In Saggi

DI GIAN PIERO DE BELLIS

La formulazione dell’idea

L’esistenza di individui che si ribellano contro un potere monopolistico è un dato costante della storia, ma è solo a partire dalla metà del secolo 17° che assistiamo all’emergere di un insieme di idee che attribuiscono apertamente all’individuo diritti fondamentali intrinseci alla natura umana.

Questo è avvenuto a seguito della formazione e del rafforzamento dello stato assolutistico e dell’apparizione degli scritti di pensatori quali Jean Bodin (1530-1596), Robert Filmer (1588-1653) e Thomas Hobbes (1588-1679) che giustificavano l’origine divina del potere dei sovrani e la loro posizione al di sopra della legge, in quanto i sovrani erano visti come la fonte di ogni legge.

Il primo passo nella direzione di uno sviluppo della idea del Liberalismo può essere rintracciato nel First Treatise of Government (1689) di John Locke, che è una refutazione precisa della posizione che asserisce l’origine divina del diritto dei re, sostenuta da Rober Filmer nella sua opera Patriarcha (1680).

Ma è con il Second Treatise of Government (1689) di Locke che troviamo una più chiara espressione di quelli che saranno considerati come i principi del Liberalismo, e cioè:

– L’esistenza di diritti naturali. Locke afferma che la protezione di diritti naturali, che sono antecedenti alla nascita di qualsiasi governo, spinge gli individui ad associarsi e a formare una società, chiamata civile o politica, nella quale i governanti agiscono sulla base del consenso e a vantaggio degli stessi individui.

– L’esistenza di diritti di proprietà. Per Locke il diritto naturale più importante è il diritto di proprietà. Con questo termine (proprietà dal Latino proprius = quello che è proprio a ciascuno) Locke intende “la vita, la libertà e la condizione materiale (estate)” di ciascuno. Questa estate o proprietà materiale trova la sua origine nel fatto che una persona si impegna ad applicare il suo lavoro a una qualche risorsa naturale ed è premiata con il godimento dei frutti di tale attività.

Un altro punto importante associato al Liberalismo è la difesa della libertà religiosa. Anche in questo caso Locke espresse idee abbastanza avanzate nel suo scritto A Letter Concerning Toleration (1689). Contrariamente a Thomas Hobbes, Locke riteneva che l’esistenza di una varietà di fedi e di pratiche religiose, l’una accanto all’altra, non fosse un fatto dannoso per una ordinata e civile convivenza in quanto la religione e il governo civile operavano in sfere differenti. A questo proposito Locke scrisse: “Ritengo soprattutto necessario distinguere esattamente gli affari del governo civile da quelli della religione e fissare i giusti confini che vi sono tra l’uno e l’altro campo.” (A Letter Concerning Toleration, 1689)

Lo sviluppo delle idee liberali si manifestò anche in Francia attraverso gli scritti di Montesquieu (1689-1755) e Voltaire (1694-1778) e le attività di quei pensatori noti come les philosophes, alcuni dei quali collaborarono alla redazione de L’Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers (1751-1772) sotto la direzione di Diderot (1713-1784) e d’Alembert (1717-1783).

La finalità di tutti coloro che, in Europa, condividevano i valori dell’Illuminismo era quella di opporsi all’assolutismo e all’oscurantismo rappresentati dalla alleanza tra lo stato, che godeva di un potere sentito come illimitato e arbitrario, e la Chiesa Cattolica, vista come un ostacolo allo sviluppo della scienza e della libera espressione delle idee.

Per mettere un freno al potere dello stato assoluto, Montesquieu si fece sostenitore nella sua opera De l’esprit des lois (1748) della separazione dei poteri statali (esecutivo, legislativo, giudiziario) attraverso la differenziazione delle funzioni e l’introduzione di controlli e bilanciamenti reciproci.

Per quanto riguarda l’oscurantismo delle gerarchie della Chiesa Cattolica e il suo immischiarsi nella vita di tutti, Voltaire diede libero sfogo al sarcasmo e all’ironia in alcuni scritti ed espresse idee a favore della tolleranza religiosa nel suo Traité sur la tolérance (1763).

Con riferimento alla vita sociale ed economica, nel corso del 18° secolo un gruppo di pensatori conosciuti come i Fisiocratici affermò l’esistenza, nelle relazioni sociali, di un “ordine naturale” che non aveva bisogno dell’intervento statale per operare a vantaggio degli individui. Questo è lo stesso concetto che sarà ripreso da Adam Smith (1723-1790) in The Wealth of Nations (1776) sotto l’immagine affascinante della “mano invisibile”.

