In Anti & Politica

DI THOMAS J. DILORENZO*

Durante un recente dibattito con Harry Jaffa inerente al tema del mio libro, The Real Lincoln, Jaffa ha invocato la mitologia che ammanta la figura dello stesso Lincoln, per dichiarare che l’11 settembre “dimostra” più che mai la necessità di un forte governo federale.Non ho potuto far altro che sostenere che è vero proprio  il contrario: l’11 settembre ha decretato il fallimento spettacolare dell’FBI, della CIA, dell’Agenzia di Stampa (INS), dell’Agenzia del Dipartimento dei Trasporti (FAA), del Dipartimento della Difesa. Anzi, dell’intero governo federale nell’eseguire ciò che lo stesso rivendica come la sua funzione essenziale e costitutiva: proteggere i cittadini americani dagli aggressori stranieri. Di fatto, il governo federale ci costa ancora in termini di un’effettiva sicurezza aerea, poiché vieta ai piloti di aerei, molti dei quali hanno esperienza militare, di armarsi per proteggere i passeggeri e l’equipaggio.

Ancora più importante, tali fallimenti sono congeniti e fisiologici, a prescindere dal numero di nuove burocrazie che possono essere costituite: le cose non miglioreranno di certo. Il fallimento dello Stato e delle sue burocrazie fa parte del normale corso degli eventi.
Le proposte del governo per “abolire” la INS e sostituirla con due nuove burocrazie, nonché il  “consolidamento” delle otto agenzie di “sicurezza nazionale” in un unico, pachidermico “Dipartimento di Sicurezza di Stato”,  costituiscono il classico tentativo, destinato al fallimento, di salvare il salvabile.

Le burocrazie statali falliscono sempre nel tener fede alle loro promesse perché non sono istituzioni del mercato. Ed in quanto tali, non vi è alcun modo per accertare il livello di efficienza con il quale stanno operando, proprio perché nei settori gestiti dallo Stato non esistono rendiconti valutativi volti a misurare i profitti e le perdite, ma esistono solamente dei “budget”.
L’importo ascrivibile al budget  di una burocrazia non ha nulla a che vedere con la capacità di questa di soddisfare i bisogni dei consumatori, poiché non vi sono consumatori, nel senso proprio che l’accezione riveste nell’ambito di un mercato del settore privato. Al contrario, le cifre messe a budget sono determinate esclusivamente da regole burocratiche arbitrarie e dalla politica.
Così , pure, come sono arbitrarie anche le decisioni di spesa, nell’ambito di una burocrazia, come ha ben spiegato Mises nel suo capolavoro Burocrazia, scritto nel 1944. Non riscontrandosi utili o perdite, non possono pertanto prodursi i necessari feedback tra produttore e consumatore. Questo diventa particolarmente evidente nelle rarissime occasioni in cui una burocrazia ha la necessità di tagliare le sue spese. Non vi è alcuno strumento per ponderare e valutare il contributo relativo dei vari fattori produttivi impiegati, capitale o lavoro, o la rispondenza dei vari output. Sono solo congetture.

Perché non vi è posto per alcun calcolo economico razionale, la politica si precipita a riempire il vuoto. Ed in politica, il fallimento diventa successo. Di regola, quanto peggiori sono i risultati di una burocrazia statale, tanti più soldi le vengono stanziati. I budget di tutte le agenzie federali di “sicurezza nazionale” sono saliti alle stelle negli ultimi sei mesi proprio … in virtù dei loro fallimenti spettacolari.
Il budget della NASA è cresciuto a dismisura dopo che è esplosa una navetta spaziale; quanto più si affossano le performance delle scuole pubbliche,  tanto più  queste riceveranno degli stanziamenti; la guerra alla droga è un fallimento che, di anno in anno, diventa sempre più abissale, il che garantisce che per essa spenderemo, invariabilmente, sempre più soldi; ma la lista è infinita. Questo è esattamente l’opposto di quello che avviene nel libero mercato, dove viene contestualmente premiato sia il successo nel soddisfare i bisogni dei consumatori, che sanzionato il suo fallimento.

