In Economia

DI MARTIN SIBILEAU*

Hollande ha vinto le elezioni presidenziali in Francia e la paura ormai diffusa è che, con il messaggio anti-salvataggio inviato dagli elettori grecic he hanno votato questo fine settimana, il castello di carte costruito dalla Banca Centrale Europea possa crollare. E’ difficile per noi vedere come questo possa prendere di sorpresa i mercati, ma …. cosa ne sappiamo? Rimaniamo ancora long sull’oro (anche se non così tanto come prima, data la manipolazione aperta ed oscena di cui questo bene è stato oggetto) e ribassisti per le azioni.

Durante la scorsa settimana, i media mainstream hanno cercato di convincerci che noi, almeno in Nord America, stessimo godendo di una crescita lenta che alla fine ci avrebbe portato fuori dalla recessione, senza inflazione. L’inflazione non si vedeva, i guadagni avevano mostrato una certa forza di recente e l’Europa … beh, l’Europa era molto, molto lontana.

E’ andato tutto bene fino a quando i numeri dei posti di lavoro degli Stati Uniti dapprima giovedì e definitivamente il venerdì scorso, ci hanno dato un’indicazione sgradevole di quello che succede veramente. Naturalmente, i media mainstream, al rilascio di questi numeri, hanno cercato di rigirarli in ogni modo positivo possibile…senza alcun risultato. I mercati azionari sono scesi alla fine della settimana, con l’Europa ora in territorio negativo dall’inizio dell’anno, dopo un biliardo o giù di lì di liquidità data dalla Banca Centrale Europea tra il dicembre 2011 e marzo 2012.

Come è il nostro approccio al solito, non parleremo delle statistiche. I lettori possono contare su un menu infinito di altre fonti per questo aspetto. Ma dopo aver ascoltato la spiegazione ufficiale secondo cui il tasso di disoccupazione è sceso dall’8.2% all’8.1% perché il bacino di persone in cerca di occupazione era diminuito, ci è saltata alla memoria la spiegazione Argentina per l’aumento della disoccupazione, che ha portato al collasso finanziario del 2001. In quegli anni, la versione ufficiale era che il tasso di disoccupazione era aumentato perché le cose stavano andando così bene che la gente non poteva più permettersi di stare a casa e aveva iniziato a cercare lavoro. In altre parole, il bacino di persone in cerca di lavoro era cresciuto perché lavorare era produttivo e ne valeva la pena. Entrambe le spiegazioni sono ridicole.

Ora, proviamo ad esaminare l’apparente percezione secondo cui il mondo non soffre per l’inflazione. Almeno per ora. Pensiamo che sia valido sottolineare che finora il sostanziale (diciamo al di sopra dell’obiettivo esplicito del 2%) aumento dei prezzi è stato visto negli asset, piuttosto che nei beni e servizi finali. Questo, per chi è all’interno della Scuola Austriaca d’Economia, ha perfettamente senso, in quanto proprio questa scuola sostiene che l’espansione dell’offerta di moneta non è neutrale. Inizia a colpire un settore e poi si estende al successivo. È un dato di fatto, riportiamo di seguito il primo grafico mai pubblicato in “A View from the Trenches”, il 14 Aprile 2009:

Se osserviamo questo grafico, dobbiamo dire che ci sono delle brutte notizie. La situazione che abbiamo immaginato tre anni fa prevedeva un aumento dell’acquisto dei beni strumentali, che se si fosse materializzato, avrebbe significato forti investimenti e crescita economica. Ma i dati recenti mostrano, come avevamo avvertito fin dall’inizio del 2012, che i fondi non vanno agli investimenti.

Mentre le aziende hanno saldi di cassa elevati, data la manipolazione di banche centrali e governi dei tