In Anti & Politica, Economia

di GIOVANNI BIRINDELLI

La vicenda MPS ha ringalluzzito coloro che ritengono che il problema principale del sistema bancario sia la presenza dei partiti politici negli organi che controllano le banche (generalmente le fondazioni). In un recente articolo, per esempio, Marco Travaglio invita Napolitano a lanciare “un bel monito ai politici perché escano dalle banche (e dalle fondazioni) con le mani alzate e tornino a fare il loro mestiere: che, sulle banche, è quello dell’arbitro, non del giocatore”.

Le ragioni per cui ai partiti politici debba essere impedito con la forza di partecipare al controllo delle banche sono ovvie e non è mia intenzione discuterle. Quello che invece credo che valga la pena discutere è l’idea, che mi sembra implicita nelle parole di Travaglio, secondo cui questo basterebbe perché le banche operino in un sistema di libero mercato. Non è così. Il problema di gran lunga maggiore del sistema bancario non è che i partiti controllano le banche, ma che esse (tutte) operano al di fuori delle regole del libero mercato e quindi che la loro attività, per quanto generalmente legale (cioè rispettosa della ‘legge’ intesa come provvedimento particolare, come strumento di potere), è in gran parte illegittima (cioè viola la legge intesa come principio generale e astratto, come limite al potere). In altri termini, il problema principale del sistema bancario sta nel fatto che lo Stato, grazie all’idea di ‘legge’ oggi prevalente (il positivismo giuridico imposto dalla nostra costituzione), ha concesso alle banche un particolare privilegio: quello di operare in regime di riserva frazionaria. Nel momento in cui si togliesse questo privilegio, i partiti uscirebbero dalle banche alla velocità del fulmine (anche senza ildovuto ricorso alla coercizione) in quanto le banche diventerebbero un’attività imprenditoriale come tutte le altre. Tuttavia, finché non si toglie quel privilegio, che i partiti controllino le banche o meno, i legami fra Stato e banche continueranno a esserci come ci sono sempre stati da quando è stato legalizzato il regime di riserva frazionaria (anche in assenza di controllo delle banche da parte del potere politico) e le banche continueranno a non operare in regime di libero mercato.

Gli effetti economici di questo particolare privilegio sono devastanti ma, visto che i giornalisti sedicenti ‘liberali’ generalmente non sanno cosa sia il libero mercato e quindi non conoscono questi effetti, questi ultimi rimangono sconosciuti a molte persone.

Il regime di riserva frazionaria consente alle banche di creare credito (e quindi denaro) dal nulla. Se Tizio deposita 1.000 euro nella banca A, questa oggi è tenuta a trattenere solo una determinata percentuale (poniamo l’1%, cioè 10 euro) e può prestare il rimanente 99% a Caio. Se Caio deposita questo prestito nella banca B, quest’ultima dovrà, a sua volta, trattenere solo l’1% della somma depositata e potrà prestare a Sempronio il rimanente 99%. E così via fino a che i 1.000 euro iniziali non avranno consentito al sistema bancario nel suo complesso di produrre 99.000 euro di credito (e quindi di denaro) finto, creato dal nulla (senza che cioè alle sue spalle ci sia del risparmio). Questo meccanismo è illegittimo in quanto consiste in appropriazione indebita. Se Tizio prestasse i suoi 1.000 euro alla banca A egli rinuncerebbe alla disponibilità di quei 1.000 euro. Questa disponibilità verrebbe trasferita alla banca A, che dovrebbe compensare Tizio con un tasso d’interesse: in questo caso non ci sarebbe nessun problema. Ma, depositando (e non prestando) i suoi 1.000 euro presso la banca A, Tizio non rinuncia alla loro disponibilità: egli li deposita presso la banca per avere determinati servizi di custodia, di sicurezza, di pagamento, ecc. (oggi egli è addirittura obbligato dallo Stato a depositarli in banca, non potendo pagare in contanti sopra una cifra che sembra destinata a ridursi sempre di più) ma il giorno dopo li può usare per comprare una bicicletta.

Il problema è che, nel momento in cui la banca A presta a Caio il 99% di quei 1.000 euro, essa trasferisce la disponibilità di quei soldi a Caio. Quindi, grazie al meccanismo della riserva frazionaria, Tizio e Caio hanno contemporaneamente la ‘disponibilità’ sugli stessi soldi (più precisamente, Caio ha la disponibilità sul 99% dei soldi di Tizio). Questo significa che se un giorno Caio li usa per comprarsi un paio di sci e il giorno dopo Tizio li vuole usare per comprare una bicicletta (oppure, caso più realistico, se un giorno a seguito del venir meno della fiducia dei vari ‘Tizi’ nella capacità delle banche di restituire loro i soldi depositati, questi si presentano contemporaneamente allo sportello per chiedere i loro 1.000 euro), Tizio con molta probabilità scoprirà che i suoi soldi non ci sono: la banca A se ne è appropriata per prestarli a Caio e guadagnarci un tasso d’interesse. Quindi, come Jesús Huerta de Soto dimostra ampiamente nel suo capolavoro Money, Bank Credit and Economic Cycles sia sotto il profilo logico-giuridico che sotto quello storico, “un qualunque uso di questo denaro [quello depositato presso le banche e non prestato, n.d.r.], in particolare per fare prestiti, … è un atto di appropriazione indebita”.  In un lontano passato, quando la legge era considerata un principio generale e astratto da scoprire, custodire e difendere (e non un provvedimento particolare da decidere), questo crimine era considerato gravissimo (in alcuni casi veniva punito addirittura con la decapitazione), tant’è che le banche inizialmente lo compivano di nascosto e vergognandosene. Oggi che la ‘legge’ è diventata la decisione arbitraria del politicamente più forte, il meccanismo della riserva frazionaria non è più un reato: mentre l’appropriazione indebita viene generalmente vietata, alle banche è stato concesso il privilegio di poter commettere questo crimine legalmente.

Il vantaggio che le banche derivano dal crimine della riserva frazionaria (e ancora di più da quello dell’impedimento dell’uso del contante che certi cialtroni auspicano e difendono) è chiaro: esse possono caricare interessi su una montagna di credito generato dal nulla. Gli Stati hanno concesso questo privilegio alle banche in cambio della possibilità (spesso tacita) di poter avere accesso a parte di quella montagna di denaro creato dal nulla per finanziarsi. Gli effetti economici della riserva frazionaria sono quelli della manipolazione monetaria e del credito: un periodo di boom economico seguitonecessariamente dalla crisi e, prima o poi, dalla catastrofe. La riserva frazionaria infatti consente di aumentare la quantità di credito disponibile senza aumentare il tasso d’interesse (e quindi di mantenere un tasso d’interesse artificialmente basso): questo segnala la disponibilità di risparmi che in effetti non ci sono. Sulla base di queste informazioni false verranno fatti investimenti sbagliati, sia per quantità che per tipologia. Quando l’errore di queste informazioni si manifesta, il castello di carta crolla, lasciando dietro di se miseria e le macerie di una struttura produttiva de-sviluppata. Questa miseria e queste macerie che saranno tanto peggiori e dureranno tanto più a lungo quanto più a lungo sarà durata la manipolazione monetaria e del credito e quanto più regolamentati sono l’economia in generale e il cosiddetto ‘mercato’ del lavoro in particolare.

La riserva frazionaria, che rende possibile alle banche di svolgere legalmente un’attività criminale molto profittevole, rende così il sistema economico strutturalmente instabile e cioè necessariamente esposto a cicli economici di boom e crisi. È per far fronte a questa instabilità strutturaleprodotta dalla riserva frazionaria che è stato necessario istituire le banche centrali (i prestatori di ultima istanza, gli stampatori di denaro che, per evitare il collasso del sistema, potessero andare in soccorso delle banche nei momenti di crisi trasferendo sulla gran parte dei cittadini, mediante la perdita del potere d’acquisto della moneta imposta col corso forzoso e di ciò che ne consegue, il costo di questo salvataggio e cioè del privilegio che lo ha reso necessario). Quindi se un monito sul sistema bancario ci deve essere, ma non da parte di un presidente comunista che di privilegi ne sa qualcosa, ma da parte delle persone intellettualmente libere, è che venga abolito il privilegio della riserva frazionaria. Ristabilendo la distinzione fra prestito (in cui si rinuncia a beni presenti per beni futuri) e deposito (in cui non si rinuncia a beni presenti per beni futuri), occorre:

  1. per i depositi, che le banche siano obbligate a mantenere il 100% di liquidità (il che da un lato rende inutili le banche centrali, le quali quindi potrebbero essere chiuse, e, dall’altro, implica che le banche commerciali vengano pagate dai depositanti per i loro servizi di custodia e non che esse corrispondano ai depositanti un tasso d’interesse, per quanto misero);
  2. per i prestiti, che le banche ricevano prestiti da privati (pagando un tasso d’interesse) e a loro volta li facciano ad altri (caricando un tasso d’interesse maggiore) come avveniva in origine. Faccio notare che oggi, a seguito della contrazione del credito prodotta dalla crisi e grazie a internet, questa attività comincia ad avvenire di nuovo nei prestiti fra privati attraverso un intermediario (si vedano operatori come Smartika per esempio).

Riagganciando i prestiti (e quindi gli investimenti) ai risparmi si restaurerebbe un pezzo di legge (si abolirebbe un privilegio) e si eliminerebbe la possibilità stessa delle crisi economiche cicliche come quella che stiamo vivendo. In altre parole si introdurrebbe un pezzo di libero mercato nel settore bancario, libero mercato che oggi non c’è e che non ci sarebbe nemmeno se i partiti uscissero dalle banche. Dico “un pezzo” di libero mercato perché il libero mercato (cioè la sovranità della legge intesa come principio generale e astratto) implica non solo l’abolizione ma l’impossibilità di tutti i privilegi: dal corso forzoso della moneta alla regolamentazione dei ‘mercati’ del lavoro e degli affitti immobiliari; dalla discriminazione fiscale (per esempio la progressività fiscale, la tobin tax, eccetera), alla redistribuzione delle risorse; dalla fissazione arbitraria del tasso d’interesse da parte delle banche centrali alle altre forme di fissazione dei prezzi; dal finanziamento pubblico dei partiti a quello dell’agricoltura, dell’editoria, dello sport, del cinema, del teatro, dell’università, e chi più ne ha più ne metta. Insomma, il libero mercato, implicando l’impossibilità di tutti i privilegi, implica l’impossibilità dell’interventismo economico da parte dello Stato in generale.

Perché l’abolizione di tutti i privilegi sia possibile, occorre passare dalla sovranità dei legislatori (chiunque essi siano) o del ‘popolo’, alla sovranità della legge la quale (non può essere mai ricordato abbastanza spesso), essendo il risultato di un processo spontaneo di selezione culturale di usi e convenzioni, è indipendente dalla volontà di coloro che la devono scoprire e difendere allo stesso modo in cui le regole di una lingua sono indipendenti dalla volontà di un gruppo di linguisti. Il problema non è chi comanda (se la maggioranza di Grillo, di Berlusconi, di Monti o di Bersani), ma l’idea di legge che limita il suo potere: oggi, grazie al positivismo giuridico imposto dalla nostra costituzione totalitaria, il potere politico (chiunque sia a detenerlo) è illimitato e la tragedia è che non c’è nessuno dei candidati in lizza che si ponga il problema di limitarlo. Ma per passare dal socialismo attuale alla società libera, occorrono persone (e anche giornalisti), che, nell’osservare e criticare la realtà che osservano, capiscano la differenza fra leggi e misure; fra potere legislativo (il potere di scoprire e difendere la legge intesa come principio generale e astratto) e potere politico (il potere di decidere un provvedimento particolare: non è il potere politico, ma il potere legislativo che deve fare l’arbitro); fra legittimità e legalità; fra libero mercato e socialismo. Occorrono cioè persone che non cerchino una soluzione ai problemi all’interno della stessa struttura totalitaria che li ha prodotti, ma che abbiano la capacità intellettuale (e il coraggio) di mettere in discussione quella struttura, di guardare a monte, di cercare le cause dei problemi, e non solo di osservare gli effetti.

