In Anti & Politica, Economia

AFFONDA_ITALIAdi E. COLOMBATTO – G. EUSEPI

Caro Direttore, 

ancora grazie per aver dato ampio spazio alla nostra iniziativa, e di nuovo grazie per averla sostenuta. In questi giorni abbiamo letto i commenti dei sostenitori dell’Indipendenza, i quali ci inducono a sottolineare tre punti che certamente non erano molto chiari nel testo del Manifesto. Ce ne scusiamo e approfittiamo di questa opportunità per formulare tre precisazioni:

(1) –  Per quanto siamo a favore dei microstati e del decentramento – e quindi assolutamente favorevoli alla cosiddetta “secessione” – non crediamo che questa sia la soluzione al debito insostenibile che oggi ci troviamo sulle spalle. In sostanza, oggi alla famiglia di Enrico Colombatto “spetta” una quota di debito pubblico di oltre 170.000 euro. A Colombatto non fa nessuna differenza sapere se questo debito è un’eredità del “vecchio” stato o di quello “nuovo” (che a sua volta l’ha ereditato dal vecchio). Noi vogliamo poter ripartire da zero e l’essere torchiati dal nuovo stato per debiti che non abbiamo mai accettato di contrarre non ci fa stare meglio. Insomma, secessione e insostenibilità del debito pubblico sono due capitoli diversi. La prima, che riguarda il futuro, non risolve il problema del secondo, che ci giunge dal passato.

(2) –  Non diamo all’euro colpe che l’euro non ha. Il problema del debito pubblico può essere stato favorito dall’euro, che ha persuaso il popolo dei BOT che la Banca Centrale Europea avrebbe garantito per tutti. Tuttavia, noi ci ritroviamo con un debito pubblico di 35.000 euro a cranio perché abbiamo speso (e sprecato) più di quanto potessimo permetterci. Se ho un reddito di 3000 euro/mese e ne spendo 4000/mese, la colpa non è dell’unità monetaria (e neppure dei Tedeschi).

(3) –  Non c’è dubbio che il fallimento (e quindi l’azzeramento del debito) avrebbe delle conseguenze gravi per tutti. Pensiamo non solo a chi detiene titoli del debito pubblico, ma anche a chi ha denari – o lavora – nelle banche che in questi anni, anziché finanziare le imprese, hanno alimentato cattiva politica e spesa irresponsabile, caricandosi a loro volta di titoli del debito pubblico. Tuttavia, attualmente non si tratta di decidere se si vuole soffrire o no. Si tratta di decidere se si vuole soffrire molto oggi, o moltissimo domani – e se si è disposti a farci spremere ulteriormente per dare a qualcuno il piacere di guadagnare tempo e fregiarsi della medaglia di salvatore della patria.

Esistono alternative? Certamente sì – e si chiamano riforme strutturali (liberalizzazioni e privatizzazioni). Noi però non crediamo che senza un forte scossone queste riforme vedranno la luce. Alla nostra classe dirigente non sono bastati cinque anni di sberle, né la minaccia grillina. Pensate davvero che Maroni o Renzi o Berlusconi siano il nuovo che avanza?

Cordialmente.

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