Tutte le burocrazie statali hanno forti incentivi a crescere, a prescindere dal fatto che tale crescita serva davvero al pubblico. Ogni burocrate è, di per sé, un “costruttore di imperi”, perché è così che egli avanza nella sua carriera. Il percorso che conduce alla promozione nella gestione di una burocrazia più grande e meglio retribuita è appunto quello di dimostrare che si può “gestire” un sempre maggior numero di persone.

E poiché non vi sono né profitti, né azionisti nell’ambito degli apparati statali, i burocrati “profittano” di persona dell’attività di  spendere i dollari dei contribuenti, “impiegandoli” munificamente in una serie di indennità accessorie e supplementari – uno staff numeroso, viaggi, uffici, ecc.  Quindi, ci sono degli incentivi intrinseci volti alla massimizzazione del numero dei burocrati subordinati, indipendentemente da ciò che questo possa significare per il servizio pubblico. La massimizzazione dei costi si configura come la cifra distintiva di tutte le burocrazie statali, in netta antitesi alla minimizzazione dei costi che contraddistingue l’intrapresa privata, nei mercati competitivi. Per non parlare della qualità notoriamente scadente di tutti i “servizi pubblici” forniti dallo Stato in regime di monopolio.

Dal momento che il benessere dei consumatori non può essere la stella polare che guida il processo decisionale di chi ci governa, le decisioni non potranno che essere basate su montagne di regole bizantine, su una massa sconfinata di regolamenti e sulle lungaggini burocratiche. Come ha scritto Mises in Human Action, “ogni volta che il funzionamento di un sistema non è regolato dal profitto, deve essere diretto da regole burocratiche”. Questo, naturalmente, è fondamentalmente in conflitto con la gestione di un’impresa efficiente e produttiva.

Questa legge di ferro della burocrazia postula che nessuna burocrazia statale possa mai essere gestita e condotta secondo sani criteri di efficienza.

Nel suo libro del 1966, Inside Bureaucracy, Anthony Downs ha sviluppato una serie di osservazioni generali in ordine alla natura del fenomeno burocratico,  le quali aiutano ad illustrare la sua caratterizzante inutilità. Ecco, di seguito, dei piccoli esempi:

  • Nessuno può controllare completamente il comportamento di una grande burocrazia. Quanto più grande essa diventa, tanto più limitato sarà il coordinamento tra le azioni. Questo vale, ad esempio, per la presunta “efficienza” di una consolidata, gigantesca agenzia burocratica di “sicurezza nazionale”.
  • Ogni tentativo di controllare una grande burocrazia tende a generarne un’altra. (Un caso paradigmatico: si desidera abolire  l’agenzia INS  per sostituirla con due nuove burocrazie).
  • Quanto maggiore è lo sforzo compiuto dai dirigenti della burocrazia per controllare i loro subordinati, tanto maggiori saranno gli sforzi compiuti da questi per eludere il controllo.
  • Tutti i burocrati sviluppano una forte fedeltà all’organizzazione, al contrario dei “consumatori” che intendono servire, dato che essa costituisce la fonte ultima della loro sicurezza di impiego e di avanzamento. Ecco, quindi, spiegate tutte le notizie di “insabbiamento” dei loro errori e dei loro fallimenti, provenienti dalla Casa Bianca, dalla FBI e dalla CIA negli ultimi mesi.
  • Come una burocrazia cresce, il livello di talento inizialmente aumenta e poi tende a declinare. Washington è una città di peones.
  • Come le burocrazie tendono ad “invecchiare”,  i loro alti funzionari sono più impegnati ad assicurare la crescita delle dotazioni finanziarie intercettabili dall’organizzazione, piuttosto che ad assolvere le “funzioni sociali” che a questa competerebbero. Ciò significa avere a che fare, inesorabilmente, con dei “doppiogiochisti”.
  • Ogni burocrate tende a distorcere le informazioni che veicola verso l’alto nella gerarchia, esagerando i dati che possono tornare a lui favorevoli, e ignorando invece quelli che potrebbero risultargli critici. Egli, per di più, tende anche a dire ai suoi superiori solo ciò che egli pensa che essi vogliano sentirsi dire, il che non necessariamente è sempre coerente con la realtà. E noi pensiamo di poter contare su queste persone per proteggerci dai terroristi!
  • Ogni burocrate tenderà a conformarsi a quelli direttive, emanate dai suoi superiori, che sono in grado di servire al meglio i suoi personalissimi interessi, e cercherà contestualmente di sovvertire quelle che vanno, invece, in direzione opposta.
  • In ogni grande burocrazia, una quantità significativa di ciò che accade è del tutto estraneo e sganciato dalle finalità perseguite dalla medesima.
  • Al crescere di ogni burocrazia, la percentuale di attività che “investono” nello spreco aumenta costantemente. Ovviamente, si tratta solamente dei soldi dei contribuenti…
  • Quanto più grande è una burocrazia, tanto la stessa sarà più refrattaria a qualsiasi cambiamento. Ovviamente, verrebbe da dire: non ci sono le pressioni competitive del mercato.
  • Ogni burocrate è un fiero sostenitore della causa che mira all’espansione della sua organizzazione. I governanti, a tutti i livelli, spendono miliardi di dollari ogni anno nel tentativo di ingannare l’opinione pubblica, cercando di farle credere che i loro fallimenti siano in realtà dei successi assoluti.

