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plotonetassazioneDI REDAZIONE

L’argomento tasse è complesso e ha molte diverse sfaccettature.

Troppo spesso lo si strumentalizza per dividere le persone in vere e proprie tifoserie, utili a un partito piuttosto che all’altro, ma soprattutto efficaci per un sistema che vuole continuare a fare i propri comodi.

Posto che sarebbe comunque ipotizzabile (e realizzabile) un ordinamento nazionale e internazionale dove gli Stati non fossero preda dell’indebitamento forsennato e non avessero bisogno delle tasse, se non come strumento tecnico per arginare un’eventuale spinta inflazionistica, mi limito a ragionare, in queste conclusioni, sulla base delle attuali strutture che regolano il contratto sociale fra individui e Paese.

L’idea generale che norma la nostra società è la capacità contributiva di ciascuno alle spese dello Stato. 

Come ribadito da Leonardo Facco,“La democrazia è la scusa più ricorrente utilizzata dai sostenitori della tassazione. La maggioranza dei cittadini ritiene la tassazione legittima, e tanto basta: chi non ci sta, che emigri”. Ma come si è visto, le forzature e gli artifici messi in campo per il prelievo fiscale sono molto più consoni a un regime che può definirsi in molti modi, eccetto che democratico.

Per chiarire meglio, io sono assolutamente convinta che, mentre le persone più libere e informate lavorano alla costruzione di una società democratica e proprietaria della moneta, sarebbe cosa buona e giusta pagare tutti per pagare meno, pagare tutti per avere migliori servizi, pagare tutti per godere dei conseguenti vantaggi messi a disposizione dallo Stato.

Ho sempre detestato i furbi e gli approfittatori, quindi figuriamoci cosa posso pensare di chi alloggia denaro e attività in modo illecito o nascosto.

Ma chi liquida tutto il ragionamento sul ritornello del facile e strumentale ‘parassitismo degli evasori‘ oggi merita un pari giudizio stroncante.

Lo ammetto. Se lo Stato mi avesse messo in condizioni di avere la capacità contributiva, mi piacerebbe poter pagare le tasse che fossero impiegate nell’ambito dell’educazione, della sanità, della ricerca (solo ed esclusivamente indipendente, ovvero l’opposto di ciò che è oggi), del sostegno alle famiglie, all’impiego, o per ammortizzatori sociali. Sarei responsabilmente convinta della necessità di doverle pagare, se la loro incidenza fosse affrontabile o comunque sopportabile. Sarei serena, se al momento del prelievo (dalle buste paga, alla dichiarazione dei redditi, agli acquisti, ecc.), potessi contare su meccanismi trasparenti, su strumenti efficaci e su riscossori onesti e ‘umani’. Sarei felice di pagare le tasse, se il prelievo fiscale si basasse realmente su presupposti come la lealtà, l’equità, la fiducia, la giustizia.

Ma questa è l’isola (fiscale) che non c’è.

In Italia oggi il prelievo è assolutamente insostenibile, fra tassazione palese, occulta o addirittura doppia (come nelle bollette o sui carburanti). È talmente soffocante da spingere addirittura in diversi casi a dover accendere un mutuo (ammesso che venga concesso) per pagarle. È talmente straziante da arrivare a indurre al suicidio alcuni imprenditori.

In questo paese, oltretutto, i soli interessi su un debito pubblico (che non potrà mai essere estinto) divorano ben oltre la metà dell’intero gettito fiscale. Il resto, fra sprechi, acquisto di armamenti, esportazioni di democrazia (ma quale?!), opere inutili e dannose, si perde nei mille rivoli dell’inutilità.

Non a caso, i servizi pubblici e le infrastrutture, anziché migliorare, vista la continua escalation delle tasse, diminuiscono e peggiorano giorno dopo giorno. Servizi pubblici per cui paghiamo le tasse ma che, come per le accise sulla guerra coloniale in Etiopia, non ci sono più, perché ‘venduti’ in base alle decisioni della troika che ci ha convinti a ‘privatizzare’ o perché divenuti Società per Azioni a maggioranza pubblica (ma basate sulla logica del profitto e sul diritto privatistico).

Il risultato?
Prima si pagavano le tasse per garantire i servizi; ora si pagano le tasse per gli stessi o per minori servizi, più le tariffe richieste dai nuovi gestori privati.

In questa Italia così ‘democratica‘, il popolo, anziché governare, subisce le decisioni e gli artifici di chi amministra, con armi sorde, pretestuose, fallaci e irrazionali, che arrivano a utilizzare persino tazzine di caffè, tovaglioli, bottiglie di acqua e casse da morto per imporci il taglieggio delle tasse.

Un conoscente, sapendo del lavoro di analisi che mi accingevo a svolgere per questo libro, mi aveva ironicamente suggerito la produzione di un testo intitolato “Tutto quello che c’è da sapere sulle tasse“, che sarebbe stato pieno di pagine bianche con una sola parola alla fine:paga!

