In Anti & Politica, Economia, Libertarismo

DI TIBOR R. MACHAN*

Intorno alla metà degli anni ottanta, ho maturato un’esperienza molto breve come impiegato civile, alle dipendenze del governo federale degli Stati Uniti. In realtà, è stato il mio secondo incarico con il governo, avendo effettuato in precedenza quattro anni di servizio militare nella US Air Force. Entrambe le esperienze sono state sicuramente utili e mi hanno insegnato qualcosa, tra cui il funzionamento delle finanze pubbliche.

Cominciamo con l’esperienza nell’Air Force, durante la quale ho prestato servizio presso la Squadra di Ingegneria Civile della base militare di Andrews  (la base, utilizzata dal Presidente, per  il decollo e l’atterraggio dell’Air Force One). Un paio di cosette si sono rivelate, per me, delle straordinarie lezioni di educazione civica, che mi accompagneranno per tutta la vita.

Per cominciare, ogni trimestre, durante i due anni trascorsi con gli ingegneri civili ad Andrews, era caratterizzato da una corsa spasmodica per inventarsi un qualunque tipo di progetto, di per sé capace di legittimare la spesa di quella porzione di budget che non si era ancora riusciti ad utilizzare.

Avanzare dei fondi  sarebbe stato considerato da tutti gli interessati come un peccato mortale! Nessuno, sano di mente, riuscirebbe a non spendere fino all’ultimo centesimo di una dotazione di bilancio! Dopo tutto, questo potrebbe dare l’idea a qualcuno – qualcuno collocato più in alto – che in realtà non si necessiti di tutti quei soldi che, in precedenza, si era invece spergiurato occorressero.

Quindi, ci si sarebbe dovuti spremere le meningi per farci venire delle idee, anche le più balzane, per spendere quei soldi: per esempio, studiando qualche sorta di ornamento da appendere sul cancello di ingresso, allestendo un giardino fiorito presso la casa del comandante della base o, ancora, predisponendo il condizionamento d’aria delle latrine.

I nostri funzionari, così come i  dirigenti civili, sarebbero stati entusiasti ogni qualvolta qualcuno di noi fosse arrivato con un’idea brillante per dissipare i fondi rimanenti, perché, in tal modo, avremmo potuto procedere con la presentazione di un bilancio che rivendicasse la concessione di ancora  più soldi rispetto a prima.

Poi c’erano tutti quegli strani periodi di lavoro straordinario durante il mese di gennaio, a fronte dei quali eravamo obbligati a restare in ufficio ben oltre il consueto orario di lavoro, ma senza avere la benché minima idea di cosa si dovesse fare. Ho così potuto notare che, in questo periodo, tutti gli ingegneri civili e il personale avrebbero trascorso le loro giornate a leggere il Washington Post, il Wall Street Journal e altri giornali, per poi tornare solo dopo cena a svolgere un lavoro serio.
Che cosa stava succedendo? Una volta ho provato a chiederlo a uno dei graduati. “Ciao!” disse senza esitazione. “In quale altro modo dovremmo ripagarci i nostri bagordi natalizi?” Ecco, quindi!

Molti mesi più tardi, maturai quella breve esperienza nell’amministrazione civile, lavorando presso il Dipartimento della Pubblica Istruzione, tra i membri fondatori del Consiglio del Jacob Javits Graduate Fellowship. Allora, il Segretario della Pubblica Istruzione, William Bennett, riunì un comitato, composto dalla maggior parte  di reaganiani, per sviluppare questo progetto – che, tra l’altro era stato approvato da un Congresso democratico. Per inciso, come sono riuscito ad accedere a questo incarico, è una storia a sé stante, ma non è questo il luogo più adatto per raccontarlo.

Dopo un  paio di anni che stavo seguendo il programma, notai che i membri del consiglio si stavano irritando per ottenere più soldi. Questo non era il nostro lavoro, naturalmente. Spettava al  Congresso  aumentare il budget del programma; e stava a noi amministrarlo. Ma, proprio come accade per tanti progetti governativi, chi arriva a farli funzionare sposa entrambi i ruoli, semplicemente perché, beh, è la loro creatura.

Così, nell’autunno del 1986, parecchi consiglieri proposero di mandare una lettera al Congresso, chiedendo che il nostro budget potesse essere alzato. Fui l’unico strenuo oppositore dell’iniziativa, e sostanzialmente per ragioni di principio: sostenni che fosse assurdo “far vedere i sorci verdi” ai contribuenti,  gravandoli di ulteriori, nuovi oneri, ancora più di quanto questi già fossero costretti a fare. In generale, però, la mia obiezione fu respinta, nemmeno fosse  quella di un “burocrate Neanderthaliano”. Ci mancherebbe altro!

Quindi, dopo pranzo passammo alle votazioni per decidere se inviare o meno questa lettera al Congresso. Nel frattempo, durante la pausa, avevo sentito alla radio che il premio Nobel per l’economia era stato conferito a James Buchanan, per i suoi studi nell’elaborazione dell’ormai famosa “Teoria della scelta pubblica”, in ordine all’analisi delle politiche pubbliche.

Questa teoria sostiene, tra le altre cose, che le burocrazie tendono a perpetuare se stesse, non certo perché i burocrati si preoccupano dell’interesse pubblico o di qualsiasi altra che possa essergli assimilata, ma semplicemente perché, così facendo, non solo riescono a far sembrare importante il loro lavoro, ma legittimano anche la loro funzione. Le burocrazie, proprio come le imprese private, tendono a massimizzare, a loro modo, i profitti; se si eccettua il piccolo particolare che le prime sono, però, completamente manchevoli di vincoli di bilancio più o meno stringenti, capaci di porre un freno alle attività avventate e pazze, volte a dissipare soldi. Questo perché, sostanzialmente, le burocrazie possono sempre estorcere i soldi ai cittadini, che sono del tutto  impotenti quando si tratta di opporsi al finanziamento dei fondi,  a prescindere dal caso di specie.

Orbene, quando riprendemmo i lavori nel corso del pomeriggio, informai il Consiglio  che James Buchanan era stato insignito del Premio Nobel, ed esposi ai presentila Teoria della Scelta Pubblica, con diretto riferimento a ciò che stavano per fare, vale a dire, sollecitare il Congresso per ottenere più soldi per il nostro programma. E giusto per una volta, un Consiglio governativo non presentò al Congresso, come prima cosa, che l’innalzamento del proprio budget sarebbe stata  la scelta più naturale e giusta da perseguire. La lettera in proposta, così, non fu inviata, almeno fino a che il mio il mio rinnovo della carica, un anno più tardi, non venne respinto.

Se tutta questa roba succede normalmente in tempo di pace, quando non si registra alcun tipo di presunta emergenza nazionale, che pende come una spada di Damocle sopra le nostre teste e che è capace di fornire ai burocrati un pretesto straordinario, immaginatevi cosa può succedere dopo un evento straordinario come l’11 settembre!

C’è forse da meravigliarsi che sotto la guida di una presunta amministrazione di Conservatori – asserita nemesi della politica di tax-and-spending dei liberal- democratici al governo –  si stia ora assistendo ad una proliferazione della spesa per ogni tipologia di budget burocratico, nonché alla creazione di nuovi progetti federali e persino di agenzie federali?

Se volete capirne in motivi, leggetevi il testo di Jim Buchanan e Gordon Tullock, Il calcolo del consenso, Fondamenti logici della democrazia costituzionale (1961). (E poi, in seguito, date una lettura anche al libro Crisis and Leviathan [1987] di Robert Higgs, per scoprire gli effetti dopanti che l’interventismo statale provoca in un Paese che si suppone esser libero).

