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POSTIAMO QUI DI SEGUITO IL SAGGIO DEL PROFESSOR JACQUES GARELLO, TRATTO DALLA CONFERENZA ORGANIZZATA A TORINO DAL C.I.D.A.S. IL 6 MAGGIO DI QUEST’ANNO. 

ESSENDO UN LAVORO ESTESO, QUI DI SEGUITO PUBBLICHIAMO LE PRIME DUE PAGINE. IL RESTO LO POTRETE LEGGERE SCARICANDO IL FILE ALLEGATO.

IN EPOCA IN CUI QUALSIASI IDIOTA PARLA DI NEOLIBERISMO ED ECCESSI DI MERCATO, QUESTO TESTO APPARE FONDAMENTALE, AL FINE DI METTERE FINE ALLE SCIOCCHEZZE ED ALLE MENZOGNE CHE QUOTIDIANAMENTE SI LEGGONO SUI MEDIA.

DI JACQUES GARELLO

Chi ha visto il mercato? Bellissima domanda.

Dico subito: non esiste in Francia. Forse in Italia? Allora cerchiamo insieme di capire dov’è il mercato e chi lo ha visto.

Mi dispiace di non essere un bravo disegnatore. Se potessi disegnarlo esaurirei il discorso con ciò che si dice abitualmente del mercato. Qualcuno, tra gli altri, ha detto che il mercato è miope: mi aspetterei un individuo con grandi occhiali. Mi aspetterei che abbia  difficoltà a camminare, che cammini con l’ausilio di  una canna, dal momento che si parla spesso di debolezza del mercato. Dopo di che potrei forse descriverlo senza un braccio dal momento che si parla sempre della mano invisibile del mercato. Finalmente il mercato potrebbe avere l’aspetto di una vecchia strega con una mela avvelenata, poiché si dice che il mercato è ingiusto, fonte di tutti gli squilibri, di tutti i mali sociali. Ecco come viene immaginato generalmente il mercato: un personaggio poco simpatico,  considerato di volta in volta miope, handicappato, sinistro e incapace  di far del bene.

In realtà è un errore considerare il mercato un personaggio. Occorre diffidare di questo genere di antropomorfismo. No, il mercato non ha l’andatura di un handicappato e non è neppure un attore. Il mercato è un processo. Se si vuole definire il mercato in un modo un po’ teorico, possiamo dire, per semplificare, che il mercato è un processo dinamico che consente di coordinare le scelte individuali grazie ad un sistema di segnali che sono essenzialmente i prezzi ed i profitti.

In questa definizione si trovano tre parole importanti: la prima è dinamico, la seconda coordinamento e la terza segnali.

Dinamico: nella maggioranza delle università nelle quali sono docente – devo dire da molto tempo – insegno che il mercato è da considerare alla stregua di un contratto che si stabilisce istantaneamente tra due persone sulla base di offerta e domanda: tra le due persone si raggiunge un punto di equilibrio, l’affare è concluso e così pure  il mercato è concluso. Si tratta di una visione tradizionale del mercato, istintiva e tuttavia inadeguata in quanto il mercato non è un equilibrio né istantaneo né destinato a durare tutto il giorno o permanentemente. Le signore ed i signori che vanno al mercato lo sanno benissimo; infatti si può prevedere di trovare  prezzi più elevati o, al contrario, minori. Il mercato non è quindi soltanto un equilibrio istantaneo, ma è soprattutto un processo di scoperta, un processo dinamico che cerca di orientare continuamente le scelte: le scelte dei produttori e le scelte dei consumatori.

Il mercato, e ci ritornerò, esprime costantemente informazioni che permettono di rivedere continuamente le nostre scelte  in quanto consumatori, influenzando così i produttori. Noi diciamo all’impresa che il cliente è re, il che vuol dire che l’impresa non esisterebbe se non s’adattasse permanentemente ai cambiamenti che intervengono sul mercato. Dunque il mercato varia in permanenza ed è un’eresia parlare della relatività del mercato. Si può parlare soltanto, ad esempio, della volatilità dei prezzi agricoli, il che rientra nella natura stessa del mercato e nella natura dei prezzi, i quali variano continuamente e sono proprio queste variazioni ad influenzare le scelte che noi facciamo.

