In Anti & Politica, Esteri

DI LODOVICO PIZZATI

Come cambia velocemente il clima geopolitico. Solo un anno fa la Svizzera pativa minacce da Gheddafi che proponeva di dividerla tra Germania, Francia e Italia, e allo stesso tempo il settore finanziario elvetico subiva pressioni internazionali contro l’anonimato dei propri conti bancari. Oggi invece, anziché essere assecondato in modo servile a Roma, Gheddafi conta i suoi ultimi giorni in un bunker a Tripoli, e intanto il franco svizzero vola perché i capitali di mezzo mondo cercano rifugio lontano dalla politica monetaria inflativa dell’euro e del dollaro.

Nella sua storia secolare la confederazione elvetica ne ha visti di Gheddafi, questi paladini del centralismo, che con la stessa potenza e vita breve di una fiammata, prima spiccano e poi si estinguono data la loro instabilità e l’insofferenza che provocano tra la propria gente. La Svizzera, con la sua democrazia diretta, il suo decentramento fiscale, la sua neutralità, non ha mai prodotto carismatici leader maximi però è stata in grado di garantire benessere e stabilità secolare alla propria cittadinanza. In questo periodo di crisi il modello svizzero è visto come punto di riferimento dai propri vicini, se non addirittura con nostalgia e rimpianto. Questo perlomeno è il recente caso della Valtellina, oggi la provincia italiana di Sondrio.

Dopo la manovra taglia enti locali di Ferragosto, il presidente della provincia di Sondrio ha reagito dichiarandosi a favore di un referendum per confluire in Svizzera. Poco importa se i leader maximi da Roma l’hanno rabbonito con un cavillo che risparmierebbe l’eliminazione di questa provincia di confine. Il punto è che i 180 mila abitanti della Valtellina, a differenza dei vicini del cantone dei Grigioni, sono alla mercé degli umori di una capitale distante. Berna non si sognerebbe mai di eliminare un terzo dei comuni del cantone dei Grigioni, perché là il comune è considerato come l’espressione di rappresentanza politica più vicina al cittadino, sovrastante e non subalterna a Berna. Casomai sta ai cittadini di quei comuni decidere se conviene accorparsi o no. Invece, con una disperata manovra estiva, Roma ha deciso di eliminare più di un terzo (29 su 78) dei comuni in provincia di Sondrio, risparmiando si e no, tra stipendi di sindaci e assessori, 600 mila euro all’anno, l’equivalente dell’intoccabile stipendio annuo di quattro parlamentari. Come i parassiti in difficoltà, anche lo stato centralista sacrifica prima le appendici per la sopravvivenza del nucleo centrale.

All’idea di voler votare per passare in Svizzera, nessuno ha reagito invocando l’attentato all’unità nazionale, dato che dal 2006 non è più reato ed è ora possibile perseguire questo diritto all’autodeterminazione tutelato dalla comunità internazionale. Al presidente della provincia di Sondrio basterebbe seguire il percorso delineato dagli scozzesi e fregarsene di Bossi, Berlusconi e Tremonti. Il parere che conta è quello dei 180 mila cittadini della provincia di Sondrio, e non degli impresari di partito italo-padani. In Scozia lo Scottish National Party (SNP) quest’anno ha ottenuto la maggioranza assoluti di voti, e nel 2015 voteranno per la completa indipendenza politica della Scozia dalla Gran Bretagna, con Londra che ha già dichiarato che dovrà rispettare l’esito di questa espressione democratica. Per la Valtellina questo sarebbe un passaggio naturale, perché l’affinità culturale e linguistica che hanno con i vicini Grigioni è proprio dovuta al fatto che dal 1512 al 1797 ne fecero proprio parte. Fu Napoleone a strapparla dalla Svizzera per annetterla al suo Regno d’Italia. Al Congresso di Vienna del 1814-1815, che doveva ripristinare l’Europa ai confini pre napoleonici, gli svizzeri si fecero sentire, ma come per il Veneto, anche la Valtellina rimase Austriaca per poi passare mezzo secolo dopo in mano ai Savoia.

