In Economia

DI MATTEO CORSINI

Nel consueto articolo domenicale sul Sole 24 Ore, Marcello Minenna analizza l’andamento dello spread di BTP e Bonos spagnoli rispetto ai titoli di Stato tedeschi e, prima di (ri)lanciare l’idea di un piano di investimenti pubblici ad alto moltiplicatore sotto la supervisione europea come via per fare crescere l’Italia e soprattutto il suo meridione, individua tra le cause delle divergenze tra i due spread il Quantitative Easing della Bce.

Il quale “affidando l’acquisto dei titoli di Stato alle banche centrali nazionali (finanziate dalla Bce) – ha spinto sino al record di mille miliardi di euro il credito Target2 della banca centrale tedesca, equi-ripartito verso Italia e Spagna e indicativo di quanti rischi siano stati segregati in questi due paesi. I mercati danno però una ponderazione diversa e peggiore dei rischi all’Italia per via della crescente instabilità politica ed insofferenza verso gli indirizzi europei, a cui si aggiunge il giudizio negativo sulla traslazione in spesa corrente degli spazi di manovra fiscale.”

Quando fu lanciato il QE, Minenna non condivise l’impostazione (voluta per lo più dai tedeschi) di fare confluire nel bilancio della BCE solo l’8% dei titoli, lasciando il resto nei bilanci delle banche centrali nazionali. All’epoca io mi limitai a osservare che i rischi sarebbero stati solo apparentemente non condivisi, dato che si sarebbero potuti accumulare saldi crescenti in Target 2 i quali, in caso di uscita di un Paese dall’euro, ben difficilmente non avrebbero dato luogo a un default almeno parziale, con perdite a carico delle banche centrali (quindi degli Stati) a credito in Target 2.

Minenna in altre occasioni si lamentò tra l’altro del fatto che nel programma di acquisto di titoli precedente il QE (il Securities Market Programme, o SMP), la BCE finì per beneficiare la Bundesbank (quindi la Germania) in quanto maggiore azionista della BCE medesima, ripartendo i proventi derivanti dalle cedole di quei titoli, molti dei quali italiani.

Non è un mistero che la quota retrocessa dalla Banca d’Italia al Tesoro, tra utili e tasse, sia andata crescendo negli ultimi anni, proprio per via del QE. Da ultimo questi maggiori introiti sono serviti come parte della pezza messa dal governo nell’assestamento di bilancio di metà 2019, per rinviare l’apertura di una procedura di infrazione Ue. Il che dovrebbe rallegrare Minenna.

A proposito dei saldi Target 2, tra l’altro, la spiegazione di Minenna non mi pare del tutto convincente. Il fatto è che mentre sui Bund tedeschi, che sono i titoli di Stato più acquistati nell’ambito del programma, c’è un’offerta decrescente e una domanda di mercato quanto meno non decrescente (in realtà crescente in ogni fase di risk-off), nel caso dei BTP c’è un’offerta crescente e una domanda di mercato che, soprattutto nelle fasi in cui in Italia i governanti giocano a fare gli euroscettici minacciando di fare deficit a volontà, tende a diminuire, nonostante le banche domestiche siano ancora imbottite di BTP.

Se il problema fosse negli acquisti decentrati, anche la Bundesbank dovrebbe avere un saldo negativo in Target 2. Così non è, evidentemente.

Al tempo stesso, la Spagna ha un saldo negativo in Target 2, tra l’altro peggiore di quello italiano in rapporto ai rispettivi Pil, anche se il suo spread con la Germania è andato scendendo. Il fatto è che Target 2 non riflette solo i flussi relativi al QE, bensì tutti i pagamenti dell’Area euro.

Immagino già Minenna additare l’enorme avanzo commerciale tedesco che dovrebbe essere ridotto a suon di aumento della spesa pubblica tedesca. Questo è un altro discorso, di cui non mi occupo in questa sede. Resta il fatto che non mi pare proprio che il nocciolo del problema dei saldi Target 2 stia negli acquisti di titoli a livello decentrato.

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