Queste persone oggi si contano quasi sulle dita di una mano e Marco Travaglio non è una di esse, il che è evidente non solo nel modo in cui affronta i problemi del sistema bancario ma anche quando, sempre in buona compagnia, si scandalizza per il fatto che Berlusconi abbia fatto le sue quaranta e più ‘leggi’ ad personam ma non si scandalizza minimamente per il fatto che le abbia potute fare legalmente (anzi elogia la costituzione che ha reso possibile che ciò avvenisse); oppure quando condanna l’evasione fiscale a priori, cioè senza prima giudicare la legittimità (non la legalità) del sistema fiscale, la quale dipende non solo dal modo in cui sono prelevate le tasse (per esempio se nel rispetto dell’ uguaglianza davanti alla legge o meno, cioè con assenza o meno di disuguaglianza legale) ma anche da ciò che queste finanziano (per esempio il fatto che esse si limitino a finanziare lo Stato minimo o meno, comunque lo si voglia non arbitrariamente definire).

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Showing 39 comments
  • francesco

    Complimenti per la chiarezza espositiva, provare a spiegare questi fonadmentali concetti a persone come travaglio mi sembrerebbe tempo buttato, purtroppo lo capiranno “the hard way” quando il sistema come lo conosciamo oggi cesserà… Ancora un grazie da un sostenitore di Ron Paul

    • Giovanni Birindelli

      Grazie a lei per il suo commento, un saluto

  • charlybrown

    Come giustamente e acutamente fa osservare De Soto, qualunque azione condotta in violazione dei diritti di proprietà produce sempre anche effetti deleteri in termini economici.
    Infatti, se l’economia fosse un gioco a somma zero, come nel caso del furto, non si potrebbe in nessun caso produrre ricchezza. Il trasferimento forzoso della proprietà di qualcosa, oltre che essere un crimine, impedisce la cooperazione volontaria e quindi la possibilità di aumentare la ricchezza per tutti.
    La riserva frazionaria rappresenta in modo esemplare questo concetto.
    La riserva frazionaria è contraria alla Legge, in quanto viola i diritti di proprietà.
    Lo fa in quanto produce moneta ex nihilo.
    Supponiamo che un art. del codice civile stabilisse quanto segue: E’ concessa la facoltà alle banche di emettere banconote per un importo pari al 90% dei depositi giacenti in cassa.
    Ai fini pratici nulla cambierebbe rispetto alla situazione attuale, tuttavia, non saremmo forse tutti d’accordo nel definire questo “creazione di moneta ex nihilo”?
    Ora, se la creazione di moneta ex nihilo non è un crimine, in quanto non viola alcun diritto di proprietà, perché dovrebbe essere concessa solo alle banche e non a tutti?
    La risposta è ovvia, tempo una settimana e la moneta non avrebbe più alcun valore.
    Quindi deve essere un privilegio concesso a pochi, inevitabilmente a danno di tutti gli altri. In questo caso a danno di tutti i possessori di moneta che subiscono un furto sotto forma di inflazione.
    Come per tutti gli altri casi di furto, dobbiamo aspettarci che abbia anche conseguenze negative in termini economici.
    Gli effetti negativi sono facilmente immaginabili considerando che:
    – La creazione di credito simula l’aumento dei risparmi disponibili a abbassa il tasso di interesse.
    – L’aumento dei risparmi disponibili simula la diminuzione dei consumi.
    – L’apparente diminuzione dei consumi induce a ritenere produttivi investimenti in beni capitali di ordine superiore e con estesa durata, contando sui bassi tassi di interesse.
    – In realtà il consumo non è affatto diminuito e presto emerge una acuta competizione per le limitate risorse materiali e di mano d’opera che ne fa aumentare il prezzo, vanificando le previsioni di remuneratività.
    – Molti progetti si rivelano insostenibili e devono essere abbandonati.
    – Da una prima fase di euforia si passa alla crisi (boom and bust).
    – Nel corso del processo preziose risorse materiali vengono sprecate e ciò impoverisce la società.
    – Tutto ciò si può evitare esclusivamente attraverso la creazione di nuovo credito ex nihilo.
    – Il processo ha quindi solo due possibili scenari: l’alternarsi costante di boom e recessioni; oppure la creazione illimitata di moneta fino alla distruzione del sistema monetario.
    – Nel primo caso si ha un costante spreco degli scarsi beni capitali che danneggia gravemente tutta la società, a solo vantaggio delle banche, nel secondo Weimar o Zimbabwe.

  • Giovanni Birindelli

    La manipolazione monetaria e del credito, secondo la stessa definizione di Hayek, consiste in tre cose: 1) stampa di moneta da parte delle banche centrali, 2) fissazione arbitraria del tasso d’interesse da parte delle banche centrali, 3) riserva frazionaria. Tutte e tre queste cose producono un tasso di interesse più basso rispetto a quello di mercato, e quindi segnalano risparmi che non ci sono. Questa è la causa prima del ciclo economico che, in assenza di banche centrali, porta necessariamente a una corsa agli sportelli. Quindi, per rispondere alla sua prima domanda, l’esistenza di un ente statale (la banca centrale) che può aumentare a suo piacimento la base monetaria HA qualcosa a che fare con quella SOLA causa a cui mi riferisco, in quanto quella causa, la manipolazione monetaria e del credito, è costituita da tutte e tre le cose.

    Poi, in questa sua seconda citazione di Hayek viene fuori esattamente quello che le ho detto nell’ultimo commento: Hayek si riferisce ai problemi strutturali (cioè alla possibilità di manipolazione monetaria e del credito), non alla policy delle banche. Se ha dei dubbi sul fatto che secondo Hayek la riserva frazionaria sia causa del ciclo economico, le riporto una citazione tratta dallo stesso testo da cui ha preso la sua (testo che evidentemente non ha capito):

    “By creating additional credits in response to an increased demand, and thus opening up new possibilities of improving and extending production, the banks ensure that impulses towards expansion of the productive apparatus shall not be so immediately and insuperably balked by a rise of interest rates as they would be if progress were limited by the slow increase in the flow of savings. But this same policy stultifies the automatic mechanism of adjustment which keeps the various parts of the system in equilibrium, and makes possible disproportionate developments which must, sooner or later, bring about a reaction” Hayek F.A., 2012 [1933], “Monetary Theory and the Trade Cycle” in BUSINESS CYCLES, PART I (Liberty Fund, Indiaapolis), p. 137.”

    Per la terza volta, riportando una citazione che non ha capito, lei si dà la zappa sui piedi.

    Ignorando cosa è il tasso d’interesse, lei pensa, come le ho detto in un commento precedente, che un tasso d’interesse possa esistere senza un termine temporale. Basterebbe questo per far crollare le sue assurde posizioni.

    Tuttavia Enrico le ripeto: le nostre posizioni mi sembrano abbastanza chiare. Si tenga le sue convinzioni sul tasso d’interesse, sulla natura del deposito, del prestito e della libertà contrattuale. I mi terrò le mie (cioè quelle di Mises, Hayek, Rothbard e de Soto).

    Senza ironia tuttavia la ringrazio di nuovo per questo confronto.

    Un saluto

  • Enrico

    @ Giovanni Birindelli

    Cito: “la manipolazione monetaria e del credito , e quindi la riserva frazionaria, è la SOLA responsabile del ciclo economico”.

    La invito a riflettere se l’esistenza di un ente statale che può aumentare a suo piacimento la base monetaria abbia qualcosa a che fare con quella SOLA causa a cui si riferisce. Per ora la consideri un’ipotesi. Dopodiché, legga il seguito di Hayek:

    “Nobody has ever asked them [alle banche] to pursue a policy other than that which, as we have seen, gives rise to cyclical fluctuations; and it is not within their power to do away with such fluctuations, seeing that the latter originate not from their policy but from the very nature of the modern organization of credit”

    Potrebbe notare che, in effetti, l’aumento della base monetaria non origina dalle azioni delle banche. Non è in loro potere evitarla. Invece sarebbe in loro potere usare un coefficiente di riserva del 100% poiché nessuno lo vieta loro. Fatte queste considerazioni, non credo di dover aggiungere altro.

  • Francesco

    dico velocemente la mia, ringraziando innanzitutto Giovanni Birindelli per la chiarezza con la quale ha cercato di rispondere alle opposizioni del solito difensore della riserva frazionaria. ottimo! la confusione tra i due contratti (deposito e prestito) è il punto fondamentale, ma non voglio stare a discutere qua, oramai ho capito che chi vuole difendere la riserva frazionaria si attacca a qualunque cosa pur di farlo, a volte per ottusità innata altre più semplicemente per interesse (è mia opinione ad esempio che gli austro-cazzoni di IHC, sorry guys, ma di fronte ad austro-cazzaro non posso che rispondere austro-cazzoni, lo facciano per interesse lavorando in banca; ma insomma qua andiamo su altri discorsi e su illazioni puramente personali).

    quindi vorrei puntualizzare una cosa semplicissima. la banca è un intermediario abbastanza inefficiente. l’italia è dominata dal sistema bancario ed è una ragione supplementare per cui sia fallita più e prima di tanti altri paesi (al di là che Draghi continui a nascondere il fatto).

    anyway, considerata la banca come intermediario abbastanza inefficiente, io mi chiedo: come funzionerebbe un mercato veramente efficiente? semplice: chi ha bisogno di capitali li chiede sul mercato, come prestito o come quota capitale. troverà qualcuno disposto a darglieli, o in via diretta, o in via indiretta, magari tramite società di investimento o venture capital. c’è riserva frazionaria in questa modalità di finanziamento? assolutamente no!

    peraltro, il cittadino che vuole utilizzare il denaro come mezzo di pagamento, a chi si rivolgerebbe? ma ovviamente a qualcuno specializzato nel garantire non solo la proprietà del suo denaro ma anche a trasferirla in maniera efficiente. vedi bitcoin, che alla fine, più che moneta, non è altro che una gestione di certificati di proprietà sicura ed affidabile. c’è riserva frazionaria in questa operatività? assolutamente no!

    solo la banca, mischiando in maniera fraudolenta le due operazioni (deposito e servizi di pagamento da un lato, prestiti dall’altro), gode del privilegio e opera in regime di riserva frazionaria. Un orrore che sempre causerà distorsioni ed errori, con inevitabili fallimenti sistematici. Checché ne dicano i fautori del semplice free banking, niente altro che una realtà operativa destinata presto o tardi a collassare interamente su se stessa per il semplice fatto che la trasformazione arbitraria delle scadenze permessa dalla riserva frazionaria costituisce, non tanto un atto imprenditoriale, quanto piuttosto una situazione di intrinseca insolvenza che presto o tardi inevitabilmente emerge con conseguenze disastrose per tutti quanti.

  • Giovanni Birindelli

    Dei testi che ha citato ho letto solo quello di Hayek (mi sembra che questo passaggio sia in “Monetary Theory and Trade Cycles”): se lei avesse letto quel testo, e in particolare la parte dove è scritto quel passaggio, si sarebbe reso conto che ciò che Hayek voleva dire è esattamente l’opposto di ciò che lei vuole suggerire citando questo passaggio fuori dal contesto: in quel passaggio Hayek vuole dire che il problema è a livello di sistema: il problema è cioè che è possibile aumentare la quantità di moneta arbitrariamente attraverso la riserva frazionaria. Quindi è inutile, dice Hayek in quel passaggio, prendersela con le banche che, potendo ricorrere alla riserva frazionaria, lo fanno. Occorrerebbe prendersela con coloro che lo permettono. Infatti proprio in quel lavoro Hayek dimostra come la manipolazione monetaria e del credito , e quindi la riserva frazionaria, è la sola responsabile del ciclo economico. Quindi lei, citando questo passaggio probabilmente senza aver letto il testo in cui è scritto, inconsapevolmente mi ha dato ragione. Ma non voglio riprendere il discorso: abbiamo sfficienti elementi per avere chiare le nostre rispettive posizioni. Saluti.

  • Enrico

    Dimenticavo. Ai fan dell’ipse dixit dedico queste citazioni:

    “there is no legal case for banning fractional-reserve banking. It is, in my view, not fraudulent and there is no basis for banning it on standard property rights considerations” Detlev Schlichter

    “we can also see how nonsensical it is to formulate the question of the causation of cyclical fluctuations in terms of ‘guilt’, and to single out, e.g., the banks as those ‘guilty’ of causing fluctuations in economic development” F.A. Hayek

    “fractional-reserve banking has never been compulsory. Depositors have always been free to insist on 100 percent reserves. They can do so even now, by hiring safety-deposit boxes and stuffing them with cash” George Selgin e Lawrence H. White

    Sia ben chiaro che non giustifico le mie affermazioni per mezzo di queste citazioni, ma faccio presente che sto inventando nulla. Mi sembra meglio ragionare con la propria testa e giungere a conclusioni che altri hanno raggiunto prima di me, piuttosto che difendere le opinioni altrui giustificandole con dei non-sensi (*).

    (*) Come l’idea che una banca, qualora non abbia la proprietà del denaro affidatole, possa comunque prenderlo e darlo ad altre persone per fare servizi di pagamento. Questa è una bestemmia per chi dovrebbe fare dei diritti di proprietà il suo baluardo.

  • Enrico

    @ Giovanni Birindelli

    Continua a confondere depositi e prestiti. Guardi, la realtà è oggettiva: il correntista rinuncia alla proprietà del proprio denaro in cambio di un interesse. E’ la definizione di prestito, dunque o lei ignora tale definizione o la sta ignorando volutamente. Dal momento che (come si vedrà in seguito) lei ammette la relazione tra prestiti e interessi, sono portato alla seconda opzione. Infatti non ha smentito ciò che ho scritto, si è limitato a dire che De Soto lo considera un imbroglio. Lei è libero di credere a De Soto sulla parola, ma non ha portato nessun argomento oggettivo per sostenere la sua tesi. Nessuno dice al correntista che i suoi soldi rimangono depositati nella banca e l’obiezione del libretto degli assegni dimostra la sua confusione in merito: il possessore di un assegno può accedere solo ai soldi che la banca ha tenuto a riserva. Sono francamente stupito dal fatto che lei non capisca questa cosa semplicissima: è davvero necessario spiegarle che un assegno non può essere riscosso, se le banca non ha in riserva un ammontare equivalente di denaro? Provo a spiegarglielo: se Caio ha un assegno di 1’000€ e la banca ha riserve per 1€, Caio non può riscuotere subito l’assegno. Dovrà attendere che la banca (o l’amministrazione fallimentare della stessa) rientri in possesso dei 999€ prestati precedentemente. Caio può accampare pretese solo sui soldi tenuti a riserva dalla banca – non su quelli detenuti dal debitore della banca. Guardi, apprezzo molto questa discussione; ma forse vale la pena di continuarla quando lei avrà capito queste cose. Sia a livello tecnico (il contratto) sia a livello pratico (le conseguenze delle corse agli sportelli) è dimostrato che il correntista non lascia in custodia i propri soldi, ma li presta. Il test da lei proposto non smentisce il fatto che i correntisti abbiano firmato un contratto privo di alcun riferimento alla custodia del denaro.

    Il discorso sulle cassette di sicurezza dimostra quanto poco lei capisca della materia. Tramite le cassette di sicurezza, una persona può far custodire il suo denaro alla banca e quindi mantenerne costantemente la proprietà; tramite i depositi bancari, una persona presta denaro alla banca e quindi non può mantenerne la proprietà. Quando lei si riferisce ai servizi di pagamento, dimentica che per effettuare un pagamento bisogna avere la proprietà (perlomeno temporanea) del denaro con cui si effettua il pagamento. O la banca può disporre del denaro affidatole (dunque ha la temporanea proprietà di quel denaro), o non può farlo. Se vuole che la banca custodisca i suoi soldi (quindi non ne abbia la proprietà, nemmeno temporanea), non può chiedere alla banca di usarli per effettuare pagamenti al posto suo. Il suo ragionamento si smentisce da solo. Si sta arrampicando sugli specchi pur di non ammettere che la gente non vuole far custodire i propri soldi. Le ricordo inoltre che nulla vieta una riserva del 100% sugli attuali depositi bancari (grazie ai quali si possono effettuare i servizi di pagamento da lei desiderati); questa è un’ulteriore prova del fatto che i clienti non vogliono tale sistema, altrimenti verrebbe già offerto.

    La presunta “prova” che non si tratti di un problema di denominazione non è altro che una sua supposizione. Lei suppone che la gente vorrebbe far custodire i propri soldi (ma allora perché non lo fanno già oggi? mistero) e quindi “la quantità di denaro diminuirebbe drasticamente”. Una supposizione non è una prova.
    ………………
    Se dice che un contratto è illegittimo qualora sia vincolato da leggi statali, allora non può dire che la riserva frazionaria sia illegittima qualora venga applicata in un libero mercato – a prescindere dalle clausole di tale contratto. Se ne ricordi, ci torno tra un attimo.

    Cito: “un prestito non può non avere una scadenza temporale in quanto il tasso d’interesse è il prezzo della preferenza temporale”

    Ah ecco, ora ammette che i tassi di interesse sono legati ai prestiti. Benissimo, quindi i depositi bancari sono prestiti. A parte ciò, la sua obiezione è fallace: posso pattuire un tasso di interesse di x% al mese indipendentemente dalla durata del prestito. Se il prestito dura un mese, ricevo l’x% di interessi. Se dura meno o più di un mese, ricevo di meno o di più in interessi. Posso anche pattuire un tasso di interesse per i primi 6 mesi e un altro tasso di interesse per i successivi mesi. In poche parole, la scelta del tasso di interesse e della scadenza spettano solo ai contraenti.

    Cito: “la caratteristica del prestito è la perdita della disponibilità per un determinato periodo”

    Vero. La scelta della durata di tale periodo spetta ai contraenti. Nulla vieta che la durata sia quella scelta a piacere del creditore, se il debitore accetta tale clausola.

    Cito: “l’unico modo di farlo è mantenere una riserva del 100%”

    Questo è quello che crede lei, peraltro dando per scontata una falsità (cioè l’erronea ipotesi che venga creato denaro – mentre invece viene prestato denaro già esistente). La realtà oggettiva è che a Caio basta tenere una riserva sufficientemente elevata. Quale? Lo dirà il mercato, estromettendo i Caio che adottano il coefficiente sbagliato.

    Cito: “Quindi ai suoi punti (1) e (2) non vale la pena rispondere”

    Vale invece la pena, dal momento che ciò dimostra la sua natura statalista. Lei vuole vietare il contratto pattuito tra Tizio e Caio, benché sia un contratto volontariamente accettato (si rilegga la definizione). La cosa buffa è che accusa me di essere statalista per il solo fatto che mi comporto da libertario, ovvero difendo un contratto liberamente accettato da due persone.

    Come ho scritto sopra, per coerenza lei dovrebbe rispettare la riserva frazionaria qualora venga applicata in un libero mercato. Ma non lo fa, perché pretende che tale forma di contratto debba necessariamente rispettare ciò che lei desidera. Detto in altri termini, lei vuole imporre la sua volontà sugli altri. Ma lei non ha alcun diritto o giustificazione morale per decidere il modo in cui due persone debbano stabilire la scadenza di un prestito.

    Saluti e grazie anche a lei

  • Giovanni Birindelli

    @ Enrico

    Riguardo al punto (a) io sostengo, e con forza, non l’illegittimità dei beni o dei servizi, ma l’illegittimità dei contratti che ne regolano lo scambio (le confonde beni e servizi con i contratti che ne regolano lo scambio). Per esempio, io considero illegittimo (benché legale) il contratto di affitto 4+4, oppure l’articolo 18, non l’appartamento che viene affittato o il lavoro che viene fatto.

    Riguardo al punto (b), la riserva frazionaria è illegittima se viene applicata ai depositi, non se viene applicata ai prestiti.

    Quindi no: non è la mia posizione a essere priva di fondamento per mia implicita ammissione, è la sua a esserlo.

    Quando lei sostiene che “i correntisti prestano soldi alle banche, non li depositano. La prova che li prestano è data dal fatto che ricevono un interesse” lei, come tutti gli statalisti prima di lei che, per mettere le mani sui soldi delle banche hanno concesso a queste il privilegio della riserva frazionaria, continua a confondere depositi e prestiti e, per ‘provare’ questa sua tesi assurda si appiglia proprio all’escamotage che gli statalisti di cui sopra hanno trovato per confondere le acque: il pagamento di un interesse sui depositi che è una cosa senza senso (è il simbolo stesso della confusione oggi esistente fra prestiti e depositi). Come sostiene de Soto, nei contratti di deposito il pagamento da parte della banca di tassi d’interesse è cosa “contra naturam e assurda”, inoltre rende colpevole anche colui che riceve quell’interesse.

    Quindi quella che lei chiama ‘prova’ del fatto che i correntisti prestano soldi alle banche e non viceversa, non è altro che la prova dell’imbroglio e della confusione fra deposito e prestito. La prova del fatto che i correntisti depositano i soldi in banca è data dal fatto che la banca gli dà il libretto degli assegni il quale può essere utilizzato in ogni momento finché non è “scoperto”, cioè sempre fino all’ultimo centesimo.

    Ugualmente, quando lei sostiene che “La prova che i correntisti non vogliono far custodire i loro soldi è che, se volessero farlo, userebbero le cassette di sicurezza offerte dalle banche” dimostra di non sapere di cosa sta parlando, cioè confonde il deposito regolare (per esempio quello di un orologio d’oro) col deposito irregolare (per esempio quello di denaro). I correntisti mettono nelle cassette di sicurezza gli orologi d’oro, i quali sono oggetti fisici ben distinguibili, non sono denaro e non fungono da mezzi di pagamento. Essendo però una delle funzioni principali del denaro quella di essere mezzo di pagamento, è conveniente mettere il denaro nei depositi bancari sui quali le banche offrono, come SERVIZIO AGGIUNTIVO rispetto alle cassette di sicurezza, servizi di pagamento (inizialmente banconote e assegni). La prova empirica del fatto che i correntisti vogliono far custodire i loro soldi sta nel risultato del test che le ho proposto; la prova tecnica sta sempre nel fatto che essi richiedono un libretto d’assegni che possono utilizzare quando vogliono fino a quando è “scoperto”.

    Quando lei dice “se si chiamasse ‘prestito bancario’ anziché ‘deposito bancario’, non avreste nulla da obbiettare, sbaglio?” La risposta è “SI”, lei si sbaglia di grosso. La prova del fatto che non è un problema di denominazione è data dal fatto che se domani fosse fatta la distinzione fra prestiti e depositi e coerentemente con essa le banche potessero prestare solo i soldi che ricevono in prestito ma non i soldi depositati, la quantità di denaro diminuirebbe drasticamente, aumenterebbe drasticamente il tasso d’interesse, e a seguito di ciò l’intera struttura produttiva e dei consumi cambierebbe. L’effetto iniziale sarebbe quello della crisi d’astinenza. Il fatto che lei pensi che si tratti solo di un problema di denominazione dimostra di per se che lei continua a confondere il concetto di deposito con quello di prestito.