Forse per Sondrio sarà meno difficile innescare il percorso democratico verso un referendum per autodeterminare il proprio futuro. Un ritorno alla Svizzera deve per forza essere percepito come culturalmente naturale, oltre che economicamente vantaggioso. Forse sarà da lì che anche le comunità montane venete, e i loro rappresentanti politici, capiranno che è inutile aspettare qualcosa per bontà di un potere centrale. Impariamo ad essere cittadini e non sudditi, prendiamo esempio dagli svizzeri, perché basta solo volerlo.

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Showing 5 comments
  • Ef

    Ma se la Valtellina diventa svizzera….. Tremonti diventa svizzero?!?!?!? Lo psicoministro non e’ di Sondrio??
    Per la Svizzera sarebbe un motivo piu’ che valido per dire: “Valtellina? No grazie”. :-)

  • Lorenzo

    Se gli stipendi dei rappresentanti locali fossero pagati dalla gente che li vota anziché dallo stato centrale allora non ci sarebbe alcun problema se tagliare o meno gli enti locali.

  • Giorgio Fidenato

    .Così si deve fare, come fece nel 1992 la Slovenia nei confronti della Jugoslavia. Ad un certopunto disse: aufidersein (forse non è scritto giusto, ma si capisce). Anche qua in Friuli dovremmo fare così. Piccole comunità culturalmente affini, che poi decidono al loro interno di unirsi. .. E lo faranno quando saranno nel momento del bisogno e faranno delle unioni basate sulle necessità che vorranno esaudire al momento!!!

  • gianfranco

    Faccio il tifo per Sondrio e da trevigiano, per il Veneto tutto!!! Bisogna che la gente sappia che l’autodeterminazione è possibile! Grazie Pizzati

  • Maximus

    Siete sicuri che Gheddafi stia per saltare ???????????

    Leggete un po quì :

    Il terrorismo dei formatori e istupiditori dell’opinione pubblica nazionale
    stefano.dandrea on August 21, 2011 — Leave a Comment

    Il primo agosto, ho pubblicato un articolo dal titolo: Libia: la disfatta dei ribelli e della NATO. L’articolo era basato su alcune fonti, tute rigorosamente citate e tuttavia temevo che le mie valutazioni dei fatti fossero troppo ottimistiche. Le fonti smentivano il silenzio della stampa ufficiale (La Repubblica, Corriere della Sera, La stampa, ecc.) sulla guerra di Libia e davano, invece, rilevanza a fatti potevano risultare decisivi per l’esito della guerra.

    Nel mese di agosto sono stati confermati sia i fatti che quelle valutazioni (si consultino questi due siti: http://gilguysparks.wordpress.com/ e http://leonorenlibia.blogspot.com ) e sono state diffuse interviste di (ingenui) democratici che avevano partecipato alla rivolta del 17 febbraio e che riconoscevano: i) che i fatti erano andati esattamente come avevano fin da principio raccontato i media alternativi (in particolare i primi ad utilizzare le armi e ad attaccare le strutture statali erano stati i ribelli); ii) che la guerra per la NATO è ormai persa (http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=37893) .

    Dopo la metà di agosto abbiamo assistito a una nuova ondata di informazioni sulla stampa ufficiale, che annuncia l’imminente attacco dei ribelli (i cittadini libici li chiamano i ratti) alla città di Tripoli. Ormai gli istupiditori ufficiali del popolo italiano si stanno coprendo di ridicolo. Se per giorni hanno taciuto o valutato poco rilevanti fatti che davvero erano accaduti, ora i media ufficiali inventano di sana pianta fatti e considerano imminenti fatti che non accadranno mai. Gianluca Freda, con le consuete lucidità e ironia, ricostruisce la situazione in Libia e ridicolizza i giornali che formano e stupidiscono l’opinione pubblica nazionale (SD’A).

