In Anti & Politica

DI MATTEO CORSINI

Come è noto, è in corso una discussione tra governo e autorità garante della privacy in merito alle modalità di utilizzo dell’enorme mole di dati che gli intermediari finanziari mettono da anni a disposizione del fisco. Una pluralità di database che finora (fortunatamente) l’agenzia delle Entrate ha usato poco e male, ma che, potenzialmente, potrebbe realizzare una distopia degna di 1984. Commentando la vicenda sul Sole 24 Ore, Salvatore Padula ricorre al molto (ab)usato paragone tra il fisco e le principali società che utilizzano i dati dei clienti.

“Non è un mistero che molte amministrazioni in giro per il mondo stiano provando a utilizzare i dati con un approccio simile a quello delle grandi società commerciali: intelligenza artificiale, cognitive computing, analisi avanzata dei dati, tecniche di data mining e altre diavolerie. Pensiamoci bene: sarebbe paradossale consentire a Google, Amazon e Facebook di usare i nostri dati – dagli acquisti ai viaggi, dalle letture alle amicizie – senza che noi ce ne preoccupiamo particolarmente e con modalità che al fisco, per di più per un’attività di rilevante interesse pubblico, sarebbero invece vietate. Magari nel nome della privacy.”

A costo di dover ribadire un concetto ovvio, esiste una fondamentale differenza tra un’amministrazione fiscale e le società citate da Padula: queste ultime ottengono i dati a seguito di azioni compiute volontariamente dai soggetti i cui dati sono oggetto di elaborazione, ancorché tali soggetti possano esserne non sempre pienamente consapevoli.

Viceversa, i dati ottenuti dal fisco sono inviati da intermediari finanziari sulla base di provvedimenti legislativi, anche qualora la persona dei cui dati si tratta fosse contraria a tale invio.

Le società che profilano gli individui possono al più inviare agli individui stessi messaggi volti a sollecitare acquisti di questo o quel prodotto, ma non possono obbligare nessuno a fare alcunché. Al contrario, il fisco può utilizzare quei dati per ottenere un incremento delle tasse pagate dalle persone in questione. E anche quando tali maggiori tasse non sono dovute, il contenzioso è inevitabile, con dispendio di tempo e denaro.

Direi, quindi, che paragonare il fisco a società private, per quanto si ritenga discutibile l’uso dei dati che queste società fanno, sia quanto mai fuori luogo e andrebbe evitato. Per non dover rimpiangere, in un futuro più o meno prossimo, i giorni in cui il fisco utilizzava poco e male i dati a sua disposizione, anche grazie a qualche perplessità avanzata dal garante della privacy.

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Showing 6 comments
  • Albert Nextein

    Non è da paragonare un delinquente pubblico vero e proprio con un commerciante privato per quanto aggressivo.
    Ci può esser malafede da parte di entrambi, ma il delinquente pubblico ha come obbiettivo la tua schiavitù assoluta , mentre il commerciante privato vuole tosarti senza ucciderti solo se tu decidi di fare affari con lui.

    • Fabio

      Si, anche se poi in uno scambio volontario è ovvio che ognuna delle due parti ha dei motivi che la spinge ad agire, ne è premessa.

      In effetti dire che una delle due “tosa” l’altra vuol dire che chi giudica dall’esterno attribuisce arbitrariamente più valore ad uno dei due beni scambiati rispetto all’altro, giudizio che non può evidentemente essere giusto che per una delle due parti in causa solamente.
      Sarebbe come se una persona di palermo o milano dicesse che è sbagliato che io di pescara regali un braccialetto d’oro a mia moglie. Ma che ne sanno loro di quali sono le mie preferenze e priorità? Anche se conoscessero bene la mia situazione (spese per i figli, automobile da cambiare, villeggiatura da prenotare, ecc…) ma che ne sanno di cosa mi frulla per la testa, di quali progetti debba realizzare?

      Per questo qualsiasi giudizio estraneo è sbagliato per definizione, qualsiasi intervento correttivo è fuori luogo, quansiasi ingerenza è devastante. L’univo vantaggio è per il regolatore, che avrà stipendi, premi, potere e soddisfazione d’aver modellato le vite altrui a suo gusto e piacimento.

