In Scienza e Tecnologia, Varie

DI WILLIAM ANDERSON*

Come chi era in età adulta al tempo dell’assassinio di John F. Kennedy, la maggior parte delle persone può ricordare dettagli particolari di ciò che stava facendo quando sentì, per la prima volta, dell’esplosione del Challenger space shuttle. Ad aggravare la tragedia, milioni di bambini, nel paese, guardavano sconvolti l’avvenimento.

Il programma “professore nello spazio”, che la Nasa sperava segnasse, pubblicamente, un punto a favore del programma spaziale, esplose insieme all’astronave quando l’insegnante Christa McCauliffe del New Hampshire morì, insieme con altri sette astronauti, nella tragedia occorsa a miglia di distanza sopra la terra. Ciò nonostante, la Nasa andò avanti a registrare molti voli dopo il disastro, ma il programma balzò di nuovo alle cronache quando il Columbia esplose pochi minuti prima dell’atterraggio, uccidendo i sette astronauti a bordo.

Scrivendo dell’ultimo disastro Nasa sul periodico Free Market, ho chiarito i problemi e le deprimenti verità dell’esplorazione spaziale socialista.

Ciò che non ho scritto è qualcosa di ancor più deprimente: le radici di entrambi i disastri si trovano nelle politiche ambientaliste del governo. L’ambientalismo non solo ha ucciso 14 astronauti, ma lo ha fatto nel modo più orribile possibile e in diretta tv.

Come le recenti notizie hanno riportato, la distruzione del Columbia è stata, quasi certamente, causata da un pezzo di schiuma isolante staccatosi e venuto a contatto con alcune piastrelle di protezione termica, disperdendole e lasciando la navetta vulnerabile all’intenso calore sperimentato in prossimità del rientro nell’atmosfera terrestre.

È tutto ciò che i telegiornali mainstream – e la Nasa – hanno riportato. Non hanno però detto che la particolare schiuma usata era il sostituto ecologico di un ottimo materiale; la precedente schiuma, usata per isolare i serbatoi esterni della Columbia, conteneva Freon, un clorofluorocarburo che l’EPA aveva vietato in seguito alle preoccupazioni sull’assottigliamento dello strato di ozono.

Come ha riportato Steven Milloy, la Nasa avrebbe potuto chiedere un’esenzione da questa regola. Il Freon, dopotutto, è inerte e non tossico, la sua connessione con l’assottigliamento dello strato di ozono è, nel migliore dei casi, debole. Tuttavia, essendo rimasti già scottati dall’EPA una volta (come spiegherò), la Nasa si piegò a ciò che Milloy chiama “Schiuma PC.” Scrive: “La schiuma PC fu subito un problema. La prima missione che la utilizzò si concluse con un danneggiamento 11 volte maggiore delle pareti termiche dell’astronave rispetto alla precedente missione con schiuma Freon.”

Inoltre, il danno era evidente – e piuttosto serio. Milloy riporta che, nella successiva missione del Columbia del 1997, “più di 100 piastrelle termiche furono danneggiate in modo irreparabile, ben oltre la media normale di 40”.

Esaminerò ora l’esplosione del Challenger, una settimana dopo il Super Bowl del Gennaio 1986. Come quasi tutti coloro che conoscono, più o meno bene, la faccenda sanno, una serie di O – rings, che avrebbe dovuto mantenere i gas caldi intrappolati nel razzo che trasportava la navetta, fallì, provocando una fuoriuscita di combustibile, che esplose in una palla di fuoco poco dopo il decollo.

Era una mattina insolitamente fredda a Cape Canaveral, troppo fredda per una corretta performance degli O – rings. Ciò è risaputo. Quello che le persone non sanno è che il materiale usato per costruire gli O – rings era un sostituto ecologico di un prodotto che l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente aveva vietato, poiché contenente amianto.

Gli O – rings originali, usati nelle giunture del razzo, provenivano da un mastice comune, usato per lungo tempo in maniera sicura ed efficace. Tuttavia, nella sua guerra contro l’amianto ovunque e dovunque, l’EPA impedì alla Nasa di utilizzare quel prodotto, nonostante l’agenzia spaziale avesse chiesto una deroga. L’EPA, non sorprendentemente, rifiutò, aprendo la porta al disastro verificatosi 17 anni dopo. Il nuovo prodotto, senza sorpresa alcuna, fallì. Il resto della storia lo conosciamo.