Le scelte che noi facciamo devono essere coordinate; ecco la seconda parola importante: coordinamento. Tutti partecipiamo alla vita economica con i nostri bisogni particolari ed i nostri specifici mezzi. Come consentire ad una massa di milioni di persone, oggi di miliardi di individui, di coordinarsi, come evitare di perdersi sul mercato?

Il grande economista tedesco, Walter Eucken, aveva indicato soltanto due modi di coordinare le scelte personali: la pianificazione ed il mercato. Nel primo caso il coordinamento si realizza dall’alto, vale a dire è opera di un’autorità centrale che stabilisce le priorità, i bisogni da soddisfare, i mezzi da utilizzare, il lavoro ed i capitali da impiegare. Tutto è deciso dall’alto; è coordinamento tramite un’economia imposta, un’economia pianificata. L’altra strada è il mercato che è un coordinamento dal basso dove le persone rimettono in causa ogni giorno le proprie scelte. Hayek ha definito tutto questo “il plebiscito quotidiano del mercato”. Tutti i giorni si cerca di comprendere e finalmente il miracolo si produce: la mano invisibile è all’opera e tutti trovano il loro vantaggio,  tutti realizzano la loro soddisfazione. Questo metodo di coordinamento realizza un sistema economico che non è equivalente a tutti gli altri. Il mercato è un processo di coordinamento a “democrazia diretta”: in fondo, tutti i giorni si esprime un voto sui prodotti, è il “plebiscito quotidiano” del mercato.

La pianificazione è ovviamente diversa poiché il consumatore di base, o il lavoratore, ed il produttore di base non hanno la possibilità di scegliere ogni giorno. E’ il pianificatore che sceglie per loro, e quindi, tutt’al più, si tratta di una democrazia economica indiretta, vale a dire gli operatori eleggono i pianificatori che esprimeranno le scelte per loro. E’ un sistema che presenta anche i suoi vantaggi; l’economista francese, Georges Marchais,  già segretario generale del partito comunista francese, affermava che la democrazia politica sostiene e garantisce la democrazia economica. Come dire che il pianificatore è eletto dal popolo, dai cittadini, e quindi le scelte di pianificazione sono necessarie e conformi ai desideri della gente. Si sono visti i risultati. La democrazia indiretta non ha funzionato in quanto i pianificatori, sovietici o di altri Paesi, hanno sempre imposto preferenze che non avevano l’accordo dei consumatori talché si è arrivati a scarsità dei prodotti e al mercato nero.

Io credo invece che il mercato sia il miglior processo di coordinamento.

Vediamo come funziona il processo di coordinamento. Esso opera mediante segnali e questi segnali sono i prezzi ed i profitti. Il prezzo, come già detto, influisce sul comportamento della gente: il bene è troppo caro, non compero, è a buon mercato, compero; non è remunerativo, non produco, c’è un buon profitto, allora produco. I prezzi sono pertanto indicatori di soddisfazione.

La tendenza all’equilibrio tra domanda ed offerta opera in quanto se c’è eccedenza di offerta si abbassano i prezzi, mentre se c’è eccedenza di domanda si verifica ovviamente l’aumento dei prezzi. Per cui scarsità e spreco da una parte, possibilità di sviluppo e profitto dall’altra si contrappongono. Ecco ciò che orienta le scelte più importanti. Gli imprenditori, e tra di voi ci saranno certamente degli imprenditori (o lo diventeranno), sceglieranno di adattarsi continuamente, seguendo le preferenze dei clienti, esercitando attività che consentono guadagni significativi. Si dice che è lo spirito del lucro, è desiderio di realizzare sempre più denaro, che è l’economia del profitto, e così via. Sì, può darsi, ma è soprattutto desiderio di vedersi ricompensati per la qualità del lavoro offerto, e la qualità del loro lavoro è un modo per essere al servizio della comunità. L’idea che l’imprenditore non pensi che a sé stesso ed al suo profitto è un’idea di primo approccio, superficiale: fondamentalmente il lavoro dell’imprenditore è rivolto al servizio della comunità.

