In Anti & Politica, Economia

KrugmanDI MATTEO CORSINI

“I lettori a volte si lamentano perché spesso faccio notare cose che io e i miei amici abbiamo azzeccato e altri hanno sbagliato. Ma non è ego (non solo ego, quantomeno)… E’ un dato di fatto che lo schema di riferimento che potremmo definire più o meno keynesiano – quello che dice che l’austerità in un’economia in depressione è una pessima idea – ha prodotto previsioni piuttosto valide durante tutta la crisi…”. (P. Krugman)

Ogni volta che si sente argomentare un keynesiano, ci sono due punti che emergono in tutta evidenza: il primo è l’ipotesi di superiorità (quando non di onniscienza) degli economisti che consigliano chi governa nel sapere cosa va fatto e cosa è bene per decine (o centinaia) di milioni di persone; il secondo è il pressoché totale disinteresse per tutto ciò che va oltre il breve termine, oltre che per le conseguenze inintenzionali delle politiche economiche che vengono proposte.

Questi due punti pongono il keynesiano in una posizione di vantaggio quando gli interlocutori sentono i morsi di una crisi economica e, come chi ha un forte dolore, tendono ad affidarsi a chi promette una guarigione con pochi sacrifici. Ciò per via del fatto che nel breve termine le politiche economiche che propone possono portare benefici in termini di crescita del Pil, mentre le conseguenze negative si manifestano per lo più successivamente. Qualora, poi, anche nel breve termine gli stimoli keynesiani risultino inefficaci (o scarsamente efficaci), il Paul Krugman di turno può sempre sostenere che non si è fatto abbastanza, che lo stimolo è stato insufficiente. Che è poi, grosso modo, quello che Krugman stesso va dicendo riferendosi agli Stati Uniti fin dal 2009.

In buona sostanza, il fatto che negli ultimi 5 anni il debito federale sia passato da 9.000 a oltre 16.400 miliardi di dollari e ogni anno vi si aggiunga un deficit di quasi 1.000 miliardi, generosamente finanziato (ancorché indirettamente) dalla Fed, il cui bilancio è passato da 80 a 3.000 miliardi nello stesso periodo di tempo, non preoccupa affatto Krugman. E se nel frattempo il Pil nominale è aumentato di (soli) 1.600 miliardi, significa semplicemente che gli stimoli non sono stati sufficienti.

Solitamente segue l’accusa più o meno esplicita di essere paranoici rivolta a tutti coloro i quali si permettono di segnalare la tendenziale insostenibilità del debito. Accusa basata sulla constatazione che i tassi di interesse di mercato sono bassi, mentre se vi fossero dubbi sulla solvibilità del Tesoro i tassi salirebbero velocemente.

Un ragionamento del genere pare relegare la Fed ad attore marginale nella formazione dei tassi di interesse di mercato (se mercato lo si vuole definire!), ancorché la banca centrale stia comprando 85 miliardi di dollari ogni mese tra titoli del Tesoro e MBS, a fronte di creazione di base monetaria (anche se non dello stesso importo, dato che la parte relativa ai titoli del Tesoro è rappresentata da una vendita di titoli a breve termine contro acquisto di titoli a lungo termine).

La stessa Fed che retrocede al Tesoro circa 90 miliardi di dollari all’anno di utili ottenuti in prevalenza come interessi sui titoli del Tesoro stesso che detiene in portafoglio. In pratica la banca centrale alleggerisce il costo del debito federale sia aumentando la domanda sul mercato secondario, sia retrocedendo all’emittente utili derivanti da interessi su titoli del Tesoro che detiene in portafoglio. Non mi pare si possa far finta che non abbia un ruolo determinante nel tenere schiacciato il costo del debito.

Tuttavia, una politica del genere non può essere prolungata all’infinito, perché, come ogni sostanza dopante, tende nel tempo ad avere effetti decrescenti nonostante la somministrazione di dosi crescenti. Il tutto indebolendo l’organismo.

Quando questi effetti si manifesteranno, tuttavia, i keynesiani sosterranno che si tratta di una crisi endogena del mercato, un “fallimento del mercato”, e che servono altri stimoli. Si tratta di una narrazione che incontra il favore della maggior parte della classe politica e anche dell’opinione pubblica, alla quale si continua a far credere che politiche fiscali restrittive basate su aumenti di imposte siano “austerità” (mentre lo sarebbero solo politiche basate su tagli di spesa), e che l’austerità non sia necessaria.

Ognuno può credere alle favole che preferisce, ma vivere di debito finanziato da denaro fasullo è possibile solo a tempo determinato, dopodiché i nodi vengono al pettine. Chi invoca il mantra della “crescita” per risolvere ogni problema, sostenendo che se il denominatore del rapporto tra debito e Pil aumenta più del numeratore ogni debito è sostenibile, racconta una verità matematicamente ineccepibile, ma deve fare i conti con i limiti che la crescita incontra all’aumentare del debito.

A meno che non si ritenga, anche se non esplicitamente, che la crescita nominale possa (debba) essere spinta dall’inflazione. In quel caso si sappia che la “crescita” non sarebbe un pasto gratis, ma nella migliore delle ipotesi sarebbe ottenuta a fronte di una imposta subdola e per lo più regressiva. Nella peggiore delle ipotesi comporterebbe lo sfascio del sistema monetario.

