In Anti & Politica, Economia

lavoroDI GIUSEPPE SANDRO MELA

«Nel 2014, l’economia non osservata (sommersa e derivante da attività illegali) vale 211 miliardi di euro, pari al 13,0% del Pil»

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«Il valore aggiunto generato dalla sola economia sommersa ammonta a 194,4 miliardi di euro (12,0% del Pil), quello connesso alle attività illegali (incluso l’indotto) a circa 17 miliardi di euro (1% del Pil).»

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Anticipando le conclusioni, il sommerso, ivi compreso quello illegale, è parte integrante del sistema economico italiano. Senza di esso l’intero sistema crollerebbe.

Le persone giuridiche e fisiche non riescono più a sopportare il peso impositivo.

Si benedica quindi il lavoro sommerso:

«Nel 2014 le unità di lavoro irregolari sono 3 milioni 667 mila, in prevalenza dipendenti (2 milioni 595 mila), in significativo aumento sull’anno precedente (rispettivamente +180 mila e +157 mila). Il tasso di irregolarità, calcolato come incidenza delle unità di lavoro (ULA) non regolari sul totale, è pari al 15,7% (+ 0,7 punti percentuali rispetto al 2013).»

Senza di esso più di tre milioni e mezzo di italiani sarebbe alla fame.

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Questo stato è il vero concreto nemico del popolo: nemico mortale perché ne minaccia alla radice la possibilità di esistenza.

Ai 3,667,000 lavoratori in nero fanno riscontro quasi altrettanti dipendenti delle pubbliche amministrazioni inamovibili, superpagati per quello che fanno, casta non dissimile da quella dei gerarchi fascisti, oppressori del popolo. Ma a questi fanno riscontro quasi tre milioni e mezzo di disoccupati: tutti provenienti dal settore produttivo, l’unico settore a dover sopportare il peso della crisi economica.

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L’Istat ha rilasciato il Report «Economia non osservata nei conti nazionali» [Sommario,Testo, Tabelle]

«Nel 2014, l’economia non osservata (sommersa e derivante da attività illegali) vale 211 miliardi di euro, pari al 13,0% del Pil. Il valore aggiunto generato dalla sola economia sommersa ammonta a 194,4 miliardi di euro (12,0% del Pil), quello connesso alle attività illegali (incluso l’indotto) a circa 17 miliardi di euro (1% del Pil).

Fra il 2011 e il 2014 il peso sul Pil dell’economia non osservata è passato dal 12,4% al 13,0%.

Il valore aggiunto generato dall’economia non osservata nel 2014 deriva per il 46,9% (47,9% nel 2013) dalla componente relativa alla sotto-dichiarazione da parte degli operatori economici. La restante parte è attribuibile per il 36,5% all’impiego di lavoro irregolare (34,7% nel 2013), per l’8,6% alle altre componenti (fitti in nero, mance e integrazione domanda-offerta) e per l’8% alle attività illegali.

L’incidenza sul valore aggiunto dei flussi generati dall’economia sommersa è particolarmente elevata nei settori delle Altre attività dei servizi (33,6% nel 2014), del Commercio, trasporti, attività di alloggio e ristorazione (25,9%) e delle Costruzioni (23,5%).

Il peso della sotto-dichiarazione sul complesso del valore aggiunto prodotto in ciascun settore assume dimensioni importanti nei Servizi professionali (17,5% nel 2014), nel Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (13,8%) e nelle Costruzioni (13,2%). All’interno dell’industria, l’incidenza risulta marcata nelle attività economiche connesse alla Produzione di beni alimentari e di consumo (8,3%) e contenuta in quelle di Produzione di beni di investimento (2,7%).

La componente di valore aggiunto generata dall’impiego di lavoro irregolare è particolarmente rilevante nel settore degli Altri servizi alle persone (23,3% nel 2014), dove è principalmente connessa al lavoro domestico, e nell’Agricoltura, silvicoltura e pesca (16,3%).

Nel 2014 le unità di lavoro irregolari sono 3 milioni 667 mila, in prevalenza dipendenti (2 milioni 595 mila), in significativo aumento sull’anno precedente (rispettivamente +180 mila e +157 mila). Il tasso di irregolarità, calcolato come incidenza delle unità di lavoro (ULA) non regolari sul totale, è pari al 15,7% (+ 0,7 punti percentuali rispetto al 2013).

Il tasso di irregolarità dell’occupazione risulta particolarmente elevato nel settore dei Servizi alla persona (47,4% nel 2014, 2,4 punti percentuali in più del 2013), seguono a grande distanza l’agricoltura (17,5%), il Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (16,5%) e le Costruzioni (15,9%).»

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«Meno rilevante è il peso nelle Attività finanziarie e assicurative (3,6%), in cui il sommerso è generato solo dalle attività ausiliare dell’intermediazione finanziaria, e nel settore Amministrazione pubblica, difesa, istruzione, sanità e assistenza sociale (5,0%), dove l’economia sommersa è presente esclusivamente nell’attività di produzione per il mercato dei servizi di istruzione, sanità e assistenza sociale.»

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«Il ricorso al lavoro non regolare da parte di imprese e famiglie è una caratteristica strutturale del mercato del lavoro italiano. Nel 2014, sono 3 milioni e 667 mila le unità di lavoro (ULA) in condizione di non regolarità, occupate in prevalenza come dipendenti (2 milioni e 595 mila unità). Il tasso di irregolarità, utilizzato quale indicatore di diffusione del fenomeno e calcolato come incidenza delle unità di lavoro (ULA) non regolari, nel totale è salito al 15,7% (Prospetto 9).»

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«Tra il 2011 e il 2014 è cresciuto il ricorso al lavoro non regolare da parte del sistema economico (+4,4%), a fronte di una marcata caduta della componente regolare (-4,9%). L’effetto combinato delle due tendenze ha determinato un aumento del tasso di irregolarità dal 14,5% al 15,7%.»

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Comments
  • winston diaz

    Pero’, nonostante questo, la tendenza generale, fomentata dai tecnici professionisti, economici e giuridici, di ogni risma (la vera piaga del nostro tempo), e fatta propria dal popolo beota che basta qualche capretto espiatorio giornalisticamente indotto per accanagliare, e’ di spingere sempre di piu’ verso la formalizzazione ragionieristico-contabile di ogni forma di rapporto umano, da cui poter calcolare e prelevare la “giusta” gabella, con l’ovvio effetto collaterale di creare e definire l’infinita’ di obblighi, reati e infrazioni fiscali in mezzo a cui viviamo.
    Verso quest’inferno ci corriamo a velocita’ sempre maggiore, ma della quale non siamo mai abbastanza contenti. Forse, e’ da quando e’ stato messo in motoper la prima volta questo processo di formalizzazione contabile, che il percorso e l’esito finale e’ stato scritto.

    Ciliegina sulla torta, quest’anno le matricole universitarie hanno spinto di piu’ sui cancellli delle facolta’ economiche, cosi’ come 30-40 anni fa spingevano su quelli di “scienza della comunicazione”, e poi su giurisprudenza. Fra qualche anno, tutti economisti laureati. Si salvi chi puo’.

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