Questa è la percezione del prelievo fiscale oggi: una ghigliottina che ci lascia senza fiato. Una corda che stringe il collo di chi non arriva a fine mese, di chi oggi sceglie di permettersi solo il pane, perché non ci sono i soldi per comprare la pasta. Un cappio che si stringe attorno alla gola di chi pure vorrebbe fare il proprio dovere, ma si dispera perché non ha i soldi per farlo, mentre le ricchezze di branchi di squali s’involano verso qualche paradiso fiscale.

Allora, è questo lo stato democratico che merita il nostro ‘sangue’?

In questo libro ho voluto lasciare, come Pollicino, qualche briciolina qua e là, perché ciascuno decida di compiere la sua battaglia e trovare una via d’uscita.

Ma se a cercare una soluzione fossimo in tanti, potremmo rivolgere il pensiero alla rivoluzione fiscale di Gandhi che dovrebbe pur averci insegnato qualcosa, a cominciare dalla forza di non arrendersi mai. (www.macrolibrarsi.it)

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Showing 3 comments
  • Bortolo

    “In questo paese, oltretutto, i soli interessi su un debito pubblico (che non potrà mai essere estinto) divorano ben oltre la metà dell’intero gettito fiscale.”

    Entrate fiscali 2012: 423 miliardi 903 milioni.
    Spese per interessi 2012: 86,7 miliardi. Pari a un quinto del gettito. Dati mef.
    Di grazia, dove ha preso i Suoi dati? Li ha trovati nell’uovo di Pasqua?

    E poi cosa vuol dire che il debito non potrà mai essere estinto? Mi sembra tanto la solita frasetta dei sinistri, in base alla quale vorrebbero risolvere il problema del debito con un colpo di spugna.
    Basta ridurre in modo drastico la spesa pubblica, ed in modo leggermente meno drastico le tasse e, miracolo!, in qualche decennio il debito sparisce.

  • Enrico Sanna

    Questo articolo è una quacquerella.

    Enrico

  • Roberto

    L’idea della tassazione che traspare da questo articolo, nonostante le critiche evidenti alla situazione attuale, non è meno immorale e meno odiosa di quella sostenuta dalle Gabanelli varie…

    L’autrice scrive:

    “Lo ammetto. Se lo Stato mi avesse messo in condizioni di avere la capacità contributiva, mi piacerebbe poter pagare le tasse che fossero impiegate nell’ambito dell’educazione, della sanità, della ricerca, del sostegno alle famiglie, all’impiego, o per ammortizzatori sociali”.

    Questo è un inno al socialismo!

    La frase “se lo Stato mi avesse messo in condizioni di avere la capacità contributiva” dovrebbe far correre un brivido lungo la schiena.
    E’ come dire: “se il padrone fosse tanto gentile da darmi solo 3 bastonate al giorno invece di 10 in modo da non tornare a casa piegata in due, allora potrei accettare l’idea che prendere bastonate è una cosa buona e utile”.

    Un’altra frase sconcertante: “mi piacerebbe poter pagare le tasse che fossero impiegate nell’ambito dell’educazione, della sanità, della ricerca, del sostegno alle famiglie, all’impiego, o per ammortizzatori sociali”.

    Questa non è che la classica scusa utilizzata dai socialisti…
    “Signori, è vero, il sistema non funziona bene, ma bisogna continuare a pagare perché quando il sistema funzionerà alla perfezione (cioè quando le poltrone saranno occupate da noi) utilizzeremo le tasse a fin di bene!”

    Questa concezione è basata sull’idea che la coercizione diventa accettabile quando il fine è l’educazione, oppure la sanità, la ricerca, e gli ammortizzatori sociali…
    Come se il fatto che lo Stato decida di attribuirsi (naturalmente sempre sotto minaccia di ritorsione) l’esclusiva su aspetti positivi del vivere civile cancelli l’ingiustizia e la prevaricazione di fondo del sistema “paga-stupendi-servizi-non-richiesti-o-è-peggio-per-te”.

    E ammettendo anche la possibilità che lo Stato riesca a fornire dei servizi di qualità straordinaria, chi può assicurarci che l’aver sottratto al mercato determinati settori non abbia impedito al settore privato di fornire servizi ancora migliori e a costi minori?
    E’ per questo che, ad una riflessione più approfondita, l’idea che esista un livello servizi/tassazione accettabile è solo uno dei tanti sottili inganni del socialismo per assicurarsi che a nessuno venga in mente di accettare la possibilità di un sistema diverso.

    Concludo dicendo che, in fondo, lo Stato in effetti già oggi utilizza buona parte del prelievo fiscale per gli ammortizzatori sociali tanto sperati dall’autrice.
    Lo Stato, infatti, già paga stipendi e immeritate pensioni a milioni di suoi sodali, i quali, in una società realmente civile, avrebbero difficoltà ad ammortizzare la differenza tra la loro reale produttività e quanto oggi è invece frutto dell’espropriazione dei frutti del lavoro altrui.

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