    ***

    Terroristi di Carta

    di Gianluca Freda Blogghete

    http://blogghete.altervista.org/joomla/index.php?option=com_content&view=article&id=855:gianluca-freda&catid=32:politica-internazionale&Itemid=47

    (Update 21 agosto: ho aggiunto all’articolo e sottotitolato il servizio di Russia Today che vedete qui sopra. Mahdi Nazemroaya, inviato di RT a Tripoli, non solo conferma ciò che ipotizzavo nell’articolo, e cioè che il presunto “attacco dei ribelli a Tripoli” non è altro che una psyop della NATO mirante a seminare panico nella popolazione e a fiaccarne il morale; ma fornisce anche qualche indicazione aggiuntiva sulle funzioni di “intelligence” che i giornalisti dei media mainstream svolgono per gli apparati militari, qualcosa a cui finora, onestamente, non avevo mai pensato).

    La guerra in Libia sembra ritornata agli splendori dei suoi primi giorni. Esattamente come a febbraio, il livello di menzogne e stupidaggini somministrate dai media occidentali ai loro assopiti lettori e spettatori sta raggiungendo rapidamente il livello di saturazione. A febbraio c’erano le fosse comuni inesistenti, gli attacchi aerei completamente inventati contro i civili e la “ribellione del popolo” creata su misura per l’astrazione mentecatta dei telespettatori nostrani, abituati a ragionare con categorie da telefilm. C’erano anche le “marce dei ribelli” contro Tripoli, che scomparivano all’improvviso dai notiziari, inghiottite dal deserto. Nonostante ciò, da allora, i gloriosi ribelli non hanno mai smesso di marciare verso Tripoli. A quest’ora dovrebbero essere arrivati in Groenlandia, se si sono mossi di buon passo.

    Adesso ci troviamo in una situazione similare: è in corso un’offensiva propagandistica di enorme magnitudine, mirante a supplire con la guerra psicologica ai mancati successi militari della NATO. Per capirci, solo una settimana fa le notizie davano i “ribelli” (leggi: tagliagole mercenari stipendiati da Francia, USA e Inghilterra) allo sbando totale dopo l’assassinio del colonnello Abdel Fatah Younis, ex ministro degli interni libico che il 22 febbraio scorso aveva tradito il proprio paese per passare a capo delle forze “ribelli” finanziate dalla NATO. A uccidere Younis erano stati membri di Al Qaeda presenti all’interno degli stessi gruppi rivoltosi, il che aveva scatenato una guerra intestina tra gli scalzacani al soldo degli occidentali. Ora, appena una settimana dopo, ci viene detto che i rivoltosi, improvvisamente riconciliatisi e compattate le proprie fila, avrebbero conquistato diverse città strategiche, tra le quali Zliten, Zawiyah e la solita Misurata. Tripoli sarebbe circondata e i “ribelli” si appresterebbero (per l’ennesima volta) a partire alla conquista della capitale. Anzi, la battaglia per la conquista di Tripoli sarebbe già in corso (come scrive l’impagabile “Repubblica”, il giornale più privo di vergogna mai comparso sulla ribalta circense nazionale) e ad essa “starebbero prendendo parte migliaia di abitanti della città”. I “ribelli”, scrive Repubblica riprendendo fonti di Al-Arabiya, affermano, pensate un po’, di aver preso il controllo dell’aeroporto di Tripoli! Qui sotto vedete un filmato dell’aeroporto internazionale di Tripoli girato oggi. I militari sono già in posizione, pronti ad ogni evenienza, ma finora dei gloriosi ribelli non si è vista neanche l’ombra. Speriamo non si facciano desiderare.

    http://blogghete.altervista.org/joomla/index.php?option=com_content&view=article&id=855:gianluca-freda&catid=32:politica-internazionale&Itemid=47

    A ciò si sono aggiunte, nel corso della settimana, una quantità di altre notizie, tutte strombazzate con magno fragore dalla grancassa delle TV e dei giornali americani (il cui livello di attendibilità dovrebbe essere ormai noto), tutte ricalcate senza la minima verifica dal resto degli organi di stampa occidentali e tutte aventi come unica fonte le dichiarazioni degli stessi “ribelli”.