In situazioni normali, questo fatto avrebbe portato a uno scandalo di proporzioni gigantesche. Un’agenzia governativa impone l’uso di materiale non sicuro, il quale conduce alla morte pubblica di 14 persone. Se un’impresa privata avesse adottato condizioni lavorative così insicure, avremmo avuto un’inchiesta da parte del New York Times. Invece solo silenzio nel nostro caso, interrotto da commenti del tipo “lo spettacolo deve continuare” per ciò che concerne il futuro del programma spaziale. Anche i servizi giornalistici sul disastro hanno ignorato la ragione per cui la NASA avesse usato un prodotto così insicuro; in realtà, i giornalisti mainstream non stanno nemmeno ponendo le domande giuste.

Innumerevoli autori su queste pagine e altrove hanno sottolineato gli alti costi – e bassi benefici – della regolamentazione ambientale. L’ambientalismo è diventato una religione vera e propria a cui nessuna obiezione può essere posta.

Purtroppo vediamo ancora una volta come l’ambientalismo applicato in pratica possa rivelarsi disastroso. Va bene, stiamo parlando di “sole” 14 persone, paragonate alle centinaia di migliaia morte di malaria a seguito al divieto di uso del DDT, che prima uccideva le zanzare portatrici della malattia.

Che si parli di 14 astronauti o 14.000 persone di una remota nazione Africana, comunque, stiamo parlando della stessa cosa: morire a causa dell’ambientalismo. La giuria ha deciso; l’ambientalismo non è solo pericoloso per la nostra salute, ma minaccia le nostre stesse vite.

Articolo di William Anderson per Mises Canada

 

*Link all’originale: http://vonmises.it/2012/04/27/morte-per-ambientalismo/

Traduzione di Luigi Pirri

 

Note

[1] Milloy ha anche sottolineato come l’EPA esentò la NASA dalla riduzione di CFC nel 2001, rimarcando, però, come la stessa dovesse continuare ad usare la sua schiuma “amica dell’ambiente”.

 

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Showing 4 comments
  • Roberto Porcù

    @ Giovi – Forse non mi sono spiegato bene.
    1 – Io non sono contro all’ambiente, ma contro agli ambientalisti dei due tipi presenti sulla piazza, gli ingenui incompetenti che arrivano a farsi anche il mazzo con le manifestazioni e le pulizie degli alvei dei fiumi, … e gli ambientalisti competenti ed imbroglioni che falsano i dati, fanno grandi proclami, scrivono libri che gli incompetenti ingenui acquistano, ed infine arrivano persino a prendere il premio Nobel.
    2 – Al riguardo di Rockefeller, vorrei ricordarti il vecchio film “il piccolo Lord” dove il vecchio Lord è alla fine convinto ad operare per migliorare le condizioni di vita dei suoi sottoposti. In quel film i propositi erano benefici, ma a questi c’è sempre il tornaconto che una popolazione malridotta rende poco o niente e costa molto.
    La mia riportata era una verità storica e non la difesa di chicchessia.

  • Giovi

    Eh basta con tutta questa propaganda antianbientalista e antiambientale(basata sul nulla tra l’altro)!Un vero libertario non detesta la natura e l’ambiente,semmai tutta quella “tecnologia” e (pseudo)scienza imposta dallo Stato con i suoi apparrati burocratici o dal “Mercato”,ovvero lo Stato/Mercato che ci controlla e ci opprime ogni giorno.Eh certamente cemento,amianto, e altra merda sono da evitare come la peste!Poi parlare bene del Ddt e della dinastia dei Rockfeller(quelli che ci hanno imposto il tiranno Monti per capirci,i finanziatori di Hitler e Stalin,di tutte le varie dittature fasciste,naziste,comuniste o “democratiche”)è il colmo!Ah quando l’elogio del Zyclon B(della Bayer,o meglio della Ig Farben,controllata della Standard Oil,ovvero Rockfeller)nel suo uso contro il tifo in Germania?

  • macioz

    A chi non la conoscesse, suggerisco di leggersi la storia della messa al bando del DDT, partendo dalla pubblicazione di Silent spring di Rachel Carson.
    Non c’è niente di meglio per capire su quali basi scientifiche sia nato e poggi tuttora l’ambientalismo.

  • Roberto Porcù

    Eeee … che cazzo ! Cosa vuoi che siano 8 + 14 morti rispetto alle vittime dell’ambientalismo !
    Adesso c’è la ridicola caccia al cemento/amianto ed alle pensioni scroccate con la scusa di essere stati a contatto con l’amianto. Ma nulla si dice del benzene presente nella benzina. L’ambientalismo è tutta una manfrina per gli imbecilli.

