In Anti & Politica, Economia, Libertarismo

TasseDI LEONARDO FACCO

La “disinformatia” era la tecnica usata, ed abusata, dal regime sovietico per alterare la realtà. Anche le democrazie – che non sono altro che regimi in cui è concesso il diritto di scegliersi il padrone – hanno imparato a farne un sapiente uso e, nel caso delle gabelle, trovano sempre il modo per raccontarci che in fondo la “situazione è grave ma non seria”.

Ieri, tutti i giornali hanno rilanciato questa notizia con enfasi: Sale ancora il peso del fisco sul reddito nazionale (Pil). Nel quarto trimestre del 2012, rileva l’Istat, le entrate totali sono cresciute, in termini tendenziali, del 2,4% con un’incidenza sul Pil del 56,3%, in significativo aumento – sottolinea l’Istituto di statistica – dal 54,5% del corrispondente trimestre del 2011′. La pressione fiscale raggiunge, nel quarto trimestre 2012, il 52,0%, con un aumento di 1,5 punti percentuali rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. Complessivamente, nel 2012, le uscite totali sono aumentate dello 0,7% rispetto all’anno precedente, risultando pari al 50,6% del Pil (49,9% nel 2011); le entrate totali sono cresciute in misura maggiore rispetto alle uscite (+2,5%), con un’incidenza sul Pil del 47,7% (46,2% nel 2011). La pressione fiscale per l’intero anno scorso, risulta pari al 44,0%, in aumento di 1,4 punti percentuali rispetto al 2011”. Un bell’esempio di disinformatia.

Cominciamo col fare chiarezza su questo fantomatico Pil, definito il “reddito nazionale”. In teoria, esso rappresenta la ricchezza totale prodotta da ogni soggetto (fisico e giuridico) tassato in Italia. Bene, ma quale ricchezza producono i dipendenti pubblici, il cui reddito sta dentro al pancione del Pil? Ve lo dico io: zero! Il loro reddito non è altro che una partita di giro, vale a dire che ciò che gli statali (di vario genere e grado) incassano è solo il frutto delle le tasse di chi lavora e produce in quel poco di libero mercato che esiste in questo postribolo collettivista. Ancora: il calcolo grossolano citato sopra – che piace tanto agli economisti di regime – della pressione fiscale come rapporto fra entrate tributarie e Prodotto Interno Lordo è una convenzione e non corrisponde affatto al reale peso del Fisco su ciascun contribuente. Esistono studi, di varia natura e di varia fonte (da Price Water House Cooper a Confartigianto fino alla Cgia), che ci ricordano che il “total tax rate” (leggasi pressione fiscale) varia tra il 70 e l’84% del fatturato dei diversi soggetti operanti in Italia.

Nel lontano 2007, l’economista Samuel Magiar, analizzò (come riportato nel libro Elogio dell’evasione fiscale) la busta paga di un italico lavoratore e giunse alla conclusione – nel 2007, ribadisco! – che la pressione fiscale era pari al 69.7%! Sei anni fa e ben prima dell’avvento degli ultimi governi estorsori, Mario Monti compreso. Ecco, di seguito, come Magiar calcolò il vero gravame dello Stato lenone su quanto un dipendente portava a casa a fine mese un lustro fa. Facciamolo con uno specchietto:

elogio_fiscale100: il netto che un lavoratore percepisce.

53: la parte di trattenute che un lavoratore manco vede, causa il sostituto d’imposta. Da qui si deduce che il valore reale del lavoro offerto da un dipendente, e che un imprenditore paga di tasca sua, è pari a 153.

9: il totale dei contributi volontari pagati dal lavoratore.

21: l’ammontare dell’IRPEF.

13: l’Iva che mediamente un cittadino paga sui vari beni e/o servizi acquistati.

7: incidenza delle varie accise e imposte in genere sui carburanti.

0,5: imposte afferenti spese tipo bollo dell’auto, canone televisivo, marche varie.

1: il peso dell’ICI (stiamo parlando dell’anno 2007).