    Uno dei figli di Gheddafi, Khamis, già in passato ucciso da un raid della NATO e poi risorto, sarebbe rimasto ucciso per la seconda volta nelle stesse circostanze (e anche stavolta è prontamente risorto, come era lecito attendersi). Il ministro degli interni libico, Nasser al-Mabruk, sarebbe fuggito in Egitto lunedì scorso, insieme a nove membri della sua famiglia. Gheddafi sarebbe gravemente ammalato; anzi, no, starebbe preparando la propria fuga in Tunisia (oppure in Venezuela, a seconda delle fregnacce che si leggono) insieme ai propri familiari. Anche questa devo averla già sentita. Inutile dire che le autorità libiche hanno smentito questa “notizia” e che del resto, se anche Gheddafi avesse mai avuto intenzione di fuggire all’estero, la pubblica rivelazione dei suoi intenti gli avrebbe definitivamente precluso questa possibilità. Ma l’importante è seminare nell’entourage di Gheddafi e nei suoi sostenitori il tarlo del dubbio di essere alla vigilia di un tradimento. Non sapendo che altro inventare, si è ripescato dal dimenticatoio un certo Abdel Salam Jalloud, che era stato compagno di scuola di Gheddafi alle elementari e poi aveva ricoperto ruoli di governo fino al 1977, prima di tornarsene a coltivare petunie. Ora la grande notizia è che anch’egli avrebbe defezionato, per passare dalla parte degli insorti. Sai che dramma (anche ammesso che la categoria degli “insorti” abbia ancora un senso, a questo punto). Eccetera eccetera. Dite una cretinata qualsiasi sulla Libia, la prima che vi passa per la testa, e potete star certi che essa è stata scritta da qualche parte nel meraviglioso universo dei media mainstream. Siamo di fronte ad una specie di versione povera della “Teoria dei Molti Mondi” di Everett: qualunque scemità si riesca a pensare, esiste realmente in qualche angolo del multiverso di carta da cesso che siamo soliti chiamare “informazione”.

    Sono totalmente assenti le notizie provenienti dalla fonte più attendibile, cioè dal governo libico, il quale, per quanto comprensibilmente poco propenso a dare notizie precise sulla reale situazione sul campo, si è rivelato fino ad oggi una sorgente d’informazione decisamente più credibile rispetto al circo di menzogne messo in piedi dagli scribacchini nostrani. L’unico modo di capirci qualcosa, in assenza di informazioni provenienti da più fonti che sia possibile confrontare, è cercare di leggere tra le righe dei comunicati in carta carbone, lavorare di logica, fare appello a ciò che sappiamo del meccanismo delle “psyops” applicate all’attività bellica, fare delle ipotesi e cercare di confrontarle con le scarne informazioni indipendenti che si riescono a reperire sul web. Si rischia di sbagliare, ovviamente, ma è meglio rischiare che essere certi di bere a garganella dalla fontanina di cazzate che giornali e TV vorrebbero propinarci.

    Innanzitutto, l’”assedio di Tripoli da parte dei ribelli”, come si può facilmente immaginare, non è altro che una fandonia totalmente campata in aria. I “ribelli”, intesi come gruppo coeso di esponenti delle tribù libiche in armi contro il governo nazionale, semplicemente non esistono più. Dopo l’uccisione di Younis, i membri delle ex tribù ribelli, che credevano di poter trarre vantaggio da un colpo di stato, resisi conto tardivamente di ciò che hanno scatenato, hanno chiesto e ottenuto dei colloqui con le autorità libiche presso l’isola di Djerba, in Tunisia. Non abbiamo notizie sugli argomenti del colloquio, ma i capi delle ex tribù ribelli Warfallah e Obeida, dopo i massacri scatenati contro i loro membri dagli ex alleati di Al Qaeda a libro paga della CIA, avevano già manifestato l’intenzione di cercare una conciliazione col governo nazionale ed è questo che verosimilmente avranno fatto.

