In Economia

jkjdi TITO TETTAMANTI*

Dalle fonti del potere come la Banca centrale europea o il Fondo monetario internazionale veniamo ripetutamente allarmati con lo spauracchio della deflazione che sarebbe il primo passo per una possibile depressione economica gravida di conseguenze negative. Dinanzi ad un simile ripetuto martellante avvertimento, legittimo è qualche sospetto.

Ad esempio che l’inflazione, vale a dire il contrario della deflazione, cioè il costante e talvolta impetuoso aumento dei prezzi, sia uno dei mezzi con i quali i debiti pubblici (non) vengono pagati: vengono infatti rimborsati con moneta che ha perso di valore.

Parimenti non mi sembra che la stabilità dei prezzi debba necessariamente costituire una iattura. Uno sviluppo negativo di qualche decimale dopo lo 0% non credo permetta di parlare di deflazione e non vedo neppure il consumatore (il cui potere d’acquisto è aumentato) rinviare la compera di un paio di scarpe, di capi d’abbigliamento, di elettrodomestici, di un iPad, perché con sottile calcolo aspetta la caduta dei prezzi quale conseguenza della deflazione.

Oltretutto, episodi di pesanti diminuzioni dei prezzi sia nell’Ottocento sia nel Novecento non hanno impedito all’economia di svilupparsi in modo importante. Ma queste osservazioni di buon senso dimenticano un’importante ragione dell’attuale andamento dei prezzi. L’attenzione dovrebbe concentrarsi più che sulla domanda sull’offerta che presenta prezzi (in genere) che sono considerevolmente diminuiti.

Dal 2014 più che i volumi sono i valori dell’esportazione mondiale che si riducono. Siamo in una fase di transizione delicata nell’ambito dell’economia postindustriale, i cui effetti cominciano a manifestarsi ma non ne possiamo ancora valutare l’ampiezza. Un colosso come la General Electric ha venduto la propria attività finanziaria più quella nelle assicurazioni che contribuivano a circa il 50% dell’utile annuale per focalizzarsi meglio e diventare un’industria digitalizzata, che grazie all’utilizzo intelligente di milioni di dati raccolti aumenta produttività, conosce intenzioni e profili dei clienti e risparmia costi.

Nuove forme di concorrenza entrano sul mercato e calmierano i prezzi. Ad esempio Airbnb che ha raggiunto fatturati annuali nell’ordine di miliardi via internet offre camere ed appartamenti in 34.000 città di 190 Paesi in concorrenza con l’offerta degli alberghi. È oggi più grande delle maggiori catene alberghiere mondiali pur essendo stata fondata nel 2008.

Oltre ai possibili minori costi di intermediazione per le prenotazioni, la competitività deriva anche dal fatto che si mobilita il capitale immobilizzato in un appartamento non utilizzato per un determinato periodo o si riesce ad affittare una camera non occupata. D’altro canto l’offerta con prezzi più accessibili raggiunge una cerchia di possibili viaggiatori dalle minori disponibilità.

Internet in moltissimi campi riduce sensibilmente i costi di transazione annullando le figure classiche dell’intermediazione ormai non più indispensabili. Attività come quelle di Amazon hanno sconvolto parte della distribuzione. Nuove tecniche per l’ottenimento di dati geologici, per sondaggi e perforazioni, hanno permesso di inondarci di petrolio, quel petrolio che secondo il Club di Roma (The Limits of Growth, Meadows, 1972) venerato da tutti i catastrofisti e i dubbiosi delle capacità dell’uomo nell’ambito del progresso tecnologico, doveva già essere esaurito all’inizio del 2000.

Molti dei prodotti nuovi, specie nella società dell’informazione, esigono investimenti di capitale molto modesti rispetto al passato, offrono anche minori posti di lavoro che richiedono attitudini diverse (il colosso Google ha solo 60.000 collaboratori). Il che comporterà contrasti sociali e l’impegno a individuare nuove forme di occupazione.

Le banche centrali si illudono di creare inflazione inondando i mercati di liquidità e contribuiscono invece a diminuire i costi di finanziamento e quindi i costi di produzione, permettendo la realizzazione di investimenti azzardati come capitato nel settore del trasporto marittimo. Conseguenza: sovrapproduzione di navi da trasporto e relativo crollo dei noli.

I costi per i trasporti sono pure influenzati da nuove possibilità di utilizzo delle informazioni e di massimizzazione dell’efficienza grazie alla digitalizzazione. Concludendo, gridando «al lupo al lupo» contro la paventata deflazione le banche centrali non solo dimostrano di non stare al passo con il drammatico mutamento delle forme dell’offerta, ma inondando di liquidità (dal 2008 i loro bilanci sono aumentati di 9.200 miliardi di dollari) peggiorano la situazione.

Forse, se si lasciasse tornare il mercato dei capitali alla sua funzione, senza inquinamenti dirigistici, con qualche scossa inevitabilmente dura e pericolosa, particolarmente per imprese decotte, si raggiungerebbe più celermente il riequilibrio e il rilancio economico.

Non deve preoccupare la deflazione: deve preoccupare lo scoppio della bolla che la politica attuale sta creando.

* Articolo tratto dal Corriere del Ticino

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