Se aggiungiamo a questi vari temi e pensatori il lavoro di Wilhelm von Humbolt (1767-1835) sui limiti dell’azione statale e gli scritti di Immanuel Kant (1724-1804) che elogiano l’Illuminismo e la tendenza verso il cosmopolitismo, abbiamo le principali componenti strutturali di quello che è chiamato Liberalismo.

Durante il 19° secolo tutte queste idee furono ulteriormente sviluppate, soprattutto in Francia e in Inghilterra, da pensatori e attivisti come Fréderic Bastiat (1801-1850), Alexis de Tocqueville (1805-1859), Richard Cobden (1804-1865) con la Anti-Corn Law League e la loro lotta contro il protezionismo.

Ad un certo punto, verso la metà dell’ottocento, sembrò che lo sviluppo del commercio internazionale libero avrebbe condotto ad una èra di costante progresso sociale ed economico e ad una coesistenza armoniosa di tutti i popoli, con l’abolizione definitiva delle guerre. Se questo scenario si fosse materializzato, avrebbe rappresentato l’attuazione della libertà e il trionfo del Liberalismo.

Prima di esaminare perché questo non avvenne, è necessario ripercorrere molto brevemente alcuni avvenimenti storici nei quali troviamo l’attuazione pratica di alcune delle idee presentate dai pensatori e dagli scrittori a cui si è fatto riferimento in precedenza.

I limiti pratici dell’idea

Le idee liberali che erano alla base delle rivoluzioni politiche del 17° e 18° secolo produssero, nel 19° secolo, movimenti e partiti liberali che presero parte, in tutta Europa, alle lotte politiche per l’indipendenza nazionale e per l’introduzione di carte costituzionali.

In Spagna, un gruppo chiamato Liberales combatté, all’inizio del 19° secolo, per l’attuazione degli articoli contenuti nella Costituzione del 1812, sostenendo tra l’altro, il suffragio universale degli uomini, la sovranità nazionale, la monarchia costituzionale e la libertà della stampa.

Queste erano anche le richieste dei liberali che parteciparono ai moti del 1848 in Europa, tendenti alla introduzione di costituzioni scritte e alla fine dell’assolutismo statale. Il cammino era anche aperto per la nascita di due grandi stati in Italia (1861) e Germania (1871). Movimenti di indipendenza furono attivi in Polonia, Grecia, Ungheria, Bulgaria, Serbia, Romania, Montenegro, e portarono, in taluni casi, al riconoscimento di nuovi stati indipendenti al Congresso di Berlino del 1878.

L’accesso al potere da parte di uomini politici liberali, soprattutto in Inghilterra con Gladstone, verso la metà del 19° secolo, segnò l’accettazione e l’attuazione delle idee dei pensatori liberali classici dei secoli precedenti. Tuttavia, fu proprio questo successo politico che portò fuori strada il liberalismo, occupato nel vano tentativo di mettere in atto l’idea contraddittoria di uno “stato liberale” basato sul monopolio territoriale della sovranità.

Infatti, l’occupazione di posizioni di potere all’interno dello stato da parte di uomini politici che si proclamavano liberali, portò ad una rivalutazione del ruolo dello stato e all’allargamento continuo della sua sfera di intervento, contrariamente a quelli che erano i principi di base all’origine del liberalismo. È quindi appropriato affermare che “una volta che i liberali arrivarono al potere, la costruzione dello stato costituì uno dei loro obiettivi più importanti.” (Adrian Shubert, The Liberal State, in, Encyclopedia of Social History, 2001)

Per cui, lo stato assoluto nel quale il sovrano e l’aristocrazia avevano, in teoria, poteri arbitrari, ma nella pratica, erano limitati da convenzioni, a un ruolo ridotto di intervento, iniziò ad essere sostituito dallo stato liberale in cui personaggi ricchi eletti al Parlamento intervenivano sempre più nella vita sociale ed economica del popolo, raggruppato e governato come un insieme compatto e omogeneizzato chiamato “la Nazione”.

Nel corso del 19° secolo, molti liberali si resero conto della realtà del loro potere e si allontanarono dai nobili ideali di libertà universale e potere statale circoscritto contenuti nel messaggio del liberalismo classico e, passo dopo passo, abbracciarono una nuova versione del liberalismo caratterizzata da:

– Liberalismo nazionale. Una volta esaurita la lotta per l’indipendenza, i liberali considerarono finita anche la lotta per la libertà, giudicando che era arrivato il tempo di rafforzarsi come governanti di potenti stati-nazione sulla scena mondiale. Nel giro di breve tempo, molti uomini politici liberali, talvolta in alleanza con uomini politici conservatori, abbracciarono l’imperialismo in nome della Nazione.