Facciamo la somma: 9+21+13+7+0,5+1 dà come risultato 51,5. Il che significa che al dipendente rimane in tasca 48,5 di quel 100 (100-51,5) che si ritrova accreditato in banca. Dati questi numeri, come si calcola la reale pressione fiscale? Semplice, a fronte di quanto realmente l’imprenditore paga per la prestazione d’opera offerta (100+53=153) si fa una proporzione con riferimento ai 48,5 che avanzano. 48:153=x:100. Il risultato è che il netto che rimane nelle mani di un dipendente è pari a 31.3. Ergo, il 69,7% della busta paga del lavoratore se la pappa il Leviatano! Comprì?

Il calcolo di cui sopra, repetita juvant, è riferito ad oltre un quinquennio fa. Credo non serva, a questo punto, elencarvi le nuove tasse e nemmeno quanto siano aumentate quelle esistenti, per concordare sul fatto che rispetto a quando Magiar fece i suoi calcoli la situazione è assai peggiorata. Eppure, nonostante l’enormità della rapina impunemente perpetrata ai nostri danni da una casta di parassiti, il governo non ne ha mai abbastanza ed ha sempre le tasche vuote. Al punto tale che, sulla scorta di quanto accaduto a Cipro, c’è il gran ciambellano di Unicredit che suggerisce di confiscare i denari dei correntisti dalle banche, come fece Giuliano Amato nel 1992.

Quale è l’epilogo di questa storiella? Al netto degli insulti che verrebbero spontanei, non fatevi stordire da chi istiga all’invidia e all’abolizione dei paradisi fiscali. E dite ai padroni del vapore dell’inferno in cui ci costringono a sopravvivere che se la pressione fiscale fosse realmente pari al 52%, domani cominceremmo a pasteggiare a champagne!

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Showing 4 comments
  • Marco Tizzi

    Da ateo una cosa mi ha sempre confuso: ma il paradiso non è un concetto positivo?
    Non mi è chiaro perché il cittadino dovrebbe combattere i paradisi per vivere in un inferno.
    O forse sì: Lucifero s’è fatto furbo e ha capito che i demoni devono essere più dei dannati. Così può creare un inferno democratico ed essere sempre certo della sua vittoria.

  • Anche l’IRPEF viene trattenuta dal datore di lavoro salvo conguaglio con il 770. Quindi andrebbe conteggiata tra le trattenute. Segue una busta paga reale di un mio dipendente:
    Retribuzione alla mano: €1422 = 100
    Trattenute
    INPS carico dipendente: €199,48 = 14
    INPS/INAIL e più carico datore di lavoro: €785 = 55
    IRPEF: €492,22 = 34,61
    Il che vuol dire che pago 203 a fronte di 100 in tasca al lavoratore di cui il lavoratore spende in tasse per vivere 9+13+7+0,5+1= 30,5×203/151=40,87 (quest’ultima proporzione l’ho inserita per compensare l’aumento del denominatore nel mio metodo di calcolo)
    Quindi da una busta paga di 203 lordi il lavoratore prende 100-40,9=59,1 il leviatano prende il 70,87%.

    Sempre una cifra enorme.

    • Fabio

      e col netto che ti resta in mano poi fai la spesa:
      su quello che spendi paghi l’iva al 21%, benzina al 80%…. ed oltre l’iva, su quei prodotti paghi a quella società le tasse che ti sta ribaltando.

      Mi spiego meglio, la benzina per esempio è piena di tasse ed accise, ma anche prendendo solo il netto non è tutto utile, perché tutti i costi sono gonfiati da tassazioni varie: il costo degli stipendi è gonfiato dalla tassazione dei dipendenti, il costo di ogni cosa che compra l’azienda è gonfiato a sua volta dalla tassazione diretta sulle aziende fornitrici, il dividendo sarà poi tagliato ulteriormente da tassazione sulle persone, ecc….

      una volta scoperchiata la voragine viene la vertigine !

  • Sigismondo di Treviri

    Il gran ciambellano di Unicredit è un furbo. Con questa uscita, molti correntisti toglieranno la maggior parte dei soldi dal c/c per investire in azioni, fondi, obbligazioni e pronti contro termine, possibilmente Unicredit. Senza contare il gran numero diquelli che pur di avere un approdo sicuro sposteranno il capitale dal conto corrente ai BOT, BPT, ecc, continuando così a finanziare lo Stato. Non è matto il Ciambellano, soltanto scaltro.

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