Ci sono burocrazie anche nel settore privato, naturalmente, ma le inefficienze della burocrazia aziendale sono irreggimentate dalle pressioni  dei consumatori e da quelle del mercato azionario, dalle dinamiche inerenti al controllo societario, dalla competizione che caratterizza il mercato del lavoro nella sua gestione, e dalla concorrenza del libero mercato in generale. Nell’ambito statale non esiste alcuna disciplina similare o assimilabile; lì, i fallimenti della burocrazia continuano ad essere perversamente premiati.

In sintesi, le promesse incessanti da parte di politici di Washington volte a “predominare”, “razionalizzare” o “coordinare” la burocrazia non devono essere prese sul serio, ma proprio da nessuno.

 

Articolo di Thomas J. DiLorenzo su Mises.org

 

 

*Link all’originale: http://vonmises.it/2012/06/08/la-palese-inutilita-della-burocrazia/

Traduzione di Christian Merlo

 

 

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Comments
  • CARLO BUTTI

    Il crescere delle burocrazie nei moderni imperi, si chiamino Stati Unitti d’America o Unione Europea per rimanere ai modelli che meglio conosciamo, mi fanno pensare alle vicende dell’Impero romano nella fase del suo declino. Diocleziano mise a punto una riforma vasta e articolata dell’apparato burocratico imperiale, in tutti i campi, da quello economico a quello finanziario, a quello militare a quello religioso. Pochi anni dopo il suo ritiro a Spalato per godesi in pace, da privato cittadino, il frutto delle sue riforme, potè contemplare soltanto lo sfascio del sistema: inflazione alle stelle, crisi economica, ripresa delle lotte dinastiche, delegittimazione del potere imperiale per la diffusione del verbo cristiano, a dispetto delle persecuzioni. Ho l’impressione che, come gli eventi del 1989 segnarono l’implosione del sistema sovietico e il crollo dell’utopia comunista (che qualche beota, mal rimasticando Hegel, salutò come la “fine della Storia”) così le vicende che ora viviamo stiano per preparare il crollo non del capitalismo in sé, ma del brutto capitalismo che abbiamo costruito nel corso del Novecento: un libero mercato rigorosamente circoscritto, sotto il controllo sempre più pervasivo dell’apparato burocratico pubblico, alla mercé di un sistema bancario monopolistico e truffaldino. Marx è morto e Keynes sta tirando le cuoia. In pace requiescant. Ma dopo? Quale piega prenderà la Storia? C’è qualcuno che sogna il ritorno agli staterelli piccinini piccinini, una sorta di nuovo sistema feudale dove ogni comunità si stringe intorno al suo castello a coltivare i suoi campicelli, magari coi metodi “bio”, dimenticando l’inglese e ripristinando i dialetti. Che bel quadretto: ET IN ARCADIA EGO… Tanti auguri!

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