    Quando lei contesta l’affermazione secondo la quale il correntista e il debitore della banca hanno la stessa disponibilità sugli stessi soldi, lei dimostra di essere, economicamente parlando, un analfabeta. Supponiamo che Tizio depositi 1.000 euro nella banca A e che la banca A presti 999 euro a Caio, il quale li deposita, per semplicità, su un conto corrente della stessa banca A. Sul suo conto corrente, Tizio avrà un libretto di assegni che potrà usare sempre finché non è scoperto, e idem Caio. Ora, lei ha il coraggio di sostenere che “Il correntista ha la disponibilità solo sul denaro che la banca tiene a riserva, mentre il debitore ha la disponibilità solo sui soldi che la banca gli ha prestato. … In nessun caso il correntista può reclamare i soldi che il debitore si è fatto prestare dalla banca, cioè in nessun caso può reclamare la disponibilità sugli stessi soldi del debitore”. A causa del suo essere economicamente parlando un analfabeta, lei non si rende conto dell’enormità che ha scritto. In sostanza lei sta sostenendo che la copertura di un assegno è data dalla differenza fra soldi depositati e soldi prestati! Cioè che in questo esempio un assegno di Tizio sarebbe scoperto se fosse di 2 euro! E’ davvero necessario spiegarle che un assegno di Tizio è scoperto se è per un importo superiore a 1.000 euro? cioè solo se è di un importo superiore ai soldi che lui ha effettivamente depositato in banca? La copertura di un assegno è data dalla quantità di soldi depositati, non dalla differenza fra soldi prestati e soldi depositati! Per questo la corsa agli sportelli metterebbe in ginocchio il sistema e, se avvenisse, implicherebbe che, in assenza di banca centrale, solo i primi riuscirebbero ad avere indietro i propri soldi! Io apprezzo molto questa discussione, ma forse vale la pena continuarla quando lei avrà letto alcuni testi di base di economia, e non solo liberali o libertari: il fatto che Tizio e Caio hanno la disponibilità sugli stessi soldi infatti non solo è considerato cosa ovvia (come potrebbe esserlo altrimenti?) da TUTTI gli economisti liberali e libertari (da Mises a Hayek, da Rothbard a de Soto, da Pascal Salin a Gary North) ma, credo, da TUTTI gli economisti in generale: non che io li abbia letti tutti, ma credo che nessuno abbia il coraggio di negare la possibilità e le implicazioni di una corsa agli sportelli in regime di riserva frazionaria. La differenza fra gli economisti liberali/libertari e gli altri sta su altri piani (sulle conseguenze della manipolazione monetaria e del credito, sul fatto che la legge dei grandi numeri sia applicabile al sistema bancario oppure no, ecc.), MA NON sul fatto che Tizio e Caio abbiano la disponibilità sugli stessi soldi. Ed è questo il problema principale da cui derivano tutti gli altri (sia sul piano economico che giuridico -quest’ultimo ignorato dagli economisti non liberali/libertari che, grazia al positivismo giuridico, possono ignorarlo). Lei stesso, nel suo esempio che riporto qui di seguito, si contraddice quando riconosce che “Tizio può richiedere in qualsiasi momento una quantità di soldi equivalente a quella da lui ceduta a Caio”: quella “ceduta a Caio” non quella “sul denaro che la banca [nel suo esempio Caio] tiene a riserva”.

    Alla sua domanda ho risposto quando ho parlato della distinzione fra deposito e prestito ma lei, continuando a confondere i due, non se ne è accorto: “Tizio e gli altri possono prestare i loro soldi a Caio (un professionista nel settore del credito) in cambio di un certo tasso di interesse [fin qui niente di male], ma senza una scadenza temporale fissata [qui cominciano i problemi: un prestito non può non avere una scadenza temporale in quanto il tasso d’interesse è il prezzo della preferenza temporale]. Cioè, qualora ne abbia bisogno, Tizio può richiedere in qualsiasi momento una quantità di soldi equivalente a quella da lui ceduta a Caio [qui lei cade, perché trasforma il prestito in deposito: cioè qui è evidente che quello che lei ha chiamato prestito è in realtà un deposito, infatti per ciò che ho detto sopra la caratteristica del prestito è la perdita della disponibilità per un determinato periodo: è proprio questa che consente di avere il tasso d’interesse]. E’ compito di Caio avere sempre a disposizione i soldi necessari a soddisfare le richieste dei suoi clienti, pena la BANCArotta (ecco, ho rovinato la sorpresa) della sua attività [giustissimo: nel caso del deposito che lei, chiamandolo ‘prestito’, considera, l’unico modo di farlo è mantenere una riserva del 100%. Infatti nel momento in cui uno comincia a prestare i soldi depositati (e cioè a creare denaro dal nulla) si produce arbitrariamente un tasso d’interesse inferiore a quello di mercato il che innesca un processo economico il cui risultato finale sarà NECESSARIAMENTE la corsa agli sportelli: per questo nei sistemi a riserva frazionaria sono necessarie le banche centrali]”. Quindi ai suoi punti (1) e (2) non vale la pena rispondere perché il problema che le pone è esso stesso senza senso.

    Enrico, finché lei non capirà la distinzione fra prestito e deposito, per quanto continueremo questo dibattito, non arriveremo mai a una soluzione. Le sue posizioni sono contraddittorie e assurde perché si basano sulla confusione fra prestito e deposito e su quella fra volontarietà e libertà contrattuale. Finché lei non risolverà queste sue confusioni, continuerà a sostenere tesi indifendibili e che in molti casi la esporranno al ridicolo. Sta a lei risolverle. In questo dibattito sono stati dati sufficienti elementi perché lei le possa risolverle. Sta a lei coglierli e eventualmente vederli come spunti per andarsi a leggere i libri sull’argomento di Mises, Hayek, Rothbard e de Soto che sono sicuramente molto più autorevoli di me.

    Un saluto e grazie comunque per l’interessante dibattito.

  • Enrico

    @ eridanio

    Se vuole che i suoi soldi siano tenuti in custodia, può tranquillamente utilizzare una cassetta di sicurezza. Le banche offrono tale servizio (a pagamento, ovvio). Se invece firma un contratto di deposito bancario, allora vuol dire che accetta le clausole di tale contratto. Mi fa sorridere il fatto che lei si lamenti di tali clausole, visto che ha scelto di accettarle. Francamente, il suo atteggiamento mi sembra poco coerente.

    Cito: “Enrico vuole a tutti i costi occuparsi dell’oziosità dei depositi altrui”

    Lei mi attribuisce (di nuovo) cose che non ho mai sostenuto. La sfido (di nuovo) a citare almeno una mia frase in cui sia manifesto ciò che lei mi attribuisce. Le ricordo che ha già perso due sfide, quindi si deve già scusare due volte.

    Cito: “col 1834 non c’e’ da discutere, si è fottuti senza alternativa operativa”

    Ho già smentito tale fesseria. Il fatto che lei la riproponga dimostra ben poca onestà intellettuale.

    Cito: “Che poi ogni istituto a livello di sistema espanda il credito per l’inverso della riserva è una questione contabile palese e dimostrabile ”

    Le ricordo che “espandere il credito” non significa “creare denaro”. Peraltro ho già spiegato la differenza tra denaro e offerta di moneta nel mio precedente commento, quindi la invito a rileggerlo.

    Cito: “Che poi questa espansione produca i guasti di boom e bust”

    Ho già dimostrato che non ne produce. Di nuovo, la invito a rileggere il mio commento perché è evidente che non l’ha fatto con la dovuta attenzione.
    ……….
    Infine le ricordo la domanda che le ho fatto in precedenza, a cui non ha ancora risposto: vuole che le parti possano scegliere anche la riserva frazionaria? Non credo che dare una risposta sia al di fuori delle sue possibilità, dunque ne attendo una.

  • eridanio

    I soldi che decido di tenere in custodia sono soldi miei e nessun depositario professionale deve pensare di prestarli a qualcuno perchè sono soldi miei.
    Il depositario sarebbe tenuto a tenerli a disposizione come i magazzini generali tengono a disposizione le merci in deposito dietro compenso per il servizio.
    Nessuno si occupi dell’oziosità dei depositi altrui si concentri sui propri. Ma Enrico vuole a tutti i costi occuparsi dell’oziosità dei depositi altrui.
    Che persona gentile, si preoccupa dei vostri depositi.
    Certo col 1834 non c’e’ da discutere, si è fottuti senza alternativa operativa.

    Che poi ogni istituto a livello di sistema espanda il credito per l’inverso della riserva è una questione contabile palese e dimostrabile matematicamente ma pazienza

    Che poi questa espansione produca i guasti di boom e bust
    beh! Enrico non vuole credere ai propri sensi penso perchè avrà portato i neuroni in deposito in banca e quindi ne ha perso la proprietà.

    Giù le mani da Cuba, non fatevi fregare!

  • Enrico

    @ Marco

    Cercherò di essere il più chiaro e sintetico possibile. Sostengo fondamentalmente due cose, ovvero che: (a) la riserva frazionaria non sia affatto criminale e in un libero mercato avrebbe ragione d’esistere; (b) la riserva frazionaria fa sì che gli investimenti siano agganciati ai risparmi, dunque non genera cicli di boom&bust. Qui di seguito espongo brevemente le ragioni di queste due affermazioni.

    (a) Supponga che il codice civile venga abolito. Supponga che non esistano più la banca centrale ed il valore legale della moneta. A questo punto, sarebbe ancora contrario alla riserva frazionaria? Prenda come esempio di riserva frazionaria quello che avevo scritto precedentemente (quello di Tizio).

    (b) Supponga che la proposta del signor Birindelli si avveri: i cittadini possono o prestare denaro alle banche, o depositarlo in esse. I soldi prestati alle banche possono essere prestati dalle banche ad altri cittadini, mentre i soldi depositati nelle banche vengono tenuti in custodia dalle banche. Supponga quindi che il cittadino A abbia 10’000$, decida di depositarne 200 e di prestarne 9’800 a una banca. Quest’ultima, come da contratto, tiene a riserva 200$ e presta al cittadino B gli altri 9’800$. Il cittadino B li usa per fare un investimento.

    Consideri ora ciò che avviene nell’attuale sistema a riserva frazionaria. Supponga che il cittadino A depositi in una banca 10’000$. La banca tiene a riserva 200$ e presta al cittadino B gli altri 9’800$. Il cittadino B li usa per fare un investimento.

    Spero che siamo d’accordo sul fatto che il risultato economico finale è identico: il risparmio del cittadino A permette al cittadino B di condurre un investimento. Mi si permetta inoltre di osservare che in nessuno dei due casi avviene “creazione di denaro dal nulla”. Infatti, in entrambi i casi, la banca presta soldi che già esistono – ovvero non crea neppure 1$ in più. Lei mi potrebbe obbiettare che nel sistema a riserva frazionaria è aumentata l’offerta di moneta, ma questo è vero anche nell’altro caso. Per definizione, l’offerta di moneta (ovvero il prodotto tra quantità di moneta e numero di volte in cui viene usata) aumenta all’aumentare del numero di volte in cui viene usata la moneta. Questo avviene in entrambi i casi: il prestito concesso al cittadino B aumenta di 1 il numero di volte in cui vengono usati quei 9’800$.

    In conclusione: se il prestito di 9’800$ verso il cittadino B (effettuato nel rispetto della proposta del signo Birindelli) non genera cicli di boom&bust, allora nemmeno la riserva frazionaria li genera; se tale prestito non ha effetti inflazionistici, allora non li ha nemmeno la riserva frazionaria.

    Ovviamente ci sono alcune differenze tra i due casi. Il primo, per esempio, è molto più scomodo del secondo. Per verificarlo, basta considerare cosa succede qualora il cittadino A debba affrontare una spesa improvvisa e superiore ai 200$. Nel sistema a riserva frazionaria, il cittadino A può ritirare fino a 10’000$ – e, ovviamente, non si tratta di “denaro creato da nulla” ma di soldi depositati da altri cittadini e tenuti a riserva dalla banca. Nel sistema proposto dal signor Birindelli, il cittadino A rimane fregato; ciò significa che, in tale sistema, esisterebbe un forte incentivo a tenere ‘in custodia’ molti più soldi del necessario. Si veda l’esempio di Tizio in proposito.

  • Marco

    Credo che nessuno in questa discussione contesti il fatto che una banca centrale o chiunque altro non possa intervenire ad evitare il fallimento di una banca, pena l’incentivazione di comportamenti sbagliati dalla banca che sa di essere coperta.
    Sono d’accordo (da ignorante della materia) con Enrico quando sostiene che l’attuale contratto è sottoscritto deliberatamente dalle parti (anche se sarebbe comunque più gradita maggior trasparenza e chiarezza). Io ho il diritto di correre il rischio, in cambio di un interesse di non trovare più la disponibilità del mio denaro se tanti correntisti ritirano i loro risparmi contemporaneamente.
    Però, la legge (quella con la minuscola) non mi avverte del fatto che li posso perdere, ma afferma che io anche se perdo la proprietà dei miei soldi la debbo poter riottenere in qualunque momento e ciò può non essere possibile, questa si chiama truffa.
    Inoltre creare denaro dal nulla di fatto comporta la perdita di potere d’acquisto della moneta ( cioè una tassa occulta e quindi un furto) per tutti gli individui, anche chi non accetta tali contratti e per questo il meccanismo di riserva frazionaria, credo non dovrebbe essere consentito, anche quando deriva da un contratto volontario.
    Comunque mi complimento con tutti voi per la discussione, sono questi gli argomenti che la politica dovrebbe affrontare, altro che l’IMU

  • Enrico

    @ Giovanni Birindelli

    Cito: “perché le banche possano a loro volta prestare dei soldi, li devono prima chiedere in prestito”

    Ma è esattamente ciò che fanno adesso. I correntisti prestano i loro soldi alla banca, ottenendo in cambio degli interessi. A conferma di ciò che ho appena scritto, credo che sia utile ricordare la definizione di prestito: cedere ad altri il proprio denaro in cambio della promessa di restituzione assieme a degli interessi. Dunque gli attuali depositi bancari sono prestiti a tutti gli effetti.

