In Economia

DI ROBERTO PORCU’*

Questa è la storiella di uno scienziato che prende una pulce, la pone sul tavolo, batte le mani, la pulce salta e lui ne prende nota sul taccuino. Con una pinzetta, prima le strappa una zampetta, poi torna a riporla sul tavolo, batte le mani, la pulce salta ancora e lui lo annota sul taccuino. Ripete ancora queste operazioni, strappando di volta in volta una nuova zampetta, la pulce salta sempre e lui sempre annota. Quando arriva a strapparle l’ultima, al battito delle mani la pulce non salta, allora scrive che ”privata dell’ultima zampetta la pulce non sente” e conclude la sua ricerca con la documentazione, sperimentata e da chiunque ripetibile, che la pulce ha nelle zampette l’organo dell’udito.

Avevo già premesso nel titolo che questa è la storiella dello scienziato scemo. Ma ci sono degli eminenti statisti (o economisti) che ad ogni finanziaria sperimentano l’economia strappando di volta in volta una zampetta alle piccole imprese italiane. Alle volte con la pinzetta dello “Stato sociale”, altre con quella dell’amore per “l’ecologia”, oppure “della sicurezza sul lavoro”… la fantasia è tanta e, se non bastasse, c’è sempre l’Europa, per entrarci, perché dobbiamo adeguarci, per lo spred.

Quando sul tavolo dell’economia globale ripongono le piccole imprese, queste saltano, ed essi felici annotano nei taccuini dei grandi telegiornali “che l’economia è in ripresa e che il made in Italy tira sempre”. Troppo difficile è per loro immaginare che le pulci italiane siano, per disperazione, così caparbie da saltare ugualmente anche se private di parte delle zampette, no, qui è il sistema Paese, l’aria dell’Italy giuliva che agevola i salti. Quando, private dell’ultima zampetta, le imprese italiane proprio a saltare non ce la fanno più, la deduzione scientifica che ne traggono è: “Perché gli imprenditori non hanno fatto quegli investimenti che andavano fatti”.  Senza che mai nessuno osi chiedere loro con che soldi andavano fatti quei maledetti investimenti, quando il Leviatano divora tutto e falsa i dati dell’economia imponendo alle aziende bilanci non reali, detti appunto “bilanci fiscali” nei quali sono considerati utili di esercizio tassabili, spese specifiche sostenute per il funzionamento delle aziende ed una infinità di incombenze varie rese “obbligatorie”.

Già, questi io li ho sempre chiamati gli “statisti scemi” (che dite, che abbiano da offendersi?) e recentemente una ministra se ne è uscita con il chiedere alle imprese opportuni investimenti, per innescare una fantomatica ripresa, fingendo di ignorare ché il socio occulto stato (quello che la tiene a libro paga) pretende i suoi dividendi senza lavorare, e anticipatamente, ché le banche sono troppo invogliate a prestare soldi a lui da rimanergliene per finanziare il sistema produttivo e ché quelle imprese alle quali è oggi rimasto un minimo di liquidità, la usano per andarsene avendo perso ogni speranza nell’Italia.

Ecco, anche nel caso di costei, pensate abbia ad offendersi chiamandola “statista scema”?

 

*Link all’originale: http://www.lindipendenza.com/scienziati-statisti-scemi/

 

 

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