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elogio-negoziodi Cristian Merlo

Ora, nel momento in cui è forte il rischio che tutto collassi sotto il peso dell’insostenibilità finanziaria, di un debito autofertilizzante viepiù inesigibile, oltre che di dinamiche redistributive viziose ed intrise di azzardo morale, essi, nell’illusione di raccattare in qualche modo le risorse che ancora residuano e di mettere in sicurezza il proprio “diritto ad eternare l’assalto alla diligenza”, non indugiano certo a colpire uno degli ultimi scampoli del diritto di proprietà: quello di poter liberamente e volontariamente disporre del proprio denaro, nella misura in cui questo sia la proiezione di ciò che si è legittimamente ottenuto in virtù di qualsivoglia atto creativo (di produzione o di scambio), o di ciò che ci è stato legittimamente trasferito


Sin dalle prime battute di “Elogio del contante”, ultima fatica di Leonardo Facco, recentemente pubblicata per conto del Miglioverde Editore, mi sovveniva alla mente un pensiero fisso: la monumentale, forse tuttora insuperata, descrizione del concetto di “essere governati”, che Pierre – Joseph Proudhon cesellò ne “L’ idea generale di rivoluzione nel XIX secolo”.

Essere governato significa essere guardato a vista, ispezionato, spiato, diretto, regolamentato, schedato, registrato, indottrinato, catechizzato, controllato, esaminato, valutato, censurato, comandato, da parte di esseri che non hanno né il diritto, né la saggezza, né la virtù per poterlo fare. Essere governato vuol dire, in ogni azione o transazione, essere annotato, catalogato, censito, iscritto, tassato, bollato, giudicato, enumerato, valutato, autorizzato, ammonito, proibito, riformato, corretto, punito. O ancora, in forza del pretesto dell’utilità pubblica, ed in nome dell’interesse generale, significa essere messo a tributo, educato, taglieggiato, sfruttato, monopolizzato, estorto, spremuto, mistificato, derubato; in seguito, alla minima resistenza, alla prima parola di lamento, vuol dire essere represso, sanzionato, dileggiato, vessato, calpestato, abusato, randellato, disarmato, strangolato, imprigionato,  giudicato, condannato, fucilato, deportato, sacrificato, venduto, tradito; e per coronare il tutto, ciò postula l’essere schernito, ridicolizzato, oltraggiato, disonorato. Questo è lo Stato; questa la sua giustizia; questa la sua moralità.

E non poteva essere altrimenti. Quali sarebbero mai, del resto, le inconfessate ragioni – al di là delle ridicole ed insostenibili tesi politiche spendibili giusto da coloro che sono in cerca di consenso nei salotti buoni, o delle argomentazioni ufficiali e pretestuose, smontate con facilità disarmante da Facco nel corso del suo libro – che stanno alla base di quella che può essere considerata una vera e propria crociata nei confronti del contante, il quale deve pervicacemente essere limitato, quando non addirittura abolito?

In estrema sintesi, secondo la mistica demagogica dei nostri tempi, corredata di tutto il suo logoro parafernale, dietro l’utilizzo della cartamoneta si celerebbe invariabilmente la figura di un perfido riciclatore o di un abietto evasore fiscale: i quali, entrambi, dissimulerebbero i lori deprecabili traffici adottando un mezzo che, per sua natura, è insuscettibile di essere tracciato e controllato. Ed è proprio per questo che il mezzo deve essere contrastato e limitato.

Seguendo la stessa logica e la medesima impostazione di fondo, e ragionando per assurdo, per arginare il proliferare di altre condotte palesemente antisociali e per prevenire l’integrarsi di ulteriori atti indiscutibilmente antigiuridici, dovremmo assolutamente bandire le auto, i telefonini ed i computer: in effetti, così come i rapinatori ricorrono agli autoveicoli per perpetrare i loro delitti contro il patrimonio, parimenti i pedofili si avvalgono in maniera massiccia dei mezzi informatici per adescare le proprie vittime.

Ma nessuno, salvo errori ed omissioni, si è ancora spinto a proporre una simile “soluzione”…

La verità, come evidenzia Facco, è che dietro al mantra ossessivo della necessità dell’abolizione del contante si cela <<la vera utopia dello Stato moderno, vale a dire controllare tutte, ma proprio tutte, le transazioni così da poter tassare tutto, ma proprio tutto>>.

Insomma, cercare di proibire il contante sembra porsi come la mossa disperata – una sorta di “ultimo canto del cigno” – da parte di una élite politico-burocratica che non sa più a che santi appellarsi per estrarre risorse ai produttori di ricchezza e perpetuare le proprie rendite parassitarie, a fronte di un contesto socio-economico che sta progressivamente degradando. In altre parole, i governanti stanno tentando di giocare una delle ultime carte rimaste per puntellare il sistema e l’azione dello Stato, il formidabile strumento di comando e di sfruttamento di cui si sono sempre avvalsi, nonché la straordinaria fonte di legittimazione cui ricorrere per implementarne profittevolmente le logiche coercitive e metterne a punto i disgreganti meccanismi impositivi, a spese dei proprietari. Ora, nel momento in cui è forte il rischio che tutto collassi sotto il peso dell’insostenibilità finanziaria, di un debito autofertilizzante vieppiù inesigibile, oltre che di dinamiche redistributive viziose ed intrise di azzardo morale, essi, nell’illusione di raccattare in qualche modo le risorse che ancora residuano e di mettere in sicurezza il proprio “diritto ad eternare l’assalto alla diligenza”, non indugiano certo a colpire uno degli ultimi scampoli del diritto di proprietà: quello di poter liberamente e volontariamente disporre del proprio denaro, nella misura in cui questo sia la proiezione di ciò che si è legittimamente ottenuto in virtù di qualsivoglia atto creativo (di produzione o di scambio), o di ciò che ci è stato legittimamente trasferito [1].

Mediante ciò che Hayek non avrebbe esitato a definire una “regola di organizzazione” [2] – che nulla ha a che vedere con la legge intesa come norma astratta di contenuto generale, applicabile senza eccezioni e senza considerare nessuna circostanza particolare [3]- si tende a svilire e a neutralizzare anche quel precipitato di libertà, irriducibile ancorché residuale, che ancora permane, nonostante tutto: e che si sostanzia nella possibilità di servirsi liberamente di un mezzo (il denaro) per realizzare i nostri personalissimi scopi e conferire così compiuta espressione alle scelte, alle preferenze e ai gusti, squisitamente soggettivi, i quali ne sono alla base e mobilitano il nostro corso d’azione. È sicuramente vero che la natura intima e originaria del denaro (suscettibile di rivestire e costituire un veicolo di sintesi di una molteplicità di funzioni indispensabili: quella di mezzo scambiabile per eccellenza, di unità di conto e di riserva di valore) è stata nel tempo profondamente pervertita dai detentori del potere, per assecondare, in maniera più o meno occulta e surrettizia, i propri inconfessabili appetiti: mutuando le parole di Giovanni Birindelli, riprese dalla prefazione di “Elogio del contante”, infatti…. CONTINUA A LEGGERE QUI.

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