    Comunque non ho capito quale sia la sua posizione in merito all’esempio di Tizio. La (1) o la (2) ?

    • Giovanni Birindelli

      All’origine del suo errore stanno due confusioni: quella fra volontarietà e libertà di contratto e quella fra deposito e prestito.

      La prima mi sembra che la abbiamo risolta: senza rendersene conto, enunciando il principio base della teoria libertaria dei contratti, lei stesso ha riconosciuto che questa si basa su due elementi: volontarietà e libertà contrattuale. Il suo ragionamento continua a considerare, per la legittimità del contratto di deposito attuale, solo la volontarietà ma, come lei stesso inconsapevolmente ha ammesso, questa non basta: senza libertà contrattuale il contratto, da una prospettiva liberale/libertaria, non è legittimo. Quindi l’attuale contratto di deposito bancario, regolato dal codice civile che lei cita, è illegittimo (anche se legale) e incompatibile con la teoria liberale/libertaria dei contratti.

      Ora, la seconda confusione dovrebbe essere ancora più semplice da risolvere ma, visto che lei continua a confondere deposito e prestito, provo a spiegarle per l’ultima volta la differenza nel modo più semplice che mi è possibile.

      Supponiamo che Tizio abbia un’automobile e che Caio no. Supponiamo che Caio voglia fare un viaggio in automobile di una settimana per la Francia e che chieda a Tizio se può usare la sua automobile. Supponiamo che Tizio gli dia l’automobile per quella settimana. Questo si chiama PRESTITO. La caratteristica essenziale del prestito è la non disponibilità di ciò che si è prestato: se durante quella settimana Tizio vuole andare al mare, ci deve andare in treno perché la sua macchina la ha prestata a Caio e quindi non ne ha la disponibilità. Tizio può prestare la macchina a Caio gratuitamente oppure, se non è suo amico, facendogli pagare un prezzo.

      Consideriamo adesso un caso diverso. Supponiamo che Tizio non abbia un garage e che abbia comprato una Ferrari nuova di zecca. Supponiamo che Tizio abiti accanto a un centro sociale e abbia paura che i frequentatori di quel centro gliela graffino. Supponiamo invece che Caio abbia una casa con garage ma non una macchina, quindi che il suo garage sia libero. Supponiamo che Tizio chieda a Caio se può parcheggiare la Ferrari nel suo garage, al sicuro dai graffi dei frequentatori del centro sociale. Questo si chiama DEPOSITO. La caratteristica essenziale del deposito è il mantenimento della disponibilità di ciò che si è depositato. Se Tizio il giorno dopo va nel garage di Caio con la sua bella bionda che vuole portare a cena fuori dopo averle fatto una testa così sulla sua Ferrari e, entrano nel garage, vede che la Ferrari non c’è, si incazza: e avrebbe ragione a incazzarsi, perché lui la Ferrari la ha DEPOSITATA nel garage di Caio, non gliela ha PRESTATA.

      Ora, se al posto della macchina sostituiamo il denaro, sul piano di principio nulla cambia: il prestito è prestito e il deposito è deposito. L’unica cosa che cambia, nel caso del denaro come nel caso di altri beni le cui unità sono difficilmente distinguibili fra loro (come il grano o il petrolio ad esempio), ma non su un piano di principio ma su un piano tecnico, è che, in questo caso, la disponibilità non è sull’oggetto specifico (cioè, nel caso del denaro, sulle stesse banconote fisiche) ma sul cosiddetto “tantundem”, cioè su un ammontare della stessa quantità e qualità.

      Quindi lei si sbaglia di grosso: quello che le banche fanno adesso non è prendere a prestito i soldi e a loro volta darli in prestito, ma ricevere i depositi e prestarli. E possono fare questo legalmente (ma in violazione della legge, cioè in modo illegittimo) grazie al privilegio concesso loro dallo Stato, cioè grazie all’articolo del codice civile che lei cita.

      Se lei adesso non riesce ancora a capire la differenza fra volontarietà e libertà contrattuale, e fra deposito e prestito, mi arrendo: si legga i libri di Mises, Hayek e de Soto.

      • Enrico

        @ Giovanni Birindelli

        Lei sostiene che la presenza della regolazione statale renda illegittimo e criminale il contratto di deposito bancario, ma questo le impone due cose:

        (a) dovrebbe ugualmente sostenere l’illegittimità e la criminalità di ogni bene/servizio vincolato dalle leggi statali (cioè, in pratica, di ogni bene/servizio attualmente esistente);

        (b) dovrebbe ammettere la legittimità della riserva frazionaria in un libero mercato.

        Forse sbaglio, ma mi sembra che lei non soddisfi alcuna delle due condizioni. Dunque la sua obiezione è priva di fondamento per sua stessa (implicita) ammissione.
        ……………………………….
        La sua seconda obiezione evita opportunamente ciò che le ho già scritto. Proverò a ripeterlo in maniera più semplice: i correntisti prestano soldi alle banche, non li depositano.

        La prova che li prestano è data dal fatto che ricevono un interesse. Di nuovo, la invito a considerare la definizione di prestito: una volta che l’avrà fatto, le sarà perfettamente chiaro ciò che sto cercando di dirle. La prova che i correntisti non vogliono far custodire i loro soldi è che, se volessero farlo, userebbero le cassette di sicurezza offerte dalle banche.

        Con tutto il rispetto, non credo che il signor De Soto abbia argomenti validi per smentire queste obiezioni. Mi sembra che il vostro errore consista nel focalizzarsi sul nome del contratto stipulato tra correntisti e banche: se si chimasse ‘prestito bancario’ anziché ‘deposito bancario’, non avreste nulla da obbiettare. Sbaglio? Questa non è una domanda retorica, mi piacerebbe ricevere una risposta (sì/no e magari perché).
        ……………………………….
        Non posso fare a meno di notare che lei non ha risposto alla mia precedente domanda. Mi permetta di ripeterla: quale è la sua posizione in merito all’esempio di Tizio [commento del 27 febbraio 2013 alle 21:42], la (1) o la (2) ? Questa volta gradirei ricevere una risposta. Grazie in anticipo.

        • Enrico

          @ Giovanni Birindelli

          Leggo ora l’altra sua risposta [quella del 28 febbraio 2013 at 15:54]. Non deve affatto scusarsi del tempo trascorso tra un commento e l’altro, non ho alcuna fretta. In aggiunta al mio commento qui sopra [1 marzo 2013 at 01:03], faccio ulteriori considerazioni per chiarire la mia risposta alla sua prima obiezione (quella dell’interferenza statale).

          Lei dice che la riserva frazionaria è ‘criminale’. Sbaglia. Lei può dire che i vincoli statali nel settore bancario sono criminali, ma non può definire ‘criminale’ ciò che il libero mercato produrrebbe senza vincoli statali. Il libero mercato può produrre (e, a parer mio, produrrebbe) un sistema a riserva frazionaria come quello mostrato nell’esempio di Tizio e Caio [27 febbraio 2013 at 21:42].

          Per fare un’analogia, è come se lei criminalizzasse i contratti di lavoro anziché l’articolo 18. I contratti di lavoro non sono affatto criminali; sono i vincoli statali (l’articolo 18) a esserlo. Lei confonde due cose diverse: l’intervento statale e la cosa che viene fatta oggetto di intervento statale.

          Non c’è nulla di statalista nel dire (come sto facendo) che i contratti di lavoro e la riserva frazionaria prodotti in un libero mercato sono leciti. Mi semba invece statalista l’idea di bannarli, indipendentemente dal fatto che in un libero mercato la gente vorrebbe usare tali strumenti.

          PS: suggerisco di non rispondere con ‘reply’, ma di commentare l’articolo. In questo modo i commenti sono in ordine temporale e non si rischia di perderli di vista – come purtroppo mi è capitato.

          • Enrico

            @ Giovanni Birindelli

            Concludo sottolineando un altro suo errore.

            Lei sostiene che il correntista e il debitore della banca abbiano la disponibilità sullo stesso denaro, ma questo è palesemente falso. Il correntista ha la disponibilità solo sul denaro che la banca tiene a riserva, mentre il debitore ha la disponibilità solo sui soldi che la banca gli ha prestato. Qualora il correntista voglia ritirare dei soldi dal suo c/c, la banca (e non il debitore della banca) dovrà rinunciare alla stessa quantità di denaro. Non c’è alcuna impossibilità tecnica. In nessun caso il correntista può reclamare i soldi che il debitore si è fatto prestare dalla banca, cioè in nessun caso può reclamare la disponibilità sugli stessi soldi del debitore.

            Questa è la realtà oggettiva e trovo inspiegabile che qualcuno possa sostenere qualcosa di diverso.

  • Nicola

    Correggetemi se sbaglio… ma leggendo l’articolo di Birindelli avevo capito che la proposta fosse quella di abolire il meccanismo (e la possibilita’ legale di farla) della riserva frazionaria, tra le principali cause del malfunzionamento del sistema bancario e della distorsione del naturale corso della libera iniziativa privata (leggasi, mercato).
    Invece leggo che si critica il fatto che l’articolista avrebbe proposto di cambiare nome al contratto di deposito.
    Ho interpretato male io gli scritti di Birindelli?

    • Giovanni Birindelli

      No lei ha interpretato benissimo: come ho detto sopra non si tratta affatto di denominazione (come suggerisce Enrico) ma di distinzione fra deposito e prestito. Non è affatto un problema di nome: distinguendo il deposito dal prestito, perché le banche possano a loro volta prestare dei soldi, li devono prima chiedere in prestito e non potrebbero usare i depositi. Quindi la quantità di denaro in circolazione si ridurrebbe drasticamente e gli investimenti sarebbero agganciati ai risparmi e non alle decisioni arbitrarie di chi può produrre denaro dal nulla con un click.

  • Enrico

    @ eridanio

    Ripeto che a me non risulta l’esistenza di alcuna norma che vieti una riserva del 100%. Di conseguenza deduco che ai clienti delle banche non interessi un simile contratto. Questo significa che voglio impedire a qualcuno di offrire contratti con riserva del 100 per cento? No. E la sfido a trovare una mia frase in cui io sostenga il contrario di ciò che ho appena scritto. Se non la trova, la prego di evitare di attribuirmi simili affermazioni.

    Ripeto anche che, qualora esista la norma di cui sopra, sono favorevole ad abolirla. Non vedo quindi in che modo ciò si possa catalogare come “istinto dirigistico”, ma la invito a spiegarlo (se ci riesce, beninteso). Se non ci riesce, la prego di evitare di attribuirmelo.

    Cito: “voglio che le parti siano nel pieno potere di scegliere come contrarre”

    Dunque vuole che le parti possano scegliere anche la riserva frazionaria? Bene, provi a spiegarlo al signor Birindelli (io ci sto provando da qualche giorno). Spero che concorderà nel definire “istinto dirigistico” la volontà (espressa in questo articolo) di abolire la riserva frazionaria, dal momento che tale volontà viola la libertà di scelta delle parti.

    Cito: “devo sentire da lei che quando deposito perdo la proprietà del depositato”

    Non ha bisogno di sentirlo da me: basta che legga ciò che sta firmando. Se lei accetta un contratto, vuole dire che ne accetta le regole. Lei perde la proprietà del depositato perché lei ha volontariamente deciso di perderla, firmando un contratto in cui c’è scritto che perde tale proprietà. Ammetto di trovare singolare il modo in cui vengo accusato per le libere scelte altrui.

