In Economia, Esteri

DI MATTEO CORSINI

“Nemmeno il declassamento del debito sovrano degli Stati Uniti da parte dell’agenzia di rating Standard & Poor’s ha provocato una fuga di capitali. Il mercato finanziario mondiale ha risposto in modo categorico a quanti sostengono che il deplorevole dibattito a Washington sul tetto del debito ha danneggiato irreversibilmente il debito statunitense. Questa teoria può andare bene per gli editoriali o nei dibattiti radiofonici. Tuttavia, coloro che di soldi se ne intendono, non ne hanno tenuto conto e sono rimasti imperturbabili. Gli investitori si esprimono con decisioni, non a parole. E le decisioni dimostrano che gli Stati Uniti, a loro parere, continuano a essere il Paese più sicuro al mondo.” (M. Naìm)

Sono in tanti a pensare, come Moisés Naìm, che l’investimento in titoli emessi dal Tesoro statunitense resti il più sicuro al mondo, nonostante il debito federale si stia avvicinando al 100 per cento del Pil, cifra che diventerebbe molto più elevata se si considerassero anche le passività garantite dal governo Usa ma non contabilizzate nel bilancio federale.

Ho già avuto modo di sostenere che il tetto legale all’indebitamento è una pura ipocrisia, dato che ogni volta che ci si avvicina al limite si alza l’asticella. Che l’accordo di inizio agosto sarebbe arrivato ma solo in extremis era prevedibile, dato che nessuna delle due parti aveva interesse a dare l’impressione di aver ceduto alle richieste degli avversari. Sono le meschinità della politica, quella cosa di cui invocano il primato su tutto il resto le tante (troppe) persone che direttamente o indirettamente traggono sostentamento dalla stessa.

Secondo Naìm, neanche a seguito dell’abbassamento del rating da parte di S&P quelli che “di soldi se ne intendono” hanno percepito una maggiore rischiosità nell’investimento i titoli del Tesoro Usa e sono “rimasti imperturbabili”.

Il fatto che alla riapertura dei mercati dopo il declassamento abbiano perso le borse e non i titoli di Stato è dovuto a diversi fattori, che non ho la pretesa di elencare in modo esaustivo.

In primo luogo, credo sia opportuno parlare congiuntamente di dollaro e debito pubblico Usa, perché sono due facce dello stesso problema. Il dollaro è ancora la divisa più utilizzata a livello globale, e rappresenta una parte consistente delle enormi riserve valutarie accumulate dai Paesi che hanno un surplus strutturale della bilancia commerciale. Tali riserve sono state investite per la maggior parte in titoli del Tesoro Usa, sia perché sono indubbiamente l’asset più liquido al mondo, sia per evitare un rafforzamento della propria divisa nei confronti del dollaro stesso. Cina e Giappone sono, per questo motivo, i principali detentori esteri di debito pubblico americano (assieme ne posseggono oltre 2mila miliardi di dollari, circa il 15 per cento del totale).

Quando si accumulano cifre così ingenti, non è certo agevole, né conveniente, modificare in modo repentino la destinazione delle riserve.

Anche questo giustifica quella che Naìm definisce “imperturbabilità”. Per la verità i cinesi stanno diversificando, e hanno anche “redarguito” gli spendaccioni americani, ma non possono permettersi di vendere Treasuries, altrimenti provocherebbero un crollo dei prezzi dei titoli e del dollaro che danneggerebbe loro stessi.

Al tempo stesso, in caso di segni di cedimento quasi sicuramente la Fed interverrebbe comprando a man bassa, svilendo ulteriormente il dollaro.

L’ha già fatto, e non avrebbe alcuna remora a rifarlo, anche in ammontare superiore al passato. Il limite vero, allora, deve essere a mio parere individuato nel rifiuto all’accettazione del dollaro come mezzo di pagamento a livello internazionale.

Realisticamente questo non avverrà a breve termine, ma sarà prima o poi inevitabile se le politiche fiscali e monetarie americane continueranno a essere disastrose come da parecchi anni a questa parte. Siccome dubito che vedremo miglioramenti significativi nelle politiche fiscali e monetarie americane, magari passerà ancora del tempo prima che tutto imploda, ma dato che già oggi i rendimenti non coprono neppure la perdita di potere d’acquisto del dollaro (men che meno il rischio di cambio), personalmente l’investimento in titoli del Tesoro Usa lo lascio fare a quelli che, secondo Naìm, “di soldi se ne intendono”. Io preferisco starne alla larga.

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Comments
  • Davide Tramma

    infatti…il rendimento di questi titoli non copre nemmeno il deprezzamento della valuta.
    Al massimo si puo speculare un po su quelli già emessi e negoziabili, ma sottoscrivere le emissioni ex-novo mi pare una cagata.

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