Tutte cose che non avvengono dall’oggi al domani, quindi non preoccupanti. Per i keynesiani, ovviamente.

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Showing 5 comments
  • Christian

    1)Non esiste il nobel per l’economia http://it.wikipedia.org/wiki/Premio_Nobel_per_l%27economia.

    2)anche un certo Galileo era un signor nessuno nei confronti di Tolomeo ed Aristotele di cui osava contestare il sistema geocentrico (confermato niente meno che dalla Bibbia).

    3)Quali sono le ricette di questa parte avversa? Chi sarebbero ed avversi a chi?
    (domande serie, non ironiche)

    4)Certamente ci sono politiche economiche molto più distruttive di quelle Keynesiane (es. bombardarsi da soli per poter poi ricostruire con conseguente boom economico ed una popolazione molto più esigue come nel dopoguerra).

    5)IMF (o FMI) attua politiche economiche liberali?
    (anche qui domande serie, non ironiche)

  • Francesco

    Queste accuse sono abbastanza generiche e speculative. Da una parte c’è un nobel per l’economia che sostiene una linea anti-liberal motivata dal continuo fallimento delle politiche del IMF. Dall’altra ci sono le considerazioni di questo signor nessuno. È assolutamente vero che le politiche keynesiane non sono l’eden, ma la ricetta che propone la parte avversa più che ad un farmaco assomiglia ad un veleno.

  • CARLO BUTTI

    Le politiche keynesiane hanno fondato il capitalismo? A me pare che la rivoluzione industriale, nella quale si compendia il capitalismo, inteso come meccanizzazione del processo produttivo e divisione del lavoro in regime di mercato libero, sia sbocciata qualche secolo prima della nascita di lord Keynes. Al massimo si potrà dire che hanno salvato il capitalismo dalla crisi che lo ha investito nel periodo fra le due guerrre: ma anche questo è tutto da dimostrare. Perché i libertari non amano Keynes? “Per la contradizion che nol consente”, direbbe il padre Dante. Keynes è la quintessenza del dirigismo, dell’intervento pubblico, della moneta governata dalle banche centrali. Irrise Marx per aver preferito il rozzo proletariato al borghese e all’intellettuale, ma ebbe parole di apprezzamento per la politica economica pianificata dell’Unione Sovietica. Anche Nazismo e Fascismo adottarono, ne fossero o no consapevoli, politiche keynesiane. ma questo fu ben presto dimenticato, visto che anche l’America democratica di Roosvelt aveva imboccato la stessa strada. L’Italia del dopoguerra uscì da una secolare povertà, diventando un grande Paese industriale, grazie alle ricette di liberali classici come Einaudi; morto lui, come disse argutamente Ennio Flaiano, cominciò la “politica delle pere indivise”. Sulle pagine del più prestigioso quotidiano nazionale agli aricoli degli Einaudi, dei Corbino e dei Lenti subentrarono quelli degli Andreatta e compagnia cantante keynesiana. Gente degna del massimo rispetto, sia ben chiaro, ma che può far causa comune coi libertari come il diavolo con l’acqua santa…

  • Ruggero

    2 semplici considerazioni

    1) I keynesiani sostenevano il rigore e l’austerità ( cioè drastico contenimento / risanamento dei Conti pubblici) , quando la domanda aggregata tirava , per farla breve quando l’economia andava bene , Pil e compagnia bella erano col segno +.
    E’ stato fatto? no. Oggi i Keynesiani sostengono l’esatto opposto dell’Austerity

    2) I dati ecomici sono lì che parlano + di 1000 parole Gli Usa che hanno adottato politiche Keynesiane stanno oggettivamente meglio che in Europa , ridotta oramai a Paese terzomondista nella Sua periferia.

    Ultima nota. Le politiche keynesiane servono a mitigare gli effetti negativi di un ciclo economco avverso non a risolvere problemi strutturali . In altre parole se la Storia vede la Cina come potenza economica mondiale egemone, nulla si può fare. Le politiche economiche Keynesiane , a cui i Libertari dovrebbero riconoscere almeno il merito di aver fondato il Capitalismo , possono agire per alleviare i disagi economici ma non possono risolvere conflitti geopolitici o spostamento di assi di potere mondiali .

    Inoltre aggiungo che Cina e India sono stati sostenuti nel loro impetuoso processo di arricchimento da politiche Keynesiane molto + accorte di quelle europee, le operazioni di dumping cinese sono state sostenute da espansioni monetarie che hanno reso lo Yuan una moneta fortemente competitiva x l’export cinese.
    Proprio non capisco questa avversione per Keynes da parte dei Libertari

    • Massimo74

      Gli USA crescono più dell’europa semplicemente perchè la loro economia è infinitamente più libera della nostra(spesa pubblica al 35%,PF al 28%,mercato del lavoro molto più libero con possibilità di licenziare facilmente chi non è produttivo),nulla c’entrano le politiche Keynesiane che hanno solo contribuito a gonfiare enormemente il debito.E comunque,anche in USA Obama è stato costretto alla fine a tagliare la spesa pubblica(per lo meno in percentuale al PIL).

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