In Anti & Politica, Economia, Libertarismo

DI MARTIN VAN CREVELD

IL DECLINO

Da qualche parte tra il 1945 e il 1975, il tipo di costrutto politico noto come lo stato e caratterizzato, soprattutto, dalla separazione tra il sovrano e l’organizzazione raggiunse l’apice e potrebbe essere entrato nella fase di declino. Come in precedenza, questo processo non è stato realizzato da singoli governanti, per quanto potenti e…benevoli. Non era come se la gente in cima improvvisamente fosse divenuta meno assetata di potere o più disposta a lasciare che la gente in fondo potesse fare quello che voleva. Ancora una volta, il carattere pressoché globale dei cambiamenti indica che furono prodotti da forze anonime su cui quasi nessuno poteva esercitare alcun controllo. E in relazione alle quali, infatti, l’intera questione della morale divenne quasi irrilevante.

Forse il fattore più importante, e uno che è dato così tanto per scontato che viene spesso trascurato, è stata l’introduzione e la conseguente proliferazione delle armi nucleari. Per la prima volta nella storia, le armi nucleari permisero a coloro che le possedevano di annientare l’altro e, naturalmente, anche chi non le possedeva. Fino ad oggi sono falliti tutti i tentativi di cambiare questo fatto scoprendo una sorta di antidoto; anzi, non sono quasi mai decollati. Né credo che i piani attuali di costruire un sistema di difesa missilistico balistico possano fare la differenza in questo senso. Anche se questo non è il luogo in cui discuterne in dettaglio, non è necessario parlare dei cosiddetti “stati canaglia” come la Corea del Nord, l’Iraq e l’Iran. E’ inutile contro una potenza di prima classe o addirittura di seconda con un arsenale nucleare a propria disposizione.

La proliferazione delle armi nucleari ha influenzato la guerra (e si parla di una guerra su larga scala, come la condurrebbe in particolare lo stato) in due modi opposti. In primo luogo, nella misura in cui anche l’avversario possedeva una capacità di secondo colpo si sarebbe rivelata una guerra al suicidio, vanificando in tal modo la definizione di Clausewitz che sia una continuazione della politica con l’aggiunta di altri mezzi. Gli stati erano soliti entrare in guerra al fine di ampliare o difendere i loro interessi. Per definizione, però, gli interessi di uno stato sono meno importanti della sua esistenza — infatti solo quello che esiste può avere interessi in primo luogo. Per dirla in modo meno astratto, è difficile se non impossibile, pensare ad un “interesse” che potrebbe mettere a rischio di un immediato e completo annientamento Washington D.C., o New York o Mosca o Pechino o Nuova Delhi, o Tel Aviv. Come scrisse Bernard Brodie nel lontano 1946, le armi nucleari non possono, e non debbono, essere utilizzate. Se dovessero essere utilizzate, allora avrebbero già fallito nel loro scopo che non può che essere quello di scoraggiare. Come risultato, mentre nel corso dei secoli prima del 1945 la guerra era un importante strumento utilizzato dagli stati per aumentare il loro potere a scapito di altri stati, sin da allora è stata dichiarata quasi esclusivamente tra o contro stati non nucleari; in altre parole, tali stati non erano giocatori di prima o anche seconda classe nel sistema internazionale.

La seconda ragione per cui le armi nucleari hanno avuto un effetto frenante sulle principali gerre interstatali è psicologica. Come disse una volta Moshe Dayan, niente è più eccitante per gli uomini della guerra; come ben sapeva ma non disse, nessuno ha più probabilità di conquistare l’ammirazione di una donna se non i guerrieri. Nella misura in cui le armi nucleari rendono impossibile resistere e possono effettivamente eliminare intere società in un batter d’occhio, però, non c’è nulla di eccitante in loro. Dalla velocità con cui uccide e distrugge ancor di più che con la sua potenza pura, la guerra nucleare semplicemente non offre alcuno spazio per l’esercizio e la visualizzazione di qualità come l’orgoglio, l’onore, il coraggio, il sacrificio, la determinazione, e la resistenza. In breve, non prevede la possibilità di eroismi; e dal momento in cui la prima donna ha dato alla luce il primo bambino (dimostrando così agli uomini quanto siano realmente inutili) l’eroismo è stato quello di cui è fatta tutta la guerra.

In concomitanza con la fine delle principali guerre interstatali gli stati iniziarono anche a smantellare alcuni dei sistemi con cui, sin dal 1850 o giù di lì, hanno avuto origine al fine di tenere sotto controllo le loro popolazioni ed assicurarsi la loro lealtà. In larga misura, tale azione ebbe come risultato il conflitto Arabo-Israeliano che ha portato alla Crisi Energetica ed ha fatto precipitatare il mondo in una recessione. La recessione e la disoccupazione sovraccaricarono il sistema del welfare. Ciò a sua volta portò all’inflazione; e l’inflazione a sua volta fece sì che lo stato dovesse derubare alcuni dei suoi cittadini al fine di mantenere i pagamenti al resto della popolazione. Qualora anche i prezzi del petrolio in aumento non avrebbero costituito un grosso problema, l’economia Austriaca – e qui sono d’accordo con le idee presentate dal Mises Institute – avrebbe predetto che il successo stesso del welfare state nella creazione di sistemi educativi più ampi, di servizi sanitari più costosi, di persone più vecchie e di maggiori madri single avrebbe causato l’aumento delle sue dimensioni ed avrebbe fatto arrivare i suoi costi alle stelle.

