In Anti & Politica, Libertarismo, Primo Piano

DI GIUSEPPE GAGLIANO*

Come opportunamente osserva Bassani nell’introduzione il breve saggio di Nock –scritto nel 1935 – rappresenta un contributo di capitale importanza al pensiero libertario. Le ragioni sono facilmente individuabili:la genesi dello stato è ravvisabile nella volontà da parte di un classe sociale di sfruttare in modo indiscriminato la società civile per esempio attraverso la tassazione vero e proprio furto legalizzato. Detto con altre parole:lo stato non fa altro che rendere sistematico il processo predatorio nei confronti di una popolazione in un contesto geografico specifico. L’unica istituzione nata dalla società civile in grado di contrapporsi frontalmente allo stato è il governo capace di tutelare i diritti naturali dell’individuo. Ma nonostante la sua aperta opposizione allo stato in quanto tale,l’autore era realisticamente consapevole di non potere cambiare lo stato di cose, troppo forte ed esteso infatti era il potere coercitivo dello stato.

Secondo l’autore è individuabile un dualismo originario: da un lato lo Stato e dall’altro lato la società. Intrinsecamente parlando lo Stato non ha alcun potere effettivo poiché a concederglielo è la società e quanto più aumenta il potere dello Stato tanto più diminuisce il potere della società. Nel corso della storia, soprattutto moderna, il potere dello Stato è andato via via crescendo sino a divenire una sorta di monopolista senza concorrente nei più diversi settori a tal punto da rendere del tutto improponibile una reale competizione con la società. La sua egemonia è divenuta a tal punto capillare da indurre la società civile alla passività. Per fare un esempio concreto-sottolinea l’autore-sia sufficiente pensare alla centralizzazione raggiunta a Washington e in modo particolare alla concentrazione di potere della capitale; proprio su questo aspetto l’autore sostiene che facendo venire meno l’originario intento federalista il potere esecutivo in America più che essere un potere repubblicano si è trasformato in un monocrazia. Naturalmente questa trasformazione ha inevitabilmente condotto alla realizzazione di una mostruosa macchina burocratica fatta da commissioni, uffici e comitati, burocrazia che-secondo l’autore-presenta non poche analogie con la burocrazia imperiale romana.

Concretamente parlando al di là della demagogie e della retorica elettorale, il sistema di potere americano: “è costituito in realtà su di un modello imperiale, con i nostri politici di professione al posto della guardia pretoriana; essi si riuniscono di tanto in tanto, decidono fino a che punto possono farla franca e in che modo e chi lo deve fare; e l’elettorato vota secondo le loro prescrizioni”1 . Lo stesso pluralismo politico- tanto esaltato dai quotidiani di regime- non è altro che un’ accanita competizione tra partiti per il controllo dello Stato. Ebbene, il rafforzamento dello Stato a discapito della società civile, non poteva che condurre allo Stato totalitario e le distinzioni tra le tipologie di totalitarismo sono del tutto prive di consistenza poiché un’analisi lucida ed impietosa dei sistemi totalitari non può che vedere in essi un’unica idea comune e cioè la completa “conversione del potere sociale in potere dello Stato”2 . Sotto il profilo storico, ciò che lo Stato centralizzato compie non è altro che ciò che la Chiesa nel corso dei secoli ha sempre compiuto a discapito sia dell’individuo che della società civile. Allo scopo di superare la convinzione secondo la quale lo Stato sarebbe necessario, l’autore ne individua la genesi nella conquista e nella confisca. Nonostante le numerose modificazioni storiche che hanno investito lo Stato, l’unica vera caratteristica costante ed invariabile in tutte queste trasformazioni è stato il permanente sfruttamento economico che una classe sociale ha esercitato verso un’altra. Come allora non condividere la tesi secondo la quale lo Stato è un’istituzione imposta ad un gruppo sconfitto da parte di un gruppo conquistatore con il solo fine di sistematizzare il dominio sui conquistati da parte dei conquistatori e salvaguardarsi contro l’insurrezione dall’interno e contro l’attacco dall’esterno? Non a caso, storicamente parlando ,la guerra non ha rappresentato una variabile ma una costante poiché è attraverso la guerra che lo Stato ha accresciuto il suo potere. Solo il governo è in grado di contrapporsi allo stato poiché i suoi fini sono sociali e si basano sui diritti naturali. A tale proposito, originariamente anche i costituenti americani erano persuasi di poter fondare uno Stato diverso da quello tradizionale ma il valore altamente innovatore e rivoluzionario della dichiarazione americana, finì per diventare solo un simulacro distorto dei suoi principi. D’altra parte non desta alcuna sorpresa, alla luce della storia dello Stato, lo squallido spettacolo dei politici che si comportano come vere e proprie bande criminali, che non fanno altro che raggirarsi fra di loro.

