In Saggi

DI GIAN PIERO DE BELLIS

I tentativi di salvataggio dell’idea

In un mondo dominato da intellettuali di orientamento statalista e da partiti politici tutti orientati verso lo statalismo, sono apparsi alcuni individui che hanno cercato di operare un salvataggio del liberalismo attraverso una critica del socialismo di stato e un rinnovato apprezzamento delle libere attività e dei liberi scambi.

Segnaliamo qui molto brevemente tre tentativi al riguardo:

– La ripresa del liberalismo classico. I nomi associati a una ripresa del liberalismo classico sono soprattutto quelli di Ludwig von Mises e Friedrich Hayek. Tra la vasta produzione di von Mises è sufficiente fare riferimento a due testi: Socialism (1922) in cui l’autore ha inteso mostrare l’impossibilità di un calcolo economico razionale in assenza di libere scelte e liberi scambi; Liberalism (1927) in cui l’autore ha voluto presentare l’attrattiva duratura rappresentata dal liberalismo classico. Per quanto riguarda Hayek, il liberalismo classico ha costituito l’impalcatura del suo testo The Road to Serfdom (1944) che contiene una condanna estremamente lucida del totalitarismo statale. Il messaggio molto chiaro era che solo individui sicuri di sé e comunità indipendenti potevano superare l’assoggettamento allo stato, che era una condizione abbastanza generale ai tempi in cui il libro fu scritto.

– L’esplorazione del liberalsocialismo. In Italia, l’accesso del fascismo al potere dello stato (1922) ha costituito una delle ragioni che hanno promosso il pensiero anticonvenzionale di alcuni liberali che, influenzati dal socialismo e dal marxismo, erano però in opposizione totale al socialismo di stato. Una figura di spicco fu Piero Gobetti che presentò nel suo libro La Rivoluzione Liberale (1924) un liberalismo basato sui produttori e, innanzitutto, sui lavoratori dell’industria, sottolineando il fatto che “il problema del movimento operaio è problema di libertà e non di uguaglianza sociale.” (1924) Un approccio abbastanza simile fu preso da Carlo Rosselli in Socialismo Liberale (1930) in cui l’autore cercò di superare l’opposizione tra le due concezioni del socialismo e del liberalismo considerando l’una (il socialismo) l’estensione dell’altra (il liberalismo). Chiaramente il socialismo a cui alludeva e che sosteneva era basato sul volontarismo e sul federalismo.

– La proposizione dell’anarcocapitalismo. Negli Stati Uniti, poiché il termine liberalismo era stato appropriato da coloro che erano favorevoli all’intervento statale, vi era bisogno di una nuova caratterizzazione per indicare quanti erano contrari all’interferenza e al dominio dello stato. Durante gli anni cinquanta, l’economista Murray Rothbard produsse il termine anarco-capitalismo e anarco-capitalista per qualificare gli anarchici che sostenevano il libero mercato ed erano favorevoli alla proprietà privata basata su diritti legittimi. Un altro termine utilizzato al riguardo fu quello di libertarismo e libertari. Chiaramente il capitalismo a cui si alludeva e si sosteneva non aveva nulla a che fare con il capitalismo affaristico (corporativismo) che si poneva sotto la protezione dello stato.

Queste tre posizioni, pur avendo indubbi meriti e aspetti apprezzabili, non riuscirono, nella prima metà del 20° secolo, a modificare lo scenario caratterizzato dalla onnipresenza dello stato. Anche la caduta degli stati totalitari in Europa (Germania, Italia) fu dovuta alla loro disfatta nella seconda guerra mondiale piuttosto che a ragioni di convincimento morale e di riflessione razionale sui pericoli del potere statale. Questo è il motivo per cui, con la transizione allo stato democratico, permane tuttora una forte presenza della tutela e della sovranità statali. Ciò è dovuto probabilmente anche a incomprensioni e limiti di tipo strategico e tattico contenuti nelle posizioni tratteggiate brevemente più sopra. Ad esempio:

– Liberalismo classico. La ripresa del liberalismo classico avrebbe dovuto essere l’occasione per eliminare da quella concezione alcuni aspetti che sono incompatibili con un individuo veramente libero. Ad esempio, la pretesa da parte dello stato di una sovranità territoriale monopolistica è qualcosa di totalmente incompatibile con l’esercizio delle libertà personali (di movimento, di scelta delle agenzie di protezione, ecc.). Ciò nondimeno, persino von Mises ha dato per scontato il ruolo indispensabile dello stato territoriale e del suo monopolio di sovranità. Infatti egli scrisse: “Per il liberale, lo stato è una assoluta necessità dal momento che i compiti più importanti spettano a lui: la protezione non solo della proprietà privata, ma anche della pace, in quanto in assenza di pace tutti i benefici della proprietà privata non possono essere colti.” (Liberalism, 1927)

– Liberalsocialismo. L’originalità e l’anticonvenzionalità del liberalsocialismo hanno costituito anche il motivo principale per la sua assoluta fragilità. Infatti, si dovevano superare convinzioni profonde dell’esistenza di una opposizione tra le due concezioni, del liberalismo e del socialismo. La battaglia condotta ad esempio da von Mises, un gigante del pensiero liberale, era diretta essenzialmente contro il socialismo (il socialismo di stato) e non contro lo statismo (lo stato come tenutario di una sovranità territoriale monopolistica). Inoltre, i migliori sostenitori del liberalsocialismo (Gobetti e Rosselli) furono uccisi da teppisti fascisti quando il fascismo era al potere, e i loro eredi teorici (gli esponenti del Partito d’Azione) si adattarono successivamente ad un ruolo più modesto all’interno dello stato post-fascista.

 

– Anarco-capitalismo. Per i sostenitori dell’anarco-capitalismo, la difficoltà che essi dovevano sormontare era rappresentata dal fatto che i due termini, anarchismo e capitalismo, erano (e sono tuttora) associati, seppur impropriamente, nella mente di troppe persone con le idee sgradevoli di disordine e di sfruttamento. Per cui, il primo grosso ostacolo, quasi insormontabile, era quello di far capire agli oppositori che ciò che si voleva era qualcosa di totalmente diverso, qualcosa basato su accordi volontari e libere attività. Una volta che ciò fosse stato accettato, il passo successivo consisteva nel mostrare che, sotto l’anarco-capitalismo potevano trovare spazio tutte le possibili configurazioni personali e sociali, anche quelle che non avevano nulla a che fare con l’anarchismo e il capitalismo, posto che esse fossero tutte scelte volontariamente. Ad ogni modo, riuscire a portare a buon effetto questa rivoluzione culturale era qualcosa di estremamente difficile soprattutto se ci si caricava, fin dall’inizio, del peso costituito da due termini che sono stati tra i più fraintesi nel corso della storia.

Queste notazioni critiche ci portano quindi a considerare il fatto che, quello di cui si ha probabilmente bisogno, è un approccio più radicale che, pur preservando il meglio degli atteggiamenti e delle idee liberali, va oltre il liberalismo e l’antiliberalismo al fine di offrire una concezione e una pratica che siano in sintonia con le esigenze di base della natura umana e con le necessità, le possibilità e le aspirazioni dell’essere umano del 21° secolo.

Oltre il liberalismo e l’antiliberalismo

Tutte le concezioni, che trattano di organizzazione politica e sociale, prodotte nei secoli passati, e soprattutto il Liberalismo e il Socialismo, sono state talmente distorte e mal utilizzate, che non c’è da sorprendersi che esse abbiano perso il loro significato originario e il loro potere di attrazione. Infatti, quando le persone impiegano questi termini, è molto spesso come strumenti di propaganda e di ingiuria nelle schermaglie politiche.

Essere definito socialista da un avversario politico è diventato equivalente all’essere qualificato come un ladro dei beni altrui e un incorreggibile teppista. Lo stesso è vero per gli appellativi di liberale-liberismo e capitalista-capitalismo. Per moltissime persone il Liberalismo (e le relative qualifiche di neo-liberalismo e ultra-liberalismo) sono diventati termini di diffamazione, che raffigurano una concezione e un comportamento indifferenti al rispetto della dignità umana e inclini a trattare gli individui come merci, da usare e da disporre a piacere.

Questi scontri verbali puramente propagandistici sono tanto più assurdi e comici se si considera che, quando i partiti socialisti o liberali hanno conquistato il potere, le differenze tra i loro comportamenti politici concernenti, ad esempio, il fatto di astenersi dall’interferire nella vita di tutti o di praticare la giustizia sociale, sono state trascurabili.