    Ad essere rimaste in armi sono soltanto le milizie mercenarie, sanguinarie ed inette, finanziate dalla cricca della NATO. Le quali milizie, come ben sappiamo, sono assolutamente incapaci di tenere una città dopo averla “conquistata” (leggi: dopo essere entrati, sparacchiando a tutto ciò che si muove, nel centro cittadino, contando sulla paura degli abitanti e sull’appoggio dei raid aerei NATO per non essere buttati fuori a calci). Le “conquiste” di questa banda di criminali, come sappiamo, durano solitamente lo spazio di un mattino, cioè fino a quando gli sparacchiatori non vengono impiombati per benino dall’arrivo delle truppe lealiste o dalla stessa popolazione organizzatasi per reagire. Anche negli ultimi giorni abbiamo visto all’opera lo stesso teatrino. Per fare un esempio, questo è un video di un paio di giorni fa proveniente da Zliten, città che i manutengoli della NATO affermano di avere in proprio potere. Vi si vede una manifestazione di sostenitori di Gheddafi in parata per le strade cittadine. La situazione in città è ben descritta dagli stessi manigoldi, messi in rotta dalle truppe di Gheddafi poche ore dopo la presunta “conquista”: 32 dei loro membri sono stati inviati al creatore dall’intervento delle truppe nazionali, almeno altri 150 sono rimasti feriti, più o meno gravemente. Da notare che anche questa notizia proviene da fonti “degli insorti”, il che significa che le cifre della disfatta sono probabilmente anche più significative.

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    Anche per quanto riguarda la città di Zawiyah si possono fare più o meno le stesse considerazioni: i mercenari della NATO affermano di averla conquistata da almeno due settimane, ma perfino la vendutissima e bugiardissima Al Jazeera è costretta ad ammettere che si tratta di pure fantasie. Un manipolo di facinorosi ha occupato alcuni quartieri della città, ma i cecchini di Gheddafi e le truppe lealiste si trovano a poche centinaia di metri di distanza. Anche in questo caso, si rivelano assai più attendibili le informazioni fornite dal portavoce del governo libico, Moussa Ibrahim, il quale ha spiegato che a Zawiyah è presente solo un gruppetto di ribelli, stanziatosi in città da diversi mesi, che viene tenuto sotto controllo senza troppi problemi dai servizi di sicurezza.

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    A Misurata, la città è al 95% sotto controllo delle forze armate libiche, compresa la zona strategica del porto. Due giorni fa, dopo un ennesimo repulisti operato dalle forze lealiste, un gruppetto di terroristi NATO se l’è data a gambe, come di prammatica, fuggendo in direzione di Alhaysha. Qui i malviventi hanno terrorizzato la popolazione per due o tre ore, fino a quando non sono arrivate le milizie regolari, che hanno ammazzato un bel po’ di cialtroni, facendone prigionieri altri. La stessa situazione si riscontra più o meno in tutte le città che i terroristi venduti all’occidente dicono di aver “conquistato”, ad esempio a Badr e a Tiji: le squadracce dei “freedom fighters” scendono all’improvviso dalle montagne, terrorizzano la popolazione, si fanno qualche ripresa video da mettere su Youtube mentre sparacchiano per aria ed inneggiano alla rivoluzione, poi se la danno a gambe subito prima che arrivi l’esercito a rimettere a posto le cose. Qualche volta la fanno franca, qualche volta, nella concitazione della fuga, un po’ di scarafaggi ci lasciano la pelle.

    Timothy Bancroft-Hinchey scrive sulla versione inglese della Pravda che Brega sarebbe sotto il totale controllo delle truppe governative e che perfino le roccaforti storiche della “rivolta”, cioè Bengasi e Tobruk, starebbero sfuggendo di mano alla NATO.

    Secondo Moussa Ibrahim, le uniche due città che le milizie lealiste faticano a controllare sarebbero Sabratha e – soprattutto – Sorman, dove i gruppuscoli terroristi sono ben radicati e sparpagliati in diversi quartieri, sicchè ogni intervento risolutivo risulta problematico; ma anche in queste città, il centro cittadino è comunque sotto il controllo dell’esercito e si è ben lontani dal parlare di una “conquista” delle città da parte delle “milizie ribelli”.

    Detto ciò, che cosa sta succedendo in queste ore a Tripoli?