    • Enrico

      Riguardo all’ultimo paragrafo, ritengo opportuno ripetere ciò che avevo già scritto: ho citato il Codice Civile per smentire l’affermazione secondo cui il depositante continuerebbe ad essere proprietario della somma di denaro (cosa erroneamente sostenuta dall’articolo).

      Detto in altri termini: non sto difendendo l’esistenza del Codice Civile né di quella specifica norma. Sto ‘solo’ dicendo che l’affermazione secondo cui due persone siano proprietarie della stessa somma di denaro è falsa.

  • eridanio

    Il codice civile non vieta la possibilità di fare un deposito per custodia di una somma di danaro. Il fatto che non sia vietato dal codice civile non impedisce che sia vietato dal Tub Tuf ecc.. ecc.. altre norme.
    Provi a fare una simile attività senza licenza di intermediario rilasciata dalle competenti autorità.
    D’altro canto provi a chiedere un’autorizzazione all’autorità competente per un’attività a riserva 100% ove quindi se diligentemente esercitata non abbisogna di una particolare vigilanza circa la consistenza della solidità patrimoniale. La guarderebbero straniti.
    Ma lei ha mai letto peraltro un contratto bancario per intero intendo comprele le condizioni generali??
    Figuriamoci se voglio impedire che qualcuno presti qualcosa a qualcunaltro.
    Ma perchè ci si ostina ad impedire che qualcuno, di fatto, impedisca che qualcuno depositi qualcosa presso qualcun’altro.
    Io voglio che le parti siano nel pieno potere di scegliere come contrarre.
    Se così fosse, depositare perdendo la proprietà del depositato non sarebbe scelto per forza quale unica opzione di fatto ma sarebbe scelto molto meno di quel che lei pensa. Sempre tenendo conto che quel che lei pensa di cosa pensano gli altri dimostra che lei ha un istinto dirigistico e di prevaricazione delle libere scelte altrui. Il diritto serve per fornire opzioni scelte e sorte spontaneamente e non imposte da nessuno. Nemmeno dio ha deciso di imporre limiti al libero arbitrio e devo sentire da lei che quando deposito perdo la proprietà del depositato e che ciò sia libero giusto ed in fondo consapevole scelta delle parti???

  • Enrico

    @ eridanio

    Prima di rispondere a questo commento, le chiedo di leggere il precedente (quello delle 21:42) così non sto a ripetere alcune considerazioni. La invito a correggermi qualora, qui di seguito, io abbia interpretato male ciò che lei sta sostenendo.

    Lei sostiene che l’attuale deposito bancario dovrebbe essere chiamato in un modo diverso, così da non trarre in inganno i clienti della banca. Personalmente credo che il modo in cui venga chiamato un contratto spetti ai contraenti; se vogliono chiamarlo ‘deposito’, non vedo che male ci sia. Ma ammettiamo di imporre che i depositi bancari vengano rinominati in un modo più chiaro. A questo punto si avrebbe un sistema a riserva frazionaria esattamente uguale a quello attuale, tranne che per il nome dei contratti su cui si basa. Ma allora non vedo per quale motivo la riserva frazionaria debba essere criminalizzata, se la si accetta in quest’ultima forma (che, nella sostanza, è esattamente uguale a quella attuale). Non si può dire che la riserva frazionaria sia ‘cattiva’, se basta cambiare un nome per renderla ‘buona’. Si dica solo che il termine ‘deposito’ sembra inappropriato e che si potrebbe cambiarlo. Se questo articolo si fosse limitato a ciò, non avrei avuto praticamente nulla da ridire.

    L’altra cosa che lei sostiene è che il Codice Civile vieti un contratto di custodia (un ‘deposito’ nel pieno senso del termine). In realtà, a me non sembra che lo vieti:

    “Nei depositi di una somma di danaro presso una banca, questa ne acquista la proprietà ed è obbligata a restituirla nella stessa specie monetaria, alla scadenza del termine convenuto ovvero a richiesta del depositante, con l´osservanza del periodo di preavviso stabilito dalle parti o dagli usi”

    Nulla vieta alla banca di tenere un coefficiente di riserva del 100%. Certo, nessun intermediario finanziario offre un contratto di custodia del denaro. Il motivo è che nessun correntista vuole un simile contratto, poiché dovrebbe pagare per tenere i propri soldi in custodia. La stragrande maggioranza delle persone preferisce che sia la banca a pagar loro un interesse, piuttosto che il contrario. Ma supponiamo di abolire questo articolo del Codice Civile. Qualora le banche continuassero a offrire gli stessi contratti che ci sono ora (vabbè, chiamati in modo diverso) lei non dovrebbe avere nulla in contrario, dico bene? Allora si torna al punto di cui sopra: non è la riserva frazionaria a dover essere criticata. Si può criticare l’intervento legislativo in materia, ma non si può sostenere che un contratto volontariamente stipulato da soggetti privati sia da abolire.

  • Enrico

    @ tutti

    Facciamo un esempio di cosa avviene in un libero mercato.

    .

    Tizio ha dei risparmi e vorrebbe prestarli a qualcuno per ottenerne un profitto. Tuttavia teme che, privandosi di quei soldi, possa andare incontro a gravi difficoltà qualora si verifichi una spesa imprevista e cospicua durante l’arco di tempo del prestito. Tale eventualità è statisticamente poco probabile; tuttavia, qualora si avverasse, costituirebbe un bel problema per Tizio. Ci sono poi altri inconvenienti: deve spendere risorse per cercare i possibili clienti (cioè quelli interessati alla somma di denaro a disposizione di Tizio, per il tempo che Tizio è disposto a concedere) e verificare che abbiano le caratteristiche giuste (garanzie, affidabilità). Molte altre persone sono nella stessa situazione di Tizio.

    Per questi e altri motivi, il libero mercato è incentivato a fornire una soluzione: Tizio e gli altri possono prestare i loro soldi a Caio (un professionista nel settore del credito) in cambio di un certo tasso di interesse, ma senza una scadenza temporale fissata. Cioè, qualora ne abbia bisogno, Tizio può richiedere in qualsiasi momento una quantità di soldi equivalente a quella da lui ceduta a Caio. E’ compito di Caio avere sempre a disposizione i soldi necessari a soddisfare le richieste dei suoi clienti, pena la BANCArotta (ecco, ho rovinato la sorpresa) della sua attività. In questo modo Caio può rendere più efficiente l’attività dei prestiti, aggirando il problema delle eventualità poco probabili di cui sopra. Quest’ultime continuano a verificarsi con la stessa frequenza di prima e il risparmio necessario a pagarle continua ad essere accantonato dai singoli individui, ma diminuisce il risparmio inutilizzato del loro insieme. I clienti non si devono preoccupare di nulla, eccetto dello stato di salute dell’azienda di Caio (che viene facilmente monitorato tramite la Borsa o altri modi forniti dal libero mercato).

    .

    Questo è un tipico esempio di contratto volontariamente accettato da più individui. Viene accettato volontariamente perché porta benefici a tutti i contraenti. Lo Stato non c’entra un tubo in tutto ciò, infatti non l’ho mai menzionato. Ora, i casi sono due:

    (1) Voi siete favorevoli a usare la violenza per obbligare Tizio a scindere tale contratto.

    (2) Voi non siete favorevoli a usare la violenza per obbligare Tizio a scindere tale contratto.

    Nel primo caso, voi sostenete un’azione violenta. Nessun libertario è violento, quindi traete le dovute conclusioni. Nel secondo caso, voi rispettate il contratto volontariamente accettato da Tizio e dagli altri. Faccio presente che tale contratto è identico all’attuale contratto di deposito bancario.

  • eridanio

    Calmo, calmo Enrico,
    non è una questione semplicemente di denominare o ridenominare.
    Un principio fondamentale del diritto è proprio la continuità logica del significato di un termine attribuito ad un istituto giuridico.
    Ora vogliono denominare l’unione di due individui dello stesso sesso matrimonio.
    Questa azione, al di la della necessità di individuare un nuovo nome per un istituto giuridico che soddisfi tutte le parti, non dovrebbe implicare l’utilizzo di un nome non aderente alla realtà dei fatti come secolarmente percepita e scientificamente nonchè moralmente incardinata.
    Pertanto che deposito significhi un contratto che generalmente tratti di custodia dovrebbe essere assodato in diritto sia in dottrina che giurisprudenza per la specifica funzione sociale che ha una chiara identificazione erga omnes dell’atto di depositare.
    Il contenuto dell’articolo 1834 non giustifica affatto il passaggio di proprietà di un bene fungibile se la causa del deposito è averne costantemente la possibilità di ritiro a vista.
    Quando consegno un bene presente es: 1000 euro consegno qualcosa che senza bisogno di intermediazione alcuna è in grado di estinguere un’obbligazione fino a 1000 euro.
    Il diritto che ricevo in cambio non materializza 1000 euro in caso di necessità. Se la banca non ha i 1000 euro, il fatto che io abbia il diritto a ritirare 1000 euro non li fa apparire dal nulla.
    Il cambio di qualità dei beni che si depositano (certamente) e che potenzialmente posso avere il diritto di reclamare dovrebbe indurre chiunque a comprendere che chiamare deposito un istituto siffatto è errato e senza insinuare bassezze oggettivamente una truffa.
    La prova che è una bassezza ancor superiore alla truffa è che nessun istituto di credito aprirebbe qualcosa di diverso dal deposito bancario così come previsto dall’art. 1834. Non troverà nessun intermediario finanziario che le apra un qualcosa di diverso. Se lo trovasse mi faccia un fischio. Quindi si si è liberi di contrarre con un istituto di credito un rapporto di deposito bancario e le implicazioni sono quelle del codice civile. Non esistendo però la possibilità di negoziare la causa del contratto che sto facendo, perchè implicita ed obbligatoria nel testo dell’art., e non potendo di fatto negoziare altrimenti con le stesse tutele giuridiche di una tipizzazione esplicita sono privato della mia libertà contrattuale di fatto e per legge.

  • Enrico

    @ Giovanni Birindelli

    Dal momento che la ignora, le insegno la visione libertaria sui contratti volontari. E’ lecito qualsiasi contratto liberamente accettato da più individui, il quale riguardi esclusivamente le loro proprietà. La limitazione o proibizione di un simile contratto è un atto di aggressione contro le proprietà di tali individui.

    Il contratto di deposito bancario è un contratto volontario: riguarda solo le parti che hanno siglato il contratto (i correntisti e la banca). Non necessita di terze parti, quindi non ricade nella definizione (da lei coniata) di “contratto volontario statalista”. Attualmente lo Stato si intromette nella faccenda, ma questo non significa nulla: una volta abolita l’intromissione statale (cosa che mi auguro), il libero mercato continuerebbe a usare il meccanismo di riserva frazionaria.

    Come avevo già scritto (ma lei ha fatto finta di non leggere…) non ho citato il Codice Civile per giustificare l’esistenza della riserva frazionaria (la quale, essendo un contratto volontario, non necessita di alcuna giustificazione – tantomeno statale). Le ho ‘solo’ dimostrato che ogni correntista ha firmato un contratto in cui esplicitamente cede la proprietà del proprio denaro – smentendo quindi la sua affermazione secondo cui continuerebbe ad esserne proprietario. Nel suo articolo ha scritto una grave inesattezza.

    Lei mi accusa di essere uno ‘statalista’ per il solo fatto di difendere una forma di contratto volontario. La domanda quindi è: devo insegnarle anche cosa significa ‘statalista’?

    .

    Cito: “distinguere il deposito dal prestito nell’attività bancaria”

    Prendo atto che la sua proposta è rinominare l’attuale contratto di deposito bancario, in modo da distinguerlo da un contratto stile-cassaforte (che peraltro nessuno desidera, altrimenti sarebbe già fornito dal settore bancario).

    Cito: “non ritengo affatto che i cicli economici abbiano a che fare con un nome invece che un altro”

    Prendo atto che è consapevole dell’inutilità della sua proposta al fine di prevenire i cicli economici. Per inciso, ha appena smentito quanto sostiene nel suo articolo.