I liberali statalisti, talvolta ancor più dei socialisti statalisti, sono stati in prima fila nell’espropriare le proprietà altrui e nel reprimere il dissenso o anche solo le voci di minoranze. Per fare solo un esempio preso dalla storia, nel Regno del Piemonte l’allora primo ministro liberale, il conte di Cavour, nel 1850 soppresse 334 conventi che ospitavano 4280 monaci e 1200 suore. Questo provvedimento fu seguito, nel nuovo Regno d’Italia, da una legge, sotto il governo del liberale Bettino Ricasoli (1866), che scioglieva la maggioranza degli istituti religiosi e vendeva le loro proprietà a profitto dello stato. L’esproprio e la vendita delle proprietà della Chiesa per mano di governi controllati da governanti liberali è stato, molto spesso, il mezzo impiegato per rinsanguare le casse dello stato e permetterne la sopravvivenza finanziaria e il rafforzamento politico.

Inoltre, i partiti liberali che combattevano l’influsso culturale della Chiesa, hanno promosso il monopolio dello stato in materia di educazione, in quanto ritenuto il modo indispensabile per riuscire a plasmare le menti dei sudditi statali. Questo è stato ottenuto, ad esempio in Francia e in Spagna, sopprimendo le scuole gestite da ordini religiosi (come i Gesuiti) e ponendo tutte le istituzioni educative sotto il controllo di un ministro di stato; un provvedimento che Marx aveva condannato fermamente ai tempi del Congresso di Gotha del Partito Tedesco dei Lavoratori affermando che “’L’educazione del popolo da parte dello stato è una richiesta del tutto deplorevole.” (Karl Marx, 1875)

Nel settore economico, i liberali al potere hanno attuato il protezionismo e l’interventismo statale in combutta con i conservatori e i socialisti statalisti, in tutti i casi in cui hanno ritenuto ciò utile per il cosiddetto interesse nazionale. Da Joseph Chamberlain a John Maynard Keynes, i maggiori uomini politici e intellettuali liberali hanno minato alla base l’idea del libero commercio e del non intervento statale. Nel 1933 Keynes scrisse, con riferimento al Regno Unito: “ l’internazionalismo economico abbracciando il libero movimento del capitale e dei prestiti finanziari come pure di beni commerciali potrebbe condannare questo paese nella prossima generazione a un livello di prosperità materiale molto più basso di quello che potrebbe essere conseguito sotto un sistema differente.” (National self-sufficiency, 1933). Il sistema differente da lui suggerito era il protezionismo. Sostenendo l’introduzione di tariffe, i liberali divennero quindi il partito delle grandi imprese e del capitalismo nazionale, altrimenti detto corporativismo.

Durante il 20° secolo, sia il liberalismo che il socialismo abbandonarono la sostanza rivoluzionaria della loro visione teorica e delle loro aspirazioni pratiche diventando, almeno nominalmente, l’ideologia degli strati superiori (liberalismo) e degli strati inferiori (socialismo). In realtà, liberalismo e socialismo erano solo strumenti di propaganda per gli uomini politici che battagliavano per il controllo del potere statale. Gli uomini politici, opponendo una idea all’altra, distrussero gli aspetti comuni che queste concezioni condividevano per quanto riguarda i protagonisti (gli individui produttivi) e i programmi (contro i monopoli, a favore del cosmopolitismo-internazionalismo). Inoltre, gli uomini politici riuscirono a far passare la convinzione ingannevole che la libertà si contrappone all’uguaglianza; invece l’una e l’altra sono in stretta relazione tra di loro, in quanto libertà significa, innanzitutto, fine dei privilegi e di poteri speciali attribuiti a chicchessia. E questa è l’uguaglianza. (Roderick T. Long, Liberty: The Other Equality, 2005).

Dopo aver messo in atto i loro inganni, i liberali statalisti abbracciarono “la libertà” intesa da loro come licenza concessa agli strati superiori di sfruttare i lavoratori e di godere di privilegi garantiti dallo stato (tariffe protezionistiche, brevetti, finanziamenti a fondo perduto, ecc.); mentre i socialisti statali abbracciavano “l’uguaglianza” intesa da loro come massificazione e riduzione di tutti, eccetto l’élite di governo, ad un minimo comun denominatore.

Per quanto riguarda i liberali, essi sono stati responsabili, in particolare, nel generare e diffondere tre illusioni sulla base delle quali essi hanno eretto la più grande di tutte le illusioni, quella dello “Stato Liberale”, che sta sullo stesso piano del “Libero Stato” reclamato dai socialisti del Partito Tedesco dei Lavoratori nel loro Programma di Gotha (1875) e su cui Marx riversò tutto il suo disprezzo (Karl Marx, 1875).