    Essenzialmente, sta accadendo che Stati Uniti, Francia e Inghilterra (con un certo numero di sguatteri al seguito, Italia compresa) non potendo più contare sui propri piani originari, né su un gruppo di mercenari in grado di condurre operazioni militari di qualche rilievo e ormai neppure sulla foglia di fico della “ribellione al dittatore” (che era garantita dalle tribù ribelli, ormai tornate a sostenere Gheddafi), stanno ora puntando su due soli elementi:

    – Gli attacchi sempre più sanguinosi e spietati contro le abitazioni e le strutture civili, che restano ormai le uniche ad essere prese di mira dai raid NATO. Lo scorso 8 agosto, a Zliten, i Tornado della RAF, mentre fiancheggiavano le bande di terroristi che cercavano di impadronirsi della cittadina, hanno massacrato 85 civili in preghiera per il Ramadan, tra i quali vi erano 33 bambini. Anche su Tripoli i bombardamenti contro i civili sono sempre più sanguinosi. Ieri, mentre prendevano di mira l’abitazione del capo dei servizi segreti, Abdullah al-Senussi, gli aerei della NATO hanno colpito un quartiere civile, provocando un numero imprecisato di morti e feriti. A essere colpite sono anche le reti idriche, le stazioni televisive e radiofoniche e naturalmente le centrali elettriche.

    – Il battage della propaganda, che diffonde in tutto l’occidente notizie false e distorte allo scopo di impaurire e demotivare la popolazione della Jamahiriya. Allo stesso tempo, vengono colpiti i centri dell’informazione libica, in modo da eliminare ogni controcanto alle menzogne da guerra psicologica disseminate sulle reti occidentali e filo-occidentali, che restano così per i libici l’unica fonte d’informazione disponibile.

    Franklin Lamb, che si trova in questi giorni a Tripoli, riferisce che a partire dal 17 agosto nella capitale è mancata quasi totalmente l’elettricità, il che non era mai successo dall’inizio della guerra. Mancano anche la benzina per le auto, gli alimenti per neonati, alcuni medicinali e una connessione di rete stabile per i cellulari. Solo che tutto questo non è dovuto all’attività dei “ribelli” o all’imminenza di un loro attacco alla capitale, ma all’intensificarsi dei bombardamenti NATO, che prendono ormai esclusivamente di mira le strutture per le comunicazioni, le raffinerie, le centrali elettriche e le infrastrutture di approvvigionamento. Si sta cercando di tagliare fuori Tripoli dai rifornimenti di carburante non tanto attraverso il controllo di raffinerie chiave come quella di Zawiyah (gli imbecillissimi “ribelli” non riuscirebbero a controllare nemmeno una pompa di benzina), quanto attraverso gli attacchi incessanti agli automezzi di trasporto che tentano di raggiungere la capitale. Questo provoca difficoltà e sfiducia negli abitanti di Tripoli, i quali, dopo sei mesi in cui la guerra aveva fatto sentire il proprio peso in termini di bombardamenti, ma non anche di scarsità di generi di consumo, iniziano a sentirsi isolati e ad abbandonare la città. Se i civili stentano ad approvvigionarsi, ciò non vuol dire che per le forze armate libiche i rifornimenti di carburante siano totalmente preclusi. Il 10 agosto si è saputo che un convoglio carico di carburante è giunto in Libia, passando dalla Tunisia, per approvvigionare le truppe di Gheddafi. Dopo che i bombardamenti hanno danneggiato gran parte delle raffinerie libiche, gli algerini si sono mobilitati per offrire il proprio sostegno.

    Le autorità algerine hanno negato di essere direttamente coinvolte nell’invio di forniture di carburante al Colonnello e affermano che tale attività è opera di contrabbandieri. Ma è chiaro che su questa presunta attività di “contrabbando” il governo algerino ha scelto, come minimo, di chiudere entrambi gli occhi, se non addirittura di contribuire in proprio. Questo potrebbe spiegare le ricorrenti notizie di scontri a fuoco che avvengono al confine con la Tunisia e che coinvolgono veicoli diretti in Libia con carichi di armi e carburante. La NATO potrebbe colpire questo “traffico dalla Tunisia”, ma anche una sua completa eliminazione non costituirebbe un grave danno per Gheddafi. In tale eventualità, infatti, ci si limiterebbe ad allungare il percorso dei rifornimenti e tale percorso sarebbe in compenso più sicuro, visto che raramente gli aerei NATO arrivano fin nelle zone interne dell’Africa. Inoltre, anche alcune aziende alimentari stanno facendo arrivare cibo da Algeri a Tripoli, passando per la città di Sebha.