    Vi incollo un vecchio articolo ricopiato per voi da Libero del 2 settembre 2006
    Dal regno della malaria a paradiso – Quando il ddt salvò la Sardegna (anche dal Pci) di Michele Brambilla

    Anche quest’anno milioni di italiani hanno scelto la Sardegna come meta delle loro vacanze. Un’indagine dell’assessorato sardo al turismo ci fornisce un dato perfino scontato: la stragrande maggioranza dei villeggianti intervistati ha detto di essere attratta soprattutto dal mare e dalle coste. Risposta scontata, appunto.
    Eppure credo che pochi sappiano che proprio le coste sono state, fino a non più di sessant’anni fa, il punto debole dell’isola, anzi la sua condanna. Per secoli, e fin dall’antichità, la Sardegna ha goduto della pessima fama di “isola pestilenziale”, e per questo è stata accuratamente evitata da tutti. Pochi sanno, soprattutto, che la Sardegna deve la sua fortuna attuale a un prodotto che è una bestia nera di tutti gli ambientalisti: il Ddt. Sì, proprio il dicloro-difenil-tricloroetano che ammazza gli insetti, ma che fu, fin dal principio, sospettatissimo di produrre danni all’uomo ed alla natura.
    La storia che andiamo a raccontare, più che altro per curiosità, essendo appunto sconosciuta ai più, è in sintesi questa: la Sardegna era resa invivibile dalla malaria, soprattutto nelle zone costiere, e non si trovava soluzione ad un tale flagello; fino a quando, nel 1946, gli americani chiesero di sperimentare il neonato Ddt proprio in Sardegna. La proposta non passò via liscia, il Pci, come vedremo, si oppose parlando addirittura di operazione fascista, ma alla fine passò. E fu la salvezza dell’isola, o meglio, la rinascita.
    Prima di entrare nei dettagli, butto lì un altro dato che forse ai turisti passa inosservato: nella cucina sarda il pesce non c’è. C’è la carne, c’è la pasta. Ci sono i formaggi. Ma il pesce non c’è. O meglio: qualche volta c’è, ma non fa parte della tradizione della cucina locale. E il motivo è presto detto: i sardi non pescavano perché avvicinarsi al mare voleva dire imbattersi in ambienti, le coste, più che malsani; voleva dire contrarre la malaria. Insomma: il paradiso degli italiani è stato per secoli il luogo più invivibile d’Italia. Molti la chiamavano “l’isola della morte”. Pensate: alla fine dell’Ottocento la popolazione della Sardegna non arrivava a 800.000 abitanti; quella della Sicilia, la cui superficie è di poco superiore, era di quattro milioni. La malaria era un nemico terribile soprattutto perché non se ne conosceva l’origine. Per secoli si è attribuita la causa ai miasmi delle zone paludose. “Malaria” deriva proprio da quest’idea, “mal-aria”, aria cattiva. Invece non è questo a provocare la malattia: la mal-aria è solo l’ambiente ideale per le vere responsabili, le zanzare del genere Anopheles. Ma questo lo si accertò solo nel 1898. E una volta accertata la causa, la strada per trovare il rimedio era ancora lunga.
    Ovviamente, la malaria non c’è solo in Sardegna. Ma in Sardegna il problema era molto più drammatico che altrove. Anche perché i disboscamenti sciagurati del Settecento avevano privato le coste delle loro difese naturali: gli alberi trattengono le acque, e senza più alberi a valle finisce di tutto, acqua, detriti, schifezze di ogni genere.
    Così in quasi tutte le coste della Sardegna si erano formate pozze e acquitrini in cui le dannate Anopheles sguazzavano felici. Per dare un’idea della differenza dell’incidenza della malaria tra la Sardegna e le altre regioni italiane, basti qualche dato: nei primi anni del Novecento in Sardegna morivano di malaria 211,2 persone ogni centomila abitanti; in Basilicata (al secondo posto nella tragica classifica) 183,7 ogni centomila abitanti; ma in Lombardia 4,8; in Piemonte 3,5; il Liguria 0,9. La Sardegna era colpita ovunque, anche all’interno dell’isola, perché chi si ammalava cercava scampo nell’entroterra. Un’inchiesta promossa dal governo Cairoli nel 1878 sullo stato delle ferrovie si concluse dichiarando immuni dalla malaria solo 26 dei 246 chilometri di strada ferrata in Sardegna. E ancora: alla fine dell’Ottocento i comuni con una popolazione superiore ai 10.000 abitanti erano solo cinque su 364: Cagliari, Iglesias, Sassari, Alghero, Tempio Pausania. Ed ecco i dati sui morti: dal 1887 al 1900 (in soli tredici anni!) in Sardegna morirono di malaria 27.986 persone, il dieci percento della mortalità generale. Se però si calcolano le morti provocate dalle malattie collegate alla malaria, pneumoniti, gastroenteriti e coliti, si scopre che un terzo di chi moriva in Sardegna era, direttamente o indirettamente, vittima di quelle malefiche zanzare.