    • Giovanni Birindelli

      Mi scuso per il ritardo nella risposta e per eventuali successivi ritardi dovuti a mancanza di tempo. Mi scuso anche per concentrarmi solo sui punti che ritengo essenziali e per tralasciare, per la stessa ragione, gli altri punti che mi sembrano irrilevanti, già discussi, “prese d’atto” di cose che non ho mai detto oppure che sono relativi a commenti che, sempre per mancanza di tempo, non ho ancora letto ma leggerò appena possibile (e a cui, se richiederanno argomentazioni non ancora fornite nei commenti precedenti, risponderò appena mi sarà possibile).

      Lei non può spiegare a nessuno la teoria libertaria dei contratti in quanto, pur avendola enunciata perfettamente nella sua forma più sintetica, semplicemente non la ha capita.

      In particolare, la teoria libertaria dei contratti, che lei ha giustamente enunciato dicendo che “E’ lecito qualsiasi contratto liberamente accettato da più individui, il quale riguardi esclusivamente le loro proprietà. La limitazione o proibizione di un simile contratto è un atto di aggressione contro le proprietà di tali individui”, prevede due elementi:

      1. la volontarietà (il contratto deve essere “liberamente accettato”)

      2. la libertà contrattuale (“La limitazione o proibizione di un simile contratto è un atto di aggressione contro le proprietà di tali individui”).

      Ora, nelle sue risposte lei fa confusione fra questi due elementi. Anzi, più precisamente, lei considera solo il primo di essi e trascura il secondo.

      Infatti, quando lei sostiene che il contratto di deposito regolato dall’articolo 1834 del Codice Civile, il quale consente la riserva frazionaria, è un contratto volontario, lei ha ragione: è un contratto volontario. Io non ho mai negato questo. Tuttavia, è un contratto volontario dove non c’è libertà contrattuale (nella terminologia da me usata, è un “contratto volontario statalista”).

      Infatti esistono due tipi di contratto volontario (non uno): quello che include la libertà contrattuale (che io ho chiamato “contratto volontario liberale”) e quello che non prevede la libertà contrattuale (che io ho chiamato “contratto volontario statalista”): solo il primo è compatibile con la teoria libertaria dei contratti. L’altro è tipico della cosiddetta “economia sociale di mercato” (per questo è quello che si adotta oggi in Italia, per esempio).

      Le faccio un esempio: supponiamo che l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori impedisse a Tizio, che vuole assumere Caio come impiegato, di poterlo licenziare in qualsiasi condizione. Ora, se Tizio, essendo perfettamente a conoscenza dell’articolo 18, assume Caio, lo fa volontariamente. Ma basta questo per dire che il contratto di lavoro da loro stipulato è un contratto che rispetta la teoria libertaria dei contratti? No, infatti tale teoria prevede non solo che i contratti siano volontari (primo elemento) ma anche che ci sia la libertà contrattuale (secondo elemento).

      Questo è un altro modo, forse più chiaro (anche perché ricorre a una terminologia forse a lei più familiare) di esprimere lo stesso concetto che ho affermato nel commento del 27 febbraio 2013 at 08:54 .

      Quando lei dice che “Attualmente lo Stato si intromette nella faccenda, ma questo non significa nulla: una volta abolita l’intromissione statale (cosa che mi auguro), il libero mercato continuerebbe a usare il meccanismo di riserva frazionaria”, lei afferma qualcosa che fa seriamente pensare se vale la pena risponderle. E’ proprio il fatto che “lo Stato si intromette nella faccenda” che impedisce la libertà contrattuale e che quindi rende quel contratto di deposito non compatibile con la teoria libertaria dei contratti! Più in generale, il problema fondamentale di tutto il liberalismo e il libertarismo è proprio il fatto che lo Stato si intromette in faccende dove non dovrebbe intromettersi! Dire che questo “non significa nulla” significa non solo non aver capito la teoria libertaria dei contratti, significa non avere capito le basi del liberalismo e del libertarismo. Significa essere, come le ho già detto, statalisti.

      Se poi, in una situazione in cui ci fosse la libertà contrattuale (cioè in una situazione diversa da quella socialista attuale), una parte oppure anche tutte le banche proponessero ai depositanti dei contratti di deposito che rendono possibile la riserva frazionaria e questi li accettassero, il problema cambierebbe in meglio, nel senso che non sarebbe più violata la libertà contrattuale, ma rimarrebbe comunque pessima perché, come argomenta Huerta de Soto nei passaggi citati sopra, in quel caso si avrebbe o “error in negotio” o impossibilità tecnica e quindi il contratto sarebbe necessariamente invalido.

      Lei non riesce a vedere questo perché, inspiegabilmente, non riconosce il fatto oggettivo che, nell’esempio dell’articolo, Tizio e Caio avrebbero entrambi la disponibilità sullo stesso denaro: cioè lei ritiene, assurdamente, che nel momento in cui Tizio deposita 1.000 euro in banca egli (pur rinunciando, nel senso precisato nel commento del 26 Febbraio 22:56, alla ‘proprietà’ (fra virgolette) del denaro depositato), rinuncerebbe alla sua disponibilità: cioè che nel momento in cui egli deposita in banca 1.000 euro e la banca gli dà il bancomat per pagare i suoi acquisti in realtà gli sta dando il bancomat perché Tizio lo incornici e se lo appenda in bagno e quei 1.000 euro sono soldi di cui Tizio si è generosamente privato per prestarli alla banca.

      No, Huerta de Soto e Mises hanno perfettamente ragione: quando Tizio deposita i suoi 1.000 euro in banca egli mantiene la sua disponibilità su di essi; quando, mediante il meccanismo della riserva frazionaria, la banca presta parte di questi soldi a Caio, anche Caio ha una disponibilità su quel denaro. Da qui nasce il problema della riserva frazionaria e deli cicli economici di boom e crisi (e quindi, in assenzadelle banche centrali, di corsa agli sportelli) che essa necessariamente produce.

      Ma con questo la teoria libertaria dei contratti, che lei sa ripetere (o copiare e incollare) ma che non ha capito, c’entra solo indirettamente. A causa dell’articolo 1834 del Codice Civile che lei cita, e cioè del fatto che lo Stato si intromette dove non dovrebbe e, così facendo, limita la libertà contrattuale, l’attuale contratto di deposito bancario regolato da quel codice, anche se volontariamente sottoscritto, non è compatibile con la teoria libertaria dei contratti.

  • franco Grassi

    Scusate se avete gia’ affrontato il tema, il post e le risposte sono lunghissimi e li leggero’ con comodo stasera.

    La mia domanda e’ semplice, ma i rendete conto che non si puo’ uscire dalla riserva frazionale cosi con uno schiocco delle dita? La teoria e’ bella ma la pratica potrebbe non esserlo.

    Sono io che non ho capito qualcosa, oppure il gigantesco “deleveraging” impiegherebbe qualche decina di anni se non si vuole precipitare il paese nella girandola di fallimenti?

    Pensando che fra x giorni, si esce dalla riserva frazionaria, i direttori delle banche dovrebbero chiamare il 90% e forse piu’ dei loro debitori per chiedergli di ricoprire il debito in x-1 giorno

    Sono io che interpreto male? Dove sbaglio?

    fg

    • Giovanni Birindelli

      Lasua domanda è giusta e tira in ballo non i principi (il punto di arrivo) ma la strategia (il modo per arrivarci). Alcuni sono a favore di un approccio graduale, altri di un approccio immediato (che alla fine sarebbe necessariamente anch’esso graduale ma meno): entrambi hanno vantaggi e svantaggi. La grossa differenza, tuttavia, non è fra coloro che, condividendo la destinazione, hanno idee diverse sulla rotta da seguire, ma fra coloro che hanno in mente destinazioni diverse. Pensi a un tossicodipendente che si ineitta dosi di eroina necessariamente sempre maggiori: alcuni (come lei) possono sostenere una strategia graduale per la disintossicazione (per timore che il paziente altrimenti non reggerebbe); altri, invece, possono sostenere una terapia d’urto (per timore che una terapia graduale non funzionerebbe). Per quanto importanti siano queste differenze, esse sono trascurabili rispetto a quelle fra chi sostiene che dosi sempre maggiori di eroina migliorino la salute della persona e chi sostiene che invece portino la persona alla morte.

      Detto questo, come ricordo nell’articolo, la riserva frazionaria, aumentando la quantità di credito a disposizione, ha prodotto informazioni sbagliate (in particolare sul tasso d’interesse). Sulla base di queste informazioni sbagliate sono stati fatti investimenti sbagliati. Non si può uscire dalla crisi e intraprendere un percorso di crescita sostenibile se non si ripulisce il sistema da questi investimenti sbagliati (a cui ha indotto la manipolazione monetaria e del credito in generale e la riserva frazionaria in particolare).

      • franco Grassi

        Come Lei giustamente dice,

        …. Sulla base di queste informazioni sbagliate sono stati fatti investimenti sbagliati. …

        Quindi quasi due secoli di riserva frazionaria hanno avuto un impatto profondissimo non soltanto su finanza e a cascata sull’economia, ma anche sulla cultura, per togliere la riserva frazionaria c’e’ da fare anche un

        “unwinding culturale enorme”

        Nessuno si puo’ immaginare cosa ne uscira’. Useremo automobili vecchie di 50 anni come a Cuba??

        Personalmente sto cercando di ridurre il mio stile di vita, di consumi, e soprattutto di aspettative. Se sai che niente di e’ garantito per legge, forse, ……e dico forse, riuscirai ad adattarti al grande mutamento senza estinguerti. Questo e’ quello che dico ai miei figli, il resto e’ un grande punto interrogativo

        franco

  • Enrico

    @ Giovanni Birindelli

    Se uno firma volontariamente un contratto, ma senza leggerlo, resta comunque un contratto vontariamente accettato. Chi deposita i soldi in una banca ha volontariamente firmato un contratto di deposito bancario; anche se non lo ha letto, resta pur sempre un contratto vontariamente accettato. Dunque l’esperimento da lei suggerito è irrilevante al fine di obbiettare qualcosa alle mie affermazioni. Colgo l’occasione per suggerirle lo studio della visione libertaria in materia di contratti volontari.

    Il fatto che il Codice Civile italiano descriva cosa è un deposito bancario significa che ogni correntista sa (o dovrebbe sapere, poiché non si tratta di un segreto ma di una informazione di pubblico dominio – peraltro riguardante un contratto da lui volontariamente accettato) in cosa consiste un deposito bancario. Questo è rilevante. Questo significa che anche l’altra sua obiezione (cioè la fantasiosa ipotesi che io “penda dalle labbra dell’autorità”) è insulsa, ovvero non smentisce in alcun modo ciò avevo scritto nel mio primo commento.

    Vediamo ora cosa scrive De Soto:

    1) “il fine originale del contratto…non è altro che custodia e sicurezza del tantundem”

    Questa è un’idiozia. Il ‘fine originale’ di un contratto è ciò che il contratto stabilisce. Il deposito bancario è un contratto che non prevede la custodia di una quantità di soldi pari ad ogni deposito effettuato.

    2) “l’intenzione [dei correntisti] è quella di affidare i loro soldi alla banca per custodia”

    Questa è un’altra idiozia. Se quella fosse l’intenzione dei correntisti, non firmerebbero un contratto che smentisce quell’intenzione.

    .

    Faccio presente che il deposito bancario non necessita di alcun intervento legislativo: si tratta di un contratto tra privati e, in quanto tale, ogni libertario dovrebbe rispettarlo. Nulla le vieta di rispondermi che lei non è un libertario, ci mancherebbe!

    Mi permetta inoltre un’osservazione su ciò che lei propone di fare: (a) rinominare gli attuali depositi bancari in ‘prestiti’; (b) creare una forma di custodia del denaro, ridefinita ‘deposito’. Poiché per ovvie ragioni nessuno utilizzerà i contratti di tipo (b) – altrimenti le banche li offrirebbero già, non trova? si chiama concorrenza – di fatto la sua proposta consiste nel cambiare il nome di un tipo di contratto attualmente esistente. La domanda è: crede davvero che ciò abbia una qualche influenza economica? Crede davvero che i cicli di boom&bust abbiano a che fare con un nome anziché un altro?

    • Giovanni Birindelli

      @ Enrico

      Sono io che colgo l’occasione di suggerirle lo studio della visione liberale (ma anche di quella libertaria) in materia di contratti volontari (e, più in generale, i testi fondamentali di filosofia politica liberale e libertaria, perché se vuole fare discussioni di questo tipo ne ha bisogno).