Queste illusioni sono:

– Lo stato democratico: molti uomini politici liberali credevano che, sostituendo il diritto divino dei re con la sovranità popolare, si sarebbe posto fine alle decisioni arbitrarie e si sarebbe giunti alla libertà per le persone. Tuttavia, il potere statale non è mai stato così sconfinato e arbitrario come durante il periodo dello stato democratico in cui le masse hanno giocato un ruolo sostanziale, seppure subordinato.

– Lo stato di diritto: molti liberali avevano una fede irrazionale nell’esistenza di una Costituzione e in quello che è chiamato lo Stato di Diritto (Rechtsstaat, état de droit). Tuttavia, il fatto che lo stato abbia il monopolio o la supremazia assoluta nel fissare le regole della vita sociale lascia la porta aperta alla introduzione di ogni sorta di abusi e di restrizioni dei diritti civili e delle libertà personali, spesso nel nome dell’interesse superiore della società la cui realtà ed esistenza è confusa con quella dello stato.

– Lo stato minimo: i liberali classici erano e sono tuttora profondamente attaccati all’idea di uno stato minimo, anche se il fatto di godere di un monopolio territoriale della violenza richiede da parte di qualsiasi governante statale, liberali inclusi, una capacità di freno dall’allargare la loro sfera di intervento che è sovrumana. Lo stato minimo monopolista è quindi una assurdità logica oltre che una impossibilità pratica.

Sulla base di queste considerazioni, appare altamente raccomandabile superare la falsa contrapposizione tra liberalismo e antiliberalismo che è stata usata solo per mascherare l’emergere e il consolidarsi dello statismo (l’ideologia statale). Andare oltre il liberalismo e l’antiliberalismo non significa di certo abbandonare le idee di libertà e di autonomia personale che sono, attualmente, parte non solo della concezione liberale, ma anche acquisizioni teoriche e pratiche della civiltà umana.

Infatti, quelle idee imperiture sono fatte rinascere e messe all’opera ancor meglio se liberate dall’ascriverle a qualsiasi ideologia specifica e viene dato loro un valore ed una applicazione universali. Possiamo quindi sintetizzarle come:

– Il principio di non aggressione (lasciar vivere, lasciar in pace). La norma di base di ogni persona civile, sottolineata negli scritti dei filosofi e nei testi religiosi, è il principio di non aggressione. Esso è anche parte di un mondo razionale fondato sulla coerenza (non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te) e sulla reciprocità (do ut des).

– La pratica della tolleranza universale (lasciar pensare, lasciar dire). Dal principio di non aggressione deriva la pratica della tolleranza universale che permette l’emergere di una varietà di idee e di comportamenti, nessuno dei quali, per rispondere al criterio precedente, dovrebbe costituire una minaccia per il benessere di chicchessia. Da ciò, il risultato più probabile è una situazione di ordine spontaneo, con aggiustamenti ricorrenti e armonizzazioni tra individui e comunità.

– Il progetto delle comunità volontarie (lasciar scegliere, lasciar sperimentare). L’assenza di coercizione nei confronti di qualsiasi comportamento tollerante consente la nascita di ogni sorta di esperimenti personali e sociali sotto forma di comunità volontarie che competono e cooperano tra di loro. La società mondiale diventa quindi un vasto laboratorio di esperimenti sociali, e ciò rende possibile un progresso delle scienze sociali come quello conseguito, attraverso la sperimentazione, nelle scienze fisiche.

Così, dalle miglior idee e pratiche elaborate nel passato e nel presente, il processo di sviluppo e di emancipazione dell’essere umano continua.

FINE. QUI SOTTO LE ALTRE PARTI PUBBLICATE

QUI LA PRIMA PARTE: https://www.movimentolibertario.com/2011/10/26/liberalismo-ed-antiliberalismo-parte-1/

QUI LA SECONDA PARTE: https://www.movimentolibertario.com/2011/10/27/liberalismo-ed-antiliberalismo-parte-2/

QUI LA TERZA PARTE: https://www.movimentolibertario.com/2011/10/28/liberalismo-ed-antiliberalismo-parte-3/

QUI LA QUARTA PARTE: https://www.movimentolibertario.com/2011/10/30/liberalismo-e-antiliberalismo-parte-4/

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