Nonostante la sua prosa un po’ troppo tecnica, Il calcolo del consenso sviscera ciò che, in buona sostanza, si configura come una tesi di buon senso: se si riescono ad ottenere dei soldi “a buon mercato”, senza troppi sforzi, i funzionari pubblici faranno di tutto per adeguare la loro condotta a quell’incentivo; a nulla rilevando i loro presunti impegni a favore del servizio pubblico, il loro giuramento all’incarico o che altro!

Sì, magari ci possono anche essere dei momenti in cui la richiesta di più soldi, da conferirsi al governo, sia giustificabile, ma nel complesso, guardatevi bene alle spalle, perché lo Stato, a nulla rilevando i motivi – pretenderà e vi arrafferà sempre più soldi, in qualsiasi momento, a prescindere se di pace o di guerra, nei periodi di benessere come nella crisi, di notte e di giorno.

Articolo di Tibor R. Machan su Mises.org

 

*Link all’originale: http://vonmises.it/2012/05/16/lo-stato-una-macchina-di-saccheggio/

Traduzione di Christian Merlo

 

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Showing 2 comments
  • Drago78

    Ah dimenticavo… per le latrine era previsto anche l’asse in oro massiccio, oltre che il condizionamento?? Come diceva Carlo Zucchi “più gliene dai e più ne’ magnano!!” … appunto XD

  • Drago78

    Cavoli… la testimonianza in diretta di cosa significa lo stato… uno spreco continuo, spregiudicato, irrispettoso di denaro pubblico, drenato continuamente dalle mammelle statali stracolme di denari a loro volta drenati dai cittadini schiavizzati fiscalmente. Almeno in america è meno peggio che qua da noi… la tassazione complessiva è al 30% piatta. Ma Mr. Obama (abbronzato men XD), pensava già di aumentarle per i ricconi brutti e cattivi. L’abbiamo scampata… per ora. Monti ieri ad Equimerda in visita si è dilettato in una recitazione degna dell’oscar come migliore parte da attore non protagonista, riuscendo a difendere l’indifendibile, e dicendo nefandezze da peggio dei tempi dell’URSS: “Attaccare Equitalia, significa attaccare lo stato… una cosa inaccettabile…”, si Montiello di Montalcino, ma schiavizzare i conbribuenti ad oltre il 70% di tasse è accettabile invece giusto?? Lasciare i cittadini al proprio destino facendoli ammazzare (per me è omicidio di stato, lo stato ne è responsabile ed andrebbe perseguito per legge…) è invece accettabile giusto?? Spalare merda e la sciare che si continui a spalare sui ricchi, sui lavoratori autonomi definendoli evasori e ladri è invece accettabile giusto?? Che faccia di bronzo proprio, senza vergogna nè pietà, proprio come un robot… appunto, senza sentimenti nè nulla. Mi ricordo che nell’URSS era vietato vendere o possedere Chewin gum, si le gomme da masticare avete capito quelle lì… mi ricordo che tempo fa mio padre me lo raccontò, che era andato in viaggio per lavoro in Russia ed aveva fatto amicizia con una famiglia (all’epoca non esistevano gli Hotel di gran lusso, per stranieri sorti solo dopo la caduta del muro per i neo affari dall’occidente verso oriente…), dove aveva alloggiato, ed al suo ritorno nel bel paese aveva pensato bene di portare in regalo qualche cosa occidentale che nel comunismo non si trovava, tra cui la gomma da masticare e caramella per i bambini della famigliola… ecco dopo due mesi li è tornato in dietro il pacco, con un biglietto autografato neinte di meno che dalla polizia segreta che ovviamente l’aveva esaminato e c’era scritto: “pacco rispedito per presenta illegale di chewin gum al suo interno…”. La cosa ha del patetico e riluttante, tendente all’imbarazzante decisamente. Ebbene oggi è vietato non pagare le tasse… la cosa è più o meno simile perchè “è un dovere…” come dice il prodigo Montiano… si ma secondo me è un dovere anche mandarvi a quel paese quando necessario. Saluti.

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