  • Fabio

    Da una parte non hai torto ad accusarli di monopolio ma lo hanno solo grazie alle leggi statali, come quelle che vietano il revers engeenering, che li garantiscono e difendono. E gli stati concedono protezione solo perché hanno ottenuto negli anni scorsi backdoor nei sistemi operativi e l’accesso ai dati dei social per controllare tutto e tutti.

    Dall’altra sbagli perché sarebbe come accusare una bella donna d’approfittarsi degli uomini pazzi di lei: non è lei che li costringe con la violenza, sono loro che volontariamente le fanno regali magari costosi. E così coi social: non sono loro a venirti a cercare costringendoti a consegnare le tue foto, i dati, informazioni, racconti, emozioni.. nonostante la lagnosa sensazione di quegli uomini d’essere “costretti” a fare quel che fanno. E’ la differenza tra atti volontari e coercizione.
    Tanta differenza c’è tra l’atto sessuale tra amanti e uno stupro, quanta ne trovi tra i rapporti di Google coi suoi clienti e gli stati coi suoi sudditi.

  • Fabio

    Certo che può capitare una truffa o un caso di abuso nell’uso dei dati. Ma il privato lo puoi denunciare, lo Stato no: è lui che fa le leggi, sono suoi i tribunali, è sua la polizia postale.

    E’ proprio questo il senso dell’articolo quando afferma che è sbagliato ed assurdo paragonare un privato e lo Stato… a buon intenditore..

    • Gran Pollo

      Il privato lo puoi denunciare. Si, certo. Se ci fossero, diciamo, un milione di aziende come Google o Facebook (e sarebbero comunque poche), ciascuna col suo portafoglio clienti che possono sceglierla, lasciarla, tornare pentiti o restare fedeli per anni, denunciare un comportamento scorretto (ma denunciare a chi?) avrebbe un certo effetto, dal lato economico e dell’immagine, nonché un monito per tutti gli altri operatori sul mercato.
      Ma queste aziende hanno un monopolio di fatto. Le regole se le scrivono e riscrivono come vogliono, e se li lasci perdi tutti i servizi che offrono, e non sono del tutto sostituibili. Un esempio? Whatsapp. E’ di proprietà di Facebook. E’ inevitabile il travaso di dati tra le due, quindi che fai? cerchi un altro fornitore dello stesso servizio. Chi trovi? Telegram, che a quanto dicono è più rispettoso della tua privacy. Poi però quando scopri che la lista di contatti whatsapp è la fotocopia “aumentata” della lista dei tuoi conoscenti mentre su Telegram ci sono quattro gatti, capisci che non è la stessa cosa. E peggio ancora va su Signal, ancora più privacyoso, in quanti lo usano, o sanno che esiste? Lasciamo stare il confronto davvero impietoso con altre soluzioni, il pizzino è più efficace.
      Comunque, questi colossi del web hanno già una loro polizia che, anche se (ancora?) non può compiere arresti ha strumenti per punire la tua esperienza online. E’ già un passo nel trasformarsi in stati. Hanno circuiti di pagamento, e mirano a emettere moneta loro (altro passo avanti), e in parte già lo fanno. I loro regolamenti sono leggi non votate da nessuno e non abrogabili con referendum. Per ciò che non possono ancora fare fanno lobbying sugli stati nazionali e i superstati, facendo fare loro furbescamente il lavoro sporco in attesa di non averne più bisogno;
      Insomma, saranno pure privati, ma….

  • Gran Pollo

    Il paragone esposto nell’articolo va bene, ma credo sia giusto far notare che anche una società privata può fare un uso scorretto dei nostri dati, sia che li concediamo volontariamente, sia che non lo facciamo (una mail utilizzata tramite gmail da e verso un utente non gmail: i dati della terza parte sono acquisti ed utilizzati senza il consenso esplicito di questa e senza che essa possa far qualcosa per impedirlo, salvo evitare di comunicare all’utente gmail). Senza contare le innumerevoli, continue volte in cui queste società hanno cambiato i termini di servizio dopo l’acquisizione dei suddetti dati, o la presenza di clausole (non eludibili se non con la completa rinuncia all’utilizzo di quei servizi) che consentano la “disclosure” dei dati privati ANCHE a soggetti, di solito istituzionali, che possono farne usi non contemplati dal contratto di licenza, motivati da ragioni di ordine pubblico, oppure… a buon intenditore…

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