Non c’è nulla di più aperto verso la collettività del mercato. Ci dicono che il mercato è la casa degli egoismi, che non si pensa che a sé stessi ed è lotta di tutti contro tutti. Non è vero. Grandi economisti, e cito Bastiat in particolare, hanno dimostrato che non esiste mercato, non esiste profitto senza essere preceduto dalla ricerca di ciò di cui gli altri hanno bisogno. Lo scambio è la base di ogni iniziativa, induce a mettersi al posto degli altri per capire che cosa desiderano al fine di soddisfare i loro desideri. Il segnale del profitto esprime chiaramente  che la comunità è stata soddisfatta dal momento che si è dimostrata disponibile a remunerare l’imprenditore. Ma non soltanto, la comunità gli fornisce anche la possibilità di andare oltre in quanto i profitti, a loro volta,  permettono all’imprenditore di effettuare investimenti che generano impieghi. Insomma, il cliente fa comprendere all’imprenditore che ha lavorato bene e deve continuare su questa strada: questo è ciò che afferma il cliente attraverso il profitto.

Prezzi e profitti sono quindi realmente indici fondamentali. Ma se questi indici sono falsificati , se i segnali del mercato non funzionano, il coordinamento viene a mancare e così il processo dinamico entra in crisi. Immaginate un treno che si trova di fronte un sistema dove tutti i semafori sono verdi allo stesso istante e non esistono semafori rossi. Che cosa può succedere? Molto probabilmente una catastrofe ferroviaria. E’ quindi indispensabile conoscere i percorsi da seguire e quali da evitare; e ciò è possibile soltanto se vi è  un sistema di circolazione delle informazioni, un sistema di segnali.

Il mercato è informazione, il mercato è scoperta. Concludendo posso affermare che il mercato è la soluzione migliore. Tuttavia non ho ancora risposto alla domanda: dov’è il mercato? Il modello ampiamente ora descritto l’avete visto funzionare? In Francia non lo troverete e neppure in Italia. Esiste un mercato puro che corrisponde alla definizione che ne ho data? Ne dubito.

Per un lungo periodo di tempo gli economisti hanno ritenuto che un mercato puro potesse essere quello della borsa. Cinquant’anni fa, ottant’anni fa tutto funzionava molto bene: la gente che partecipava in borsa era perfettamente informata, conosceva bene i prodotti trattati nelle loro caratteristiche. Potendo entrare ed uscire nel e dal mercato la definizione delle leggi della concorrenza parevano operanti. Il mercato puro era perfetto  dal momento che vi partecipavano moltissimi operatori e la conoscenza era pubblica e diffusa. Singolarmente nessuno aveva troppa influenza sugli altri, nessuno era sufficientemente grande per schiacciare gli altri. Per competere occorre fluidità, poter entrare ed uscire, essere in grado di scegliere liberamente i prodotti, serve trasparenza, cioè perfetta informazione.

Credo che il mercato borsistico oggi non risponda più a queste caratteristiche, se mai vi ha risposto. Ci sono stati talmente tanti interventi dello Stato sul mercato borsistico che esso è diventato il mercato più regolamentato, più gestito dallo Stato di qualunque altro. In conseguenza dell’intervento statale si può sostenere che il problema del mercato, del mercato puro, nasce dal fatto che il suo funzionamento è stato deformato, falsato, viziato, deviato.

