“Un sistema fiscale, per avere successo deve:
– essere semplice, razionale, equo e giusto;
– avere aliquote nominali accettabili e tali che l’evasione non sia considerata il migliore investimento;
– essere compreso e accettato dagli operatori, dalle imprese e da tutti i cittadini, come un “buon” sistema fiscale.” (P. Moretti)
Paolo Moretti è Consigliere del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, cioè un professionista che si occupa di fisco tutti i giorni. Come spesso accade di leggere nei commenti di altri esperti di questioni fiscali, le critiche al sistema fiscale italiano sono numerose, e altrettanto lo sono le proposte per migliorarlo. Personalmente trovo comprensibile il desiderio di avere un sistema fiscale migliore, ma credo che le basi da cui muovono tutti questi commenti oscillino tra la pia illusione e il non condivisibile. Prendiamo i punti evidenziati da Moretti su come dovrebbe essere un sistema fiscale per avere successo:
1) “Essere semplice, razionale, equo e giusto”. Passi per il semplice e razionale, ma che sia equo e giusto è impossibile per definizione. Nessun sistema che impone un prelievo forzoso a qualcuno può essere equo e giusto. Non lo sarebbe se il prelievo colpisse tutti indistintamente; non lo è a maggior ragione nella realtà, dato che il principio costituzionale della capacità contributiva è di per sé criticabile come concetto e lo è ancor di più nella sua declinazione pratica. Alla fine ogni sistema fiscale ha dei contribuenti netti e dei beneficiari netti. Dato che i primi non sono praticamente mai d’accordo né sull’entità del prelievo, né sulla destinazione dello stesso (altrimenti la tassazione non sarebbe neppure necessaria, essendo la solidarietà spontanea), iniquità e ingiustizia sono garantite.
2) “Avere aliquote nominali accettabili e tali che l’evasione non sia considerata il migliore investimento”. Qualcuno parla di accettabilità, qualcun altro di sopportabilità. Al lato pratico non c’è una gran differenza. Il fatto è che si tratta di concetti del tutto soggettivi. Anche a parità di base imponibile e aliquote di tassazione, soggetti diversi possono avere un’idea divergente di ciò che è accettabile o sopportabile. Imporre un’idea di accettabilità a tutti quanti e soprattutto a chi non viola i diritti di proprietà altrui è, a mio parere, ingiusto.
3) “Essere compreso e accettato dagli operatori, dalle imprese e da tutti i cittadini, come un “buon” sistema fiscale”. Qui valgono un mix delle considerazioni di cui ai punti precedenti. Ben venga la comprensibilità, ma è ben difficile che un sistema fiscale sia accettato da “tutti i cittadini”. E non sto a ripetere perché.
In definitiva, può essere lodevole l’intento di chi vorrebbe migliorare il sistema fiscale, ma mi sembra un proposito molto più utopistico delle proposte libertarie di abolizione del prelievo fiscale e di tutta la spesa pubblica.
* Link all’originale: http://www.lindipendenza.com/tasse-eque/
Le tasse dovrebbero servire per fare stare bene il cittadino,ma quando queste divantano eccessivamente costose,deprimono e impoveriscono il popolo.Quindi frenano i consumi,e creano crisi e disoccupazione.Però c,è chi con le tasse si arricchisce,è quindi ovvio che usa tutti i poteri a disposizione per difendere il suo “stipendio”.E ovvio che la G.D.Finanza.e Equitalia usano la forza per far pagare le tasse,anche loro devono difendere lo stipendio,e quindi si è creata una situazione di rivalità..(Statali contro Privati)Se la gente paga è solo perchè HA PAURA !!
Purtroppo è il guaio di tutti gli “esperti”, i “tecnici” ora tanto di moda, che sono ferratissimi nella loro specializzazione, ma non vedono un millimetro più in là. Non sto elogiando i “tuttologi”, che sono un’altra peste dei nostri tempi, all’estremo opposto.In un Paese come il nostro, dove la cultura umanistica sta tirando le cuoia e la vera scienza latita, che cosa possiamo aspettarci?Nulla più dei bocconiani1
I commercialisti o pure i professori di scienza delle finanze quando parlano di tasse partono sempre dando per scontato intanto che lo stato esista e che lo stato debba intermediare le risorse prodotte privatamente. Il fine è quello di raggiungere i nobili scopi che lo stato, attraverso gli organi deputati, assume come meritevoli della paterna cura.
Le manovre sono pertanto sempre un adattamentro al margine da una situazione data ad una situazione attesa. Il tutto si spera sia il risultato dell’applicazione di prudenziali ed ottimali pratiche che intervengono sull’entità amministrata.
Questi soggetti, in teoria facenti parte della famiglia degli economisti allargata, non si occupano di scienza economica. Questi si occupano di politica economica statale. Sono pesci che nuotano nell’oceano. Non possono di norma capire cosa sia l’oceano se non escono e non lo possono vedere dall’alto. Per un pesce l’oceano è infinito e lo possono testimoniare. Uno squalo mi ha raccontato che dopo ventanni di scorribande natatorie non ha mai trovato ostacoli nell’andar per mare. Mi fece inoltre osservare una caratteristica particolare, nuotando ad un metro dal pelo d’acqua per tanto tempo aveva maturato la fondata convinzione che l’oceano comunque aveva una superficie piatta. parola di lupetto. Come ho fatto a capire lo squalese? Sono un pesce astronauta.