– Liberalismo democratico. L’accento posto sull’individuo e sulla libertà personale venne meno a vantaggio del suffragio elettorale (progressivamente esteso) e del potere della maggioranza rappresentata in Parlamento. Al pari di ogni altro uomo politico, i liberali seguirono la corrente in direzione di una società di massa in cui il ruolo dell’individuo sarebbe stato continuamente ridotto a quello di un ingranaggio all’interno e al servizio della macchina statale.

– Liberalismo politico. Il fatto di occupare posizioni di potere all’interno dello stato portò gli uomini politici liberali a sottolineare gli aspetti politici della libertà (rappresentanza elettorale, controlli ed equilibri di potere) minimizzando la libertà da un potere statale invasivo nella sfera sociale ed economica. In effetti, la libertà economica fu distaccata dalla libertà politica e quasi obliterata, di modo che il liberalismo fu ridotto alla libertà di scelta politica tra partiti costituzionali di governo.

Per molti uomini politici liberali in uno “stato liberale” basato sulle idee di nazione e di democrazia, la libertà venne ad essere identificata con la libertà riservata a:

– La loro razza. Molte pagine intense a favore della libertà sono state scritte da personaggi (come Thomas Jefferson e John C. Calhoun) che possedevano schiavi ed erano a favore della schiavitù. Per essi il liberalismo significava essenzialmente la libertà dell’uomo bianco e la difesa della razza bianca e delle minoranze bianche (come nel caso della lotta alla Corona Inglese).

– La loro nazione. Uomini politici liberali abbandonarono ben presto qualsiasi idea di cosmopolitismo presente nella concezione liberale e sostennero le politiche del loro stato anche quando ciò significò aggressione e soppressione della libertà per gli abitanti di altre regioni della terra. Molti liberali (esemplare è il caso di John Stuart Mill) accettarono la tesi della missione civilizzatrice dell’uomo bianco e, una volta al potere, non si comportarono diversamente da qualsiasi altro governante con ambizioni espansioniste.

– La loro classe. I liberali erano generalmente individui di cultura elevata che appartenevano alla aristocrazia o agli strati ricchi della società. Allorché essi divennero l’élite di governo nel Parlamento nazionale, essi usarono il potere dello stato al fine di proteggere e promuovere i loro interessi presentati come interessi di tutta la società.

In altre parole, il liberalismo inteso come partiti liberali che controllavano le leve del potere statale, non era, in definitiva, diverso da qualsiasi altra concezione e movimento. La differenza riguardava solo gli strati sociali (i ricchi e i potenti) che si ponevano ora sotto le bandiere del liberalismo. Per il resto, i liberali avevano lo stesso obiettivo di tutti gli aspiranti al potere statale e cioè quello di utilizzare lo stato per controllare e manipolare il pubblico e per estrarre favori e guadagni. Non c’è quindi da stupirsi che, durante gli ultimi decenni del 19° secolo, a “Vienna, Berlino, Roma e altrove … un insieme assortito di Liberali – banchieri, imprenditori, ufficiali statali, ministri – furono chiamati a giudizio per rispondere di accuse spiacevoli come frode, peculato, corruzione e intese equivoche.” (Carlton J. H. Hayes, 1941)

Ad ogni modo, occorre aggiungere che queste limitazioni e distorsioni nella concezione e nella pratica liberale non erano condivise da tutti i liberali. Infatti, alcuni di loro rimasero molto critici delle misure sociali che seguirono il superamento dell’Ancien Régime e alcuni presentarono idee che, qualora accettate e attuate, avrebbero potuto indirizzare il liberalismo verso un cammino molto differente e molto promettente.

FINE PARTE 3/4 – CONTINUA

INDICE – I 10 CAPITOLI

Gli antecedenti dell’idea

La formulazione dell’idea

L’attuazione dell’idea

I limiti pratici dell’idea

Il mancato sviluppo dell’idea

Lo sviamento reale dell’idea

La svolta deplorevole dell’idea

Il capovolgimento totale dell’idea

I tentativi di salvataggio dell’idea

Oltre il liberalismo e l’antiliberalismo

QUI LA PRIMA PARTE: https://www.movimentolibertario.com/2011/10/26/liberalismo-ed-antiliberalismo-parte-1/

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