Lo Stato è intervenuto in quattro punti, esattamente i pilastri che definiscono il mercato. In primo luogo, ho affermato che il mercato è dinamico: lo Stato lo blocca. Inoltre, che il mercato è coordinamento decentralizzato: lo Stato lo pianifica e lo centralizza. Avevo affermato che il mercato necessita di segnali: lo Stato non cessa di falsarli.

Da ultimo,  una sorpresa, il quarto intervento dello Stato che influenza i tre precedenti. Lo Stato paralizza il mercato, ciò che Milton Friedman definì l’interesse allo statu quo. Ci sono persone che hanno interesse a non cambiare nulla, temono la concorrenza. Infatti, entrare in concorrenza implica dover fare uno sforzo, confrontarsi con gli altri, cercare di essere capaci almeno quanto gli altri. La concorrenza è concorso, competizione, come negli sport: occorre fare meglio o altrettanto bene di tutti i migliori. Vi sono operatori che fanno la stessa cosa da anni e non sono contenti se la situazione cambia. Ma il mercato si muove, il mercato è dinamico, è creatore poiché compaiono nuovi prodotti, nuove tecniche, ma è anche distruttore in quanto spariscono alcuni impieghi e con essi alcune imprese. Ovviamente se i mercati del lavoro e del capitale sono fluidi si può affermare che gli impieghi distrutti da una parte  verranno creati da un’altra. Ma la fluidità del mercato è proprio ciò che molti non vogliono, hanno interesse che le cose non cambino e che vengano dispensati dal fare degli sforzi. Sono alquanto numerosi questi gruppi di pressione, denominati corporativi o privilegiati; noi li chiamiamo paesani, coloni e burocrati: persone che reputano catastrofi i cambiamenti e dicono allo Stato “attendete, non vedete che ci stanno facendo una concorrenza sleale?”

In questi ultimi dieci anni, da quando la mondializzazione è apparsa e la concorrenza ha cambiato significato, si sono inventate tre espressioni straordinarie. Innanzi tutto il dumping sociale. Jacques Delors, che è stato presidente dell’Unione Europea, ha affermato che il sistema di sicurezza sociale non è così perfetto come in Francia invitando l’Europa ad estendere la legge francese in materia e quindi ad adottare una sicurezza sociale che costi all’Europa quello che costa in Francia.

Successivamente si è inventato il dumping fiscale: è più recente e lo dobbiamo al signor Sarkozy. Nel dumping fiscale si impongono prezzi che consentono alle società, ai cittadini ed ai contribuenti di pagare meno imposte. Ovviamente questa scelta non è leale in quanto le stesse agevolazioni dovrebbero essere consentite in tutta l’Europa; ad esempio l’Olanda ha fissato un’aliquota del 12%  sulle società riuscendo così ad attirare molte imprese ed a raggiungere un tasso di crescita superiore a quello di altri Paesi.

Recentemente si è inventata la terza espressione che, forse, è la più efficace delle altre due insieme: il dumping ecologico. Vi sono operatori che usano risorse del pianeta inquinandolo, e il danno si trasferisce al vicino. E’ il caso, ad esempio, degli americani e dei messicani. Da un lato della frontiera i messicani possono inquinare e fumare quanto vogliono, dall’altra parte gli americani sono sottoposti ad una serie di regolamenti. Occorre che i messicani cessino di fare quello che vogliono in materia ambientale e si allineino all’esempio americano.

Si tende sempre  a dire che gli altri ci danno fastidio e quindi occorre proteggerci. E chi può proteggerci se non lo Stato? E lo Stato fa in modo che le scelte restino nel cassetto, che le evoluzioni non abbiano luogo, che le riforme restino tranquille in un angolo. Si potrebbe introdurre un discorso politico, ma in realtà non ci saranno mai vere riforme in quanto le riforme rimettono in causa gruppi che hanno profonde entrature presso lo Stato e bloccano il dinamismo del mercato.(continua…)

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conf.Garello definitiva

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