Proprio per questo la natura ultima dello Stato è quella di essere una istituzione antisociale. Quanto poi all’ efficienza pratica, questa è stata del tutto immaginaria poiché lo Stato non è mai stato in grado di fare qualcosa in modo efficiente, economico, disinteressato e onesto . Ebbene, se non saremo in grado di fermare lo Stato, il collettivismo finirà per degenerare in un vero proprio dispotismo militare. D’altronde basti pensare che il cittadino americano, è talmente libero “da essere sottoposto a diverse giurisdizioni separate e sovrapponentesi: quella federale, di Stato, di contea, cittadina, municipale, circoscrizionale, di distretto scolastico, di quartiere, di distretto federale”.

*Presidente CESTUDEC – (Centro Studi Strategici Carlo De Cristoforis)

 

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Showing 3 comments
  • michele lombardi

    la necessita’ dello stato e della spesa sociale deriva come risposta ultima prima della rivoluzione marxista, che sarebbe stata la naturale conseguenza al Gold Standard fottutissimo.

  • CARLO BUTTI

    Se ho ben capito, al poterre coercitivo (e quindi moralmente illegittimo) dello Sato si contrappone idealmente il governo libero (e quindi moralmente legittimo) della Società. Lo Stato avrebbe dunque espropriato la Società di una sua funzione, che ha piegato ai propri fini di oppressione e depredazione.Molto bello sul piano teorico; ma sul piano pratico? Come può esistere un governo della Società che non si trasformi in potere di coercizione, divenendo di fatto potere dello Stato? “Società” è termine astratto: in concreto, chi dovrebbe comandare (il governo è comando, etimologicamente il GUBERNATOR è il TIMONIERE, quello che segna la rotta), e con quale legittimazione? Anche “Stato” è astrazione, non comanda lo Stato, ma chi, attraverso i più svariati meccanismi (le panzane della Ninfa Egeria, la religione come “instrumentum regni”, la fortunata annessione che diventa fausta Unione Tricolore, l’atto puro delle sante manganellate, la dittatura della maggioranza certificata dal suffrgio…), è entrato a far parte d’una consorteria che s’è fatta chiamare così, ma potrebbe chiamarsi anche Mafia o Masnada di Briganti ,tutti con nome e cognome. La storia degli Stati Uniti è interessante perché, sotto l’aspetto degli ideali libertari, è la storia di un fallimento, anche se la vulgata ufficiale ce la presenta come un esperimento illuministico ben riuscito. E’ un’altra rivoluzione mancata, per quanto abbia avuto esiti meno nefasti delle altre rivoluzioni, francese e sovietica in testa.Queste riflessini-chiedo perdono se mi ripeto- mi confortano nell’idea che noi libertari dobbiamo pensare seriamente alla “pars costruens” della nostra filosofia politica. Non basta plaudire alle secessioni,quando ci sono, e magari auspicarle in casa nostra. E dopo? Come i braccianti della novella “Libertà” di Giovanni Verga, ci guardiamo spauriti negli occhi, aspettando che arrivi qualche Nino Bixio a riportare l’ordine di Sua Maestà?

    • Fidenato Giorgio

      Carlo, ti ho spedito a casa la tessera, ma all’indirizzo che mi avevi dato, mi hanno restituito la lettera con scritto sconosciuto. Mi puoi dare il tuo indirizzo via facebook. Grazie. Ciao

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