare i momenti di crisi senza istituzionalizzare il governo forte.

Se guardiamo la storia nel suo lungo itinere, constatiamo come la modalità di governo sia sostanzialmente indifferente nel perseguire il bene comune della Collettività, che trova ben più possenti baluardi nella difesa della giustizia e nella tutela della libertà. É la soddisfazione di codesti requisiti che conferisce valore al termine democrazia. Ogni epoca ed ogni Collettività si è data l’ordinamento che meglio consentiva di superare le difficoltà che l’evolvere del tempo poneva via via.

Sempre guardando la storia, constatiamo anche che le mutate condizioni interne od esterne la Collettività mandano in crisi il loro modo di reggersi. Ciò che era giusto e proprio inizia a non soddisfare più a lungo la realtà emergente.

Questo è l’aspetto benefico delle crisi: spazzar via la vecchia classe dirigente e la vecchia Weltanschauung rimpiazzandole con delle nuove, più idonee a reggere l’urto del tempo e della realtà in divenire. Dolorose, dolorosissime per i perdenti, trionfo delle forze emergenti. Rinnovamento culturale e di costume.

Tipicamente, questo tipo di crisi si attua in modo conflittuale. Da una parte vi è l’inerzia del sistema, dall’altra le nuove esigenze che si confrontano. Se il sistema é ragionevole, si adatta: in caso contrario si assiste ad un sommovimento da cui trae origine un nuovo sistema più o meno ragionevolmente equilibrato.

Anche se in un discorso astratto non dovrebbe trovar luogo, un esempio potrebbe meglio chiarire il concetto. A partire dal ’600 in Europa iniziò a svilupparsi un ceto medio, borghesia, che sviluppò nel tempo una dimensione economica che non avrebbe potuto essere trascurata più a lungo: era destinata a condividere se non a reggere totalmente la cosa pubblica.

In Inghilterra la Corona e la Nobiltà, forse anche ammaestrate dall’esperienza di Cromwell, procedettero a cooptare la borghesia lasciandole uno spazio sempre maggiore. E la Corona e la Nobiltà sono realtà tuttora esistenti.

In Francia la Corona e la Nobiltà si contrapposero all’emergente borghesia e ne vennero travolte. Dapprima dalla rivoluzione ed infine dall’instaurazione della Repubblica.

La lezione della storia é semplice: chi fa resistenza ad oltranza non ottiene altro che una pace senza condizione alcuna. Semplicemente scompare dall’agone della storia. Distrutto e rimpiazzato quasi invariabilmente dall’opposto.

Nell’attuale contingenza il termine “democrazia” é assunto a sinonimo dell’elezionepro tempore dei governanti tramite  suffragio universale. É una confusione dei fini con i mezzi, che porta a severi conseguenze.

Sul proscenio storico questo concetto di “democrazia” é giovanissimo: nemmeno un secolo. La Svizzera fu l’ultimo stato occidentale a proclamarlo nel 1974: nemmeno quaranta anni or sono. E tuttavia sta fallendo clamorosamente. Hitler andò al potere con il suffragio universale, tanto per dirne una. Adesso, la Commissione europea che gestisce il potere politico continentale non é elettiva, ed in Italia il Primo Ministro é di nomina non eletto. Svolge azione più condizionante il Governatore della banca Centrale che non un Parlamento eletto. Gli stati hanno rinunciato a fette sempre più vaste della loro sovranità per conferirla al corpo del burocrati e dei funzionari dell’Unione europea. Lo hanno fatto perché incapaci di gestirsi e sull’orlo di un immane disastro economico.

In poche parole: i risultati di una elezione a suffragio universale anche a livello nazionale sono del tutto ininfluenti. Non essendosi adattato alle realtà emergenti, il sistema elettivo é stato esautorato dalla storia.

Così la “democrazia” è come la mummia del Cid: tutti sapevano che era morto, ma tutti la inneggiavano come se fosse stata viva. Diventa quindi lecito domandarsi il perché di una simile débâcle, di cui molti non se ne rendono ancora conto.

  La democrazia, quella vera, é uno strumento molto delicato e fragile. Basta un nonnulla per degenerarla e corromperla. Ciò avviene immancabilmente quando le persone che formano la Collettività abbandonano, rifuggono quasi, la libertà per abbracciare la licenza, un comportamento arbitrario in cui optano per beni immediati, spesso illeciti, a discapito di quelli maggiori ma futuri.

Immediatamente il loro comportamento elettorale muta. Privilegiano quanti promettano loro prebende, benefici, provvidenze e rendite di posizione, quando non aggiungono la richiesta di raccomandazioni e preferenze che sovvertano la ragionevole meritocrazia selettiva. Chiedendo cose ingiuste quanto indebite, nominano quanti le soddisfino irrispettosi di ogni canone, ivi compreso quello della retta gestione della cosa pubblica, generando così i presupposti della propria rovina, anche perché non solo li vivono in prima persona, ma anche li esaltano pubblicamente, sottominando la tensione etica del sistema.

Due gli effetti immediati.

Avendo eletto corrotti corruttori, il governo sarà gestito in accordo a quanto promesso. Ma, come già detto, senza giustizia e coartando la libertà dei più, il sistema implode. Nel caso specifico, la realtà fa giustizia di miti e mitizzazioni, l’economia schiaccia la finanza ed ambedue annientano la politica. Primum vivere, deinde philosophari.

Il decadimento qualitativo della classe politica lascia immediatamente la stura al corpo dei burocrati e dei funzionari, che imitano ed assecondano i politici che dovrebbero dirigerli ma, non essendo elettivi, acquisiscono poteri loro non spettanti e, tragicamente, li esercitano.

Tale sistema decade sia moralmente sia economicamente fino ad arrivare al melting point. Questo vuoto gestionale ed operazionale lascia immediatamente spazio al power that be, e con il suo avvento la democrazia é morta, ma la Collettività resta preservata. Semplicemente, quel modo di rinnovare la classe dirigente si è risolto in un fallimento, un tracollo incontrovertibile che è sotto gli occhi di tutti. Un tentativo durato meno di cento anni, che in breve tempo non troverà nemmeno più albergo nella memoria della storia.

In conclusione, pensiamo sopra con grande attenzione. Al di là del vociare chiassoso e petulante, nessuno ha usurpato potere alcuno: sono i cittadini elettori che hanno abiurato alla loro libertà. La responsabilità di ciò che hanno fatto è solo ed esclusivamente la loro. Da molti punti di vista, chi è subentrato si é accollato il ben pesante fardello di rimettere un poco di ordine nelle cose, di non lasciar disgregare il sistema. Oggi osteggiato e vilipeso dai perdenti, domani osannato dagli storici. Anche Bonaparte fu obbligato ad un colpo di stato pur di salvare la Francia, così come la storia darà a Petain il merito di averla fatta sopravvivere in un momento buio.

 

Nota importante.

Sintetizzare in una pagina una serie di concetti che tipicamente richiederebbero un intero trattato obbliga a non menzionare eventi e concetti che avrebbero concorso a meglio approfondire e comprendere il fenomeno.

Ci si affida quindi alla cultura, all’intelligenza ed alla sensibilità del Lettore per dedurre ciò che non é espressamente riportato.

 

*Link all’originale: http://www.rischiocalcolato.it/2012/10/riflessione-su-democrazia-liberta-ed-il-nostro-futuro.html

 

 

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