    Secondo fonti dell’intelligence occidentale, Gheddafi starebbe pagando questi rifornimenti attingendo ai propri conti bancari personali. L’Algeria nega tutto. Stando alle notizie ufficiali, il 5 giugno scorso l’Algeria ha congelato i beni del leader libico nelle banche nazionali, in adempimento alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Ma molti sospettano che l’Algeria abbia concluso con Gheddafi un accordo segreto, prendendo il denaro del Colonnello e offrendo in cambio cibo, carburante e strumentazioni militari. Il sostegno “occulto” offerto dall’Algeria al legittimo governo della Libia era già apparso evidente lo scorso 28 marzo, quando l’Algeria aveva negato alla NATO l’utilizzo del proprio spazio aereo per le operazioni contro Gheddafi. Secondo il giornale algerino “El Khabar”, le autorità occidentali stanno esercitando sull’Algeria una pressione senza precedenti, sia attraverso i canali diplomatici che attraverso quelli militari, per ottenere la concessione di un corridoio aereo per gli AWACS e per i bombardieri NATO provenienti dalle basi spagnole e britanniche. Ma gli algerini hanno finora rifiutato e si sospetta, anzi, che sia la stessa Algeria a trasmettere a Gheddafi i propri dati radar sugli aerei NATO in rotta d’avvicinamento a Tripoli.

    In sostanza, sebbene la valutazione sia compiuta mettendo insieme notizie sparse e scarne reperite sul web (le uniche che provengano da una fonte differente da quella utilizzata dai media mainstream, che è sempre la stessa: la vanvera di qualche “ribelle” anonimo, la cui attendibilità è da ritenersi pari a zero), si ha la netta impressione che la situazione in Libia sia tutt’altro che “a un passo dalla conclusione”, come gracchiano entusiasti i nostri pappagalli di regime. Si ha anzi la sensazione che la campagna di disinformazione in corso sia davvero l’ultimo disperato tentativo della NATO di ottenere attraverso la guerra psicologica ciò che non è riuscita ad ottenere con strumenti militari più convenzionali.

    Nella giornata di oggi, l’”avanzata dei ribelli verso Tripoli” è già comparsa un paio di volte come headline sul sito di “Repubblica”, per poi essere relegata in fondo alla pagina, tra le notizie di costume. Della serie: prima le spariamo grosse, poi nascondiamo la mano, nella speranza che la menzogna brevemente strillata produca comunque il suo effetto sul morale del nemico. In ogni caso, quale che sia la realtà delle cose, i media si sono ampiamente giocati la loro già miserabile credibilità all’inizio di questa guerra, che essi stessi hanno fomentato e scatenato diffondendo notizie vergognosamente false ed esattamente capovolte rispetto a quella che era la situazione reale sul campo. Hanno accusato di genocidio il governo di Gheddafi, il quale stava invece difendendosi contro un genocidio presente (quello perpetrato dai sanguinari mercenari di Bengasi, al soldo di potenze nemiche) e contro uno imminente (quello scatenato dalla bestialità degli attacchi aerei della NATO). Queste menzogne hanno già provocato almeno 10.000 vittime in Libia e sarebbero più che sufficienti per ritenere i nostri organi d’informazione responsabili di questa strage e per processarne direttori, editori e articolisti per crimini contro l’umanità. Nell’attesa, si eviti perlomeno di abbeverarsi ulteriormente al loro pozzo avvelenato. Qualunque fonte d’informazione, anche la più astrusa, anche quella che mescola politica internazionale e invasioni aliene, è comunque preferibile alla macchina della morte manovrata da questi assassini a mezzo stampa, consapevoli o inconsapevoli che siano delle atrocità di cui sono quotidianamente complici.

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