    Ma anche chi non moriva, dalla malaria restava segnato per sempre. Nel fisico e nel carattere. I malarici cronici erano un terzo esatto della popolazione, ed essere malarico cronico vuol dire convivere con febbre e debolezza perenne. Vuol dire sapere di avere davanti a sé una vita triste e breve. Eugenia Tognotti, una professoressa universitaria di Sassari che ha dedicato ampi studi alla questione, ha scritto che i sardi di pianura erano “piccoli, di costituzione debole, con voluminosi tumori di milza, afflitti da senilità precoce e segnati dalla malattia nella stessa identità fisica e antropologica”. Quella dei sardi era, ha scritto la Tognotti, “una popolazione rassegnata, svigorita, inebetita dalle febbri”.
    Solo nei primi anni del Novecento si cominciò ad attrezzarsi con qualche rimedio più efficace. Il chinino, in particolare. Ma funzionò molto poco. Intanto era un prodotto che permetteva di curare (in parte) il malato, mentre invece ciò che serviva era un prodotto che andasse a colpire la causa della malattia, cioè le zanzare. E poi non si riuscì a somministrarlo a tutti, neppure quando si decise di distribuirlo gratis: la gente delle campagne conservava un’atavica diffidenza verso ciò che veniva dallo Stato e anche verso i medici. Il detto “Lu sbagliu di lu duttòri lu carragghja la tarra” (l’errore del medico lo copre la terra) sopravvive ancora oggi nei proverbi popolari.
    Il fascismo diede il via ad una serie di opere di bonifica che ottennero qualche risultato, ma restava il problema dell’eliminazione delle zanzare. Si provò gettando nelle acque calce e petrolio, ma le Anopheles resistevano. E poi la seconda guerra mondiale peggiorò ulteriormente la situazione. I pesantissimi bombardamenti (nel 1943 Cagliari fu distrutta, e anche i grandi centri costieri di Olbia, Alghero, La Maddalena e Bosa vennero duramente colpiti) fecero tornare indietro di anni la Sardegna dal punto di vista delle condizioni igieniche e sanitarie.
    Fu nel dopoguerra che arrivò, finalmente, la svolta. E arrivò grazie all’International Health Division della Fondazione Rockefeller, che già dalla metà degli anni Trenta aveva aperto, a Porto Torres, una sezione della Stazione Sperimentale Antimalarica. La fondazione Rockefeller chiese di poter sperimentare in Sardegna l’insetticida Ddt, scoperto nel 1939. Le perplessità non mancavano: le voci sui possibili effetti collaterali del Ddt giravano già allora. Ma alla fine il “Sardinian project” partì, di concerto con un ente appositamente costituito, l’Erlaas, ente regionale per la lotta anti-anofelica in Sardegna, che divenne presto il primo datore di lavoro dell’isola, con 33.000 persone alle dipendenze.
    I comunisti, come detto, si opposero duramente, coerenti con l’opposizione a tutto ciò che veniva dagli Stati Uniti. Così come il piano Marshall, anche la disinfestazione della Sardegna era vista come uno strumento dell’odiato imperialismo americano. Il 2 luglio 1947 l’Unità accusò l’Erlaas di essere “un’organizzazione neofascista con oscuri disegni”. Ma grazie al cielo il Pci non aveva il potere di bloccare tutto. Tonnellate di Ddt vennero buttate lungo le coste, e anche le case furono disinfestate. Migliaia di uomini in tuta, casco e stivaloni di gomma spruzzarono il Ddt in ogni tipo di costruzione frequentata dall’uomo, compresi i nuraghi, i ponti, le caverne ed i pozzi di miniera. Focolai di larve resistettero ancora per qualche tempo: ma la malaria era stata vinta.
    Non è dato di sapere con quali eventuali danni dovuti alle controindicazioni del Ddt. Ma da allora “l’isola della morte” ha cominciato a diventare il paradiso dei turisti ed il mare forse il più bello del mondo.

    P.S. Non ricordo quale imperatore romano ordinò di trasferire 3000 egiziani in Sardegna per popolarla.
    “Ma moriranno tutti !” “E chi se ne importa, sono solo egiziani”.

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