      Le anticipo comunque qualcosa. I contratti volontari possono essere raggruppati in due grandi categorie, che possiamo chiamare statalista e liberale.

      Il contratto volontario statalista (quello che si intende oggi come contratto volontario in sistemi totalitari come il nostro e quello che lei difende) prevede:

      1. che ci siano necessariamente tre parti: Tizio, Caio e lo Stato
      2. che Tizio e Caio si accordino sui termini di uno scambio nei limiti di ‘legge’
      3. che la ‘legge’ (l’articolo 1834 del Codice Civile che lei cita) sia costituita dalle decisioni arbitrarie di chi detiene il potere politico;

      Un corollario del punto 3 è che la ‘legge’ è formata da innumerevoli codici e codicilli che non hanno nulla a che vedere con la legge intesa come principio e che è impossibile per qualunque persona, anche se fosse un avvocato e non facesse altro nella vita, conoscerla in ogni dettaglio.

      Quindi l’accordo fra Tizio e Caio in questo caso è formato da due parti:

      A. La parte che dipende dalla volontà di Tizio e Caio: per esempio, in un contratto di lavoro, il compenso (e a volte oggi nemmeno quello).
      B. La parte che non dipende dalla volontà di Tizio e Caio, ma che dipende dalla volontà di chi detiene il potere politico illimitato. Questa parte è costituita dalla ‘legge’ fatta dallo Stato (l’articolo 1834 del Codice Civile che lei cita) che, essendo costituita da provvedimenti particolari che, in quanto tali, tendono a essere infiniti in quantità tanto quanto assurdi, non è generalmente conosciuta da Tizio e Caio, a meno che ci siano dei casini: in quel caso entrerebbero in gioco gli azzeccagarbugli e i codicilli rilevanti verrebbero discussi in tribunale.

      Generalmente la parte B è molto maggiore della parte A, da cui il prevedibile risultato dell’esperimento che le ho suggerito di fare.

      Il tipico esempio sono gli attuali contratti di lavoro, di affitto e di deposito, per esempio.

      Poi c’è il contratto di lavoro liberale o libertario (i due differiscono in aspetti che qui non è necessario discutere: per i fini che ci interessano possiamo considerarli equivalenti) che prevede:

      1. che ci siano necessariamente solo due parti (non tre): Tizio e Caio
      2. che Tizio e Caio si accordino sui termini di uno scambio nei limiti di legge
      3. che la legge sia costituita da un principio astratto e generale

      Un corollario del punto 3 è che la legge è costituita da pochissimi principi generali e astratti, cioè da regole di comportamento valide per tutti nello stesso modo, le quali generalmente sono conosciute da Tizio e Caio che hanno cominciato ad assimilarle dall’ambiente circostante fin dalla nascita. Una differenza fra l’approccio liberale e quello libertario è che per il primo (p. es. Hayek) questa legge deve essere difesa dallo Stato (secondo un “sotto-approccio” sempre, secondo un altro “sotto-approccio” solo in ultima istanza), mentre per il secondo (p. es. Rothbard) questa può essere difesa privatamente. Come dicevo, tuttavia, a questo stadio questa differenza fra i due approcci è irrilevante.

      Quindi l’accordo fra Tizio e Caio è formato da due parti:

      A. La parte che dipende dalla volontà di Tizio e Caio, che generalmente è molto maggiore che nel caso precedente.
      B. La parte che non dipende dalla volontà di Tizio e Caio. Questa parte, essendo la legge intesa come principio generale e astratto (sia che uno la intenda come legge naturale – p. es. Rothbard – sia che uno la intenda come ordine spontaneo – p. es. Hayek) è generalmente perfettamente conosciuta o comunque ‘sentita’ sia da Tizio che da Caio.

      Quindi non solo la parte A è maggiore di prima e la parte B infinitamente minore rispetto al caso precedente ma entrambe sono generalmente conosciute sia a Tizio che a Caio, da cui deriva il fatto che un risultato analogo a quello dell’esperimento che le ho suggerito sarebbe impossibile.

      Il tipico esempio sono i contratti di lavoro, di affitto e di deposto che ci sarebbero in una società libera, e non socialista come quella attuale.

      La posizione che lei difende (che è quella che difende lo Stato italiano che ha imposto l’articolo 1834 del Codice Civile che lei cita) non è altro che il contratto volontario di tipo statalista. Quindi lei è uno statalista: ovviamente ha tutto il diritto di esserlo, ma almeno non dica di essere libertario e non sventoli una conoscenza della teoria libertaria dei contratti volontari che non ha.

      Per quanto riguarda la sua osservazione su quello che io propongo di fare, quello che io propongo di fare non è affatto rinominare alcunché, come sostiene lei, ma distinguere il deposito dal prestito nell’attività bancaria e introdurre il contratto volontario di tipo liberale. Se lei non è in grado di capire la differenza (cioè se lei non è in grado di capire che io non ritengo affatto che i cicli economici abbiano a che fare con un nome invece che un altro), è un problema suo (probabilmente dovuto all’assenza di letture liberali/libertarie di cui sopra).

      Saluti.

      • Giovanni Birindelli

        Errata corrige: NON “Poi c’è il contratto di lavoro liberale o libertario” MA “Poi c’è il contratto volontario liberale o libertario”

  • Enrico

    Cito dall’articolo:

    “Se Tizio prestasse i suoi 1.000 euro alla banca A egli rinuncerebbe alla disponibilità di quei 1.000 euro. Questa disponibilità verrebbe trasferita alla banca A, che dovrebbe compensare Tizio con un tasso d’interesse: in questo caso non ci sarebbe nessun problema”

    Infatti è quello che succede oggi. Come specifica il Codice Civile, articolo 1834:

    “nei depositi di una somma di danaro presso una banca, questa ne acquista la proprietà” ( http://www.dirittoprivatoinrete.it/deposito_bancario.htm )

    Quindi Tizio e Caio NON hanno contemporaneamente la disponibilità sugli stessi soldi. Non c’è alcun crimine o privilegio: si tratta di un contratto liberamente accettato dai contraenti.

    Le banche possono concedere credito solo se chi ha depositato i propri soldi non li usa (cioè non li ritira). Ovvero possono aumentare l’offerta di moneta solo proporzionalmente all’aumento dei risparmi. Viceversa, è la banca centrale a poter espandere l’offerta di moneta in maniera del tutto slegata dai risparmi; è dunque quest’ultima a danneggiare il processo economico.

    • Giovanni Birindelli

      Faccia un esperimento: chieda a mille persone che hanno depositato 1.000 euro in banca se ritengono di avere la disponibilità di quei soldi oppure no, cioè se ritengono di possedere in banca sufficienti soldi per pagarsi una cena oppure no. Vediamo se riesce a trovarne uno solo sano di mente che risponde “no”.

      Il fatto che il codice civile italiano (o di qualunque altro paese: in Spagna per esempio l’articolo 1768 del codice civile è identico) dica quello che dica è del tutto irrilevante, perché quella roba lì non è la legge: quella roba lì sono i provvedimenti particolari che la legge era nata per impedire. Coloro che pendono dalle labbra dell’autorità a cui riconoscono un potere assoluto e illimitato (cioè i positivisti come lei) non riescono di solito a capirlo perché non riescono a concepire la legge: essi riescono a concepire solo i comandi.

      Per rispondere alla sua domanda, basterebbe il risultato dell’esperimento che le ho proposto. Ma sul piano teorico le faccio rispondere da de Soto, la cui chiarezza è difficilmente eguagliabile: “la posizione secondo la quale la supposta autorizzazione (espressa o tacita) da parte del depositante converte il contratto di deposito irregolare (*) in un prestito … è da un lato superflua e, dall’altro, inesatta. Essa è superflua nel senso che tutti i contratti di deposito irregolare, per la loro stessa natura, comportano il trasferimento della ‘proprietà’ (**) e il potere di usare il bene (il che è compatibile, come è logico, con l’obbligazione fondamentale di mantenere il 100% del tantundem come riserva). Dall’altro, questa posizione è inaccurata in quanto, anche se il potere di usare il bene è trasferito, in nessun modo questo altera il fine originale del contratto, che non è altro che custodia e sicurezza del tantundem. Di fatto, in relazione alla supposta autorizzazione (espressa o tacita) a usare il bene depositato, ci sono tre sole possibilità logiche. In primo luogo possiamo supporre che la grande maggioranza dei depositanti non sia al corrente che depositando i soldi in banca essi allo stesso tempo autorizzano la banca a utilizzarli in affari privati … questo è un caso tipico di “error in negotio”, che è un errore concernente la natura della transazione la quale è di conseguenza nulla. … In secondo luogo, possiamo ipotizzare che i depositanti … concludono un contratto di deposito perfettamente consapevoli e d’accordo sul fatto che la banca investirà (o presterà) una gran parte del denaro da loro depositato. Anche se fosse così, questo essere a conoscenza e questa ipotetica autorizzazione non modificano di una virgola la causa essenziale o scopo del contratto per questi depositanti la cui intenzione è quella di affidare i loro soldi alla banca per custodia [l’esperimento che le ho suggerito, n.d.r.] … in questo caso il contratto di deposito … è impossibile da un punto di vista tecnico e legale. Infatti se autorizzano la banca a usare il denaro non ne hanno più la disponibilità, che era la ragione del deposito. … [c’è anche una terza possibilità che viene smontata ma essendo minore e facile da smontare la tralascio, n.d.r.] … In breve, da qualunque parte uno veda la cosa, il contratto di deposito irregolare nonn può essere equiparato al prestito. I due sono essenzialmente incompatibili e l’esistenza del sistema della riserva frazionaria, nonostante il fatto che sia un ‘mostro’ e una ‘aberrazione legale’, può essere spiegato solo dal fatto che esso è stato inizialmente tollerato e dopo deliberatamente legalizzato da coloro che detengono il potere politico” Huerta De Soto, J., 2009, “Money, Bank Credit and Economic Cycles” (Mises Institute, Auburn), pp. 140-6.

      (*) con contratto di deposito “irregolare” de Soto non vuol dire illegale ma si riferisce ai depositi di beni non distinguibili fra loro come il denaro, in cui rimane la disponibilità del “tantundem” cioè di un ammontare equivalente in quantità e qualità, ma non dei beni specifici (p.es. delle stesse banconote fisiche che uno ha depositato). Il deposito irregolare si contrappone a quello “regolare” in cui invece vengono depositati beni (come un orologio d’oro ad esempio) i quali sono distinguibili e quindi in cui rimane la disponibilità non del tantundem ma quella dell’oggetto fisico.

      (**) Proprietà è fra virgolette in quanto non si intende la proprietà in senso ‘pieno’ (che implicherebbe il trasferimento della disponibilità) ma solo in senso limitato: visto che il denaro non è un bene distinguibile fisicamente la ‘proprietà’ del denaro fisco passa alla banca la quale tuttavia deve mantenere la disponibilità del tantundem, di nuovo de Soto: “il contratto di deposito irregolare rappresenta un deposito di beni fungibili in cui è impossibile distinguere fra i singole unità di beni depositati, e quindi un certo trasferimento di ‘proprietà’ ha luogo. Questo avviene solo nel senso che la banca non è tenuta a restituire le stesse unità fisiche ricevute [per esempio le stesse banconote fisiche, n.d.r.] (il che sarebbe impossibile …), ma altre di stessa quantità e qualità (il tantundem). Tuttavia, anche se [in questo senso limitato] un trasferimento di proprietà può essere stabilito, la DISPONIBILITA’ non è trasferita alla banca, perché nel contratto di deposito irregolare essa è obbligata a custodire continuamente il tantundem del deposito e quindi deve sempre mantenere disponibili per il depositante unità della stessa quantità e qualità di quelle originariamente ricevute (anche se non devono essere le stesse unità fisiche)” Huerta De Soto, J., 2009, “Money, Bank Credit and Economic Cycles” (Mises Institute, Auburn), pp. 178-9.

  • nicola

    bell’articolo l’ho capito anche io, ma spiegarlo a travaglio sara’ impossibile e anche se lo fosse col cazzo che lo direbbe agli ascoltatori xche’ e un fa odienc, saluti

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