Nel 1980 anche la Svizzera, quel bastione della moneta sonante, ebbe un deficit di bilancio pari ad oltre il 5% del PNL.

A dire il vero, il movimento verso lo smantellamento del welfare state non è stato avviato in tutti i paesi in una sola volta. Nella maggior parte di loro ha preso il via tra il 1975 ed il 1980; in altri, come l’Austria e la Svezia, è essenzialmente uno sviluppo degli ultimi quindici anni, mentre in altri ancora ci sono stati alti e bassi. Un paese — la Norvegia — sta addirittura usando la sua incredibile ricchezza di petrolio per mantenere intatto il suo welfare state. Lo sviluppo può essere meno evidente negli Stati Uniti che in molti paesi, dato che gli Stati Uniti sono sempre stati il paese più capitalista e lo stato Americano non è riuscito a frenare e nazionalizzare le imprese private nella misura in cui altri hanno fatto.

Altrove, tuttavia, i cambiamenti sono stati enormi. Il movimento d’allontanamento del settore pubblico dalle risorse naturali, dalla proprietà pubblica dei mezzi di produzione, dalla proprietà pubblica delle banche, delle assicurazioni e dei trasporti, dalla pubblica istruzione, dalle pensioni pubbliche, dal welfare pubblico, dalla ricreazione pubblica, dalle prigioni pubbliche e dall’acqua potabile pubblica, è a buon punto; nella misura in cui sempre più persone vengono pagate in stock options, anche il denaro è stato privatizzato. Ciò è vero nei paesi sviluppati come in quelli in via di sviluppo in Europa come in Asia, in Canada come in Africa e in Australia e Giappone. E’ anche vero, alcuni direbbero anche in particolare, per gli stati ex-Comunisti che rappresentavano un terzo della terra in cui il controllo statale sulla società civile soleva essere completo; e dove, infatti, difficilmente si poteva dire che questa società esistesse.

Il terzo fattore che lavora contro lo stato è il processo conosciuto, in breve, come globalizzazione. In sostanza la globalizzazione è il prodotto del cambiamento tecnologico; una convergenza di nuovi mezzi di trasporto e di comunicazione che hanno reso il mondo molto più piccolo e più interdipendente. Alcune di queste tecnologie, come la radio, la televisione, la televisione satellitare, i video, i telefoni, il fax, e internet penetrano facilmente nelle frontiere statali. Altre, come i jumbo jet che portano mezzo milione di persone attraverso l’Atlantico ogni settimana, possono essere utilizzate con la massima efficacia solo se non sono limitate ai confini di ogni singolo stato. Queste tecnologie hanno a loro volta reso possibile non solo il viaggio dell’informazione, ma anche del denaro e delle persone attraverso i confini statali in misura, e ad un ritmo, che sfida ogni tentativo di controllarlo; forse il fattore che ha fatto molto per far cadere la vecchia Repubblica Democratica Tedesca era il desiderio delle persone per il Marco da un lato e della West German Television dall’altro. Hanno anche reso possibile il coordinamento e l’uonione dell aziende private su scala globale, che non sono stati. I colossi risultanti sono di grandi dimensioni, e possiedono potere, e sono degli avversari tosti per la maggior parte degli stati. Per di più, dal momento che non hanno territorio sovrano sono, in misura maggiore o minore, mobili. Se un singolo stato dovesse cercare di limitarli troppo, potrebbero sempre spostare la loro sede centrale e gli stabilimenti di produzione nel territorio di qualche altro stato.

Cambiamenti così vasti, e così importanti come quelli sopra elencati non possono avvenire senza spargimento di sangue. Al momento, tale spargimento di sangue è più visibile in Africa e in parti dell’Asia. Qui lo stato, esportato dall’Europa e sviluppatosi sul modello Europeo, non è riuscito a mettere radici; ha quindi iniziato a disintegrarsi ancor prima che venisse stabilito correttamente. In queste regioni e altrove, il declino del potere dello stato si manifesta con la creazione di nuovi stati quasi quotidianamente. Alcune di queste nuove nascite sono mediate attraverso l’uso della violenza, altre no. Forse oggi le uniche regioni che non sono testimoni di grandi violenze interstatali o della loro minaccia sono il Nord America, l’Europa Occidentale, il Giappone e l’Australasia. Anche in Europa, tuttavia, la violenza di matrice politica non è del tutto assente; in ogni caso, queste regioni comprendono tra di loro solo meno del 20% della popolazione umana di questa terra.

Anche in luoghi che non sono ancora minacciati, o coinvolti, dalle grandi motivazioni politiche, la violenza intrastatale, la presa dello stato sulla società civile, sembra indebolirsi. A volte ciò si manifesta con un accumulo massiccio di forze di polizia, come negli Stati Uniti sotto Bill Clinton. In altri casi si manifesta quando le forze responsabili del mantenimento dell’ordine interno vengono riorganizzate e messe in mostra, come nei Paesi Bassi e in Francia. Più di ogni altra cosa, però, c’è la sensazione che gli stati non siano più in grado di tenere sotto controllo le loro popolazioni, come solevano fare una volta, grazie alla crescita di comunità chiuse e di una vasta industria di sicurezza privata.

Le prime sono come le città medievali, presentando facciate come le fortezze di un tempo contro ciò che i loro abitanti, ovviamente, percepiscono che sia il crescente disordine esterno; la seconda si è trasformata in un’area di crescita dove vengono fatte grandi fortune, vengono addestrate forze armate, vengono acquisite armi, e viene accumulato potere e non raramente programmato. In un certo senso vi è anche in atto una fusione tra queste forze private e quelle pubbliche. Da un lato, le prime sono spesso composte da veterani di quest’ultime; dall’altro, molti stati stanno auspicando apertamente ad una “partnership” con la sicurezza privata e la stanno dotando di poteri in crescita.

Come ci si potrebbe aspettare, le trasformazioni sopra elencate hanno portato ad un cambiamento degli atteggiamenti. Mentre la sicurezza o insicurezza privata aumenta, i confini diventano più permeabili, il welfare state si ritira, e la guerra su larga scala tra stati potenti non ha fatto altro che porre fine alla lealtà nei loro confronti entrando quindi in un declino; sono definitivamente finiti i giorni in cui un Generale Leslie Groves qualsiasi avrebbe potuto usare il patriottismo per far approvare ai direttori della Dupont LTD. il più grande investimento che questa azienda avesse mai potuto fare, senza nemmeno sapere di che cosa si trattasse.

Mezzo secolo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, e in luoghi lontani tra loro come gli Stati Uniti, l’Europa ed il Giappone, le genti sono poco inclini a fidarsi dello stato o a rischiare la vita per esso che anche la morte di alcuni soldati è probabile che si traduca in una protesta e porti all’abbandono delle capagne belliche. In tutti questi paesi i media tendono sempre di più a presentare lo stato come un ente corrotto, inefficiente e dispendioso; non tanto un aiuto alla giustizia e alla pace sociale, ma un ostacolo sulla strada per ottenerli.

 

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Showing 8 comments
  • Gringo

    @CARLO BUTTI
    Molto interessante (come ogni suo commento qui), meriterebbe maggiore attenzione.

  • Lo Ierofante

    Per la serie: “non c’è limite al peggio”.

    http://ashokascorner.blogspot.com/2012/01/spdl-sono-pazzi-da-legare.html

    • Borderline Keroro

      Hanno perso ogni contatto con la realtà.

  • Pedante

    È un po’ ironico che sia uno stratega militare israeliano a esprimere questi pensieri, quando sono proprio i likudnik di Washington a spingere sull’acceleratore per un attacco all’Iran. WMD redux.

  • CARLO BUTTI

    Quando parliamo di “forze anonime” ricorriamo a un’astrazione semplificatoria, non a un principio metafisico. Miriadi di scelte individuali, ciascuna indirizzata più o meno consapevolmente verso un determinato scopo, possono portare a risultati imprevisti e magari indesiderati. Mai sentito parlare di “eterogenesi dei fini”? E che c’entra tutto questo con il problema del libero arbitrio? In un sistema concorrenziale di libero mercato non è forse vero che i prezzi si formano in virtù di “forze” determinate dalle libere scelte degli operatori? Si potrà dire che io sono privo di libero arbitrio perché obiettivamente non posso vendere la mia merce a 10 quando il prezzo di mercato è 8? Non è un ente metafisico a impedirmelo, ma la somma delle libertà individuali dei miei concorrenti, che genera, loro malgrado, un risultato diverso da quello ottenibile in regime di monopolio. Per concludere: le cosiddette “forze” ,le cosiddette “strutture”, sono puri strumenti concettuali, mutuati dalla fisica e dalla grammatica, certamente utili per le loro potenzialità ermeneutiche, ma pericolosi quando vengono reificati. Solo gli individui sono reali. Per questo anche la cosiddetta “volontà del popolo” è espressione priva di senso se intesa in senso proprio, e non come metafora di un risultato elettorale, che potrebbe essere addirittura opposto se i voti dei singoli si contassero secondo criteri diversi.

  • antonio

    articolo sensato.
    però “il carattere pressoché globale dei cambiamenti indica che furono prodotti da forze anonime su cui quasi nessuno poteva esercitare alcun controllo” e in contraddizione con la teoria del libero arbitrio!
    e le donne ammirano i guerrieri? e certo, le donne hanno un sesto senso per chi muore presto, così ereditano… ahah!

  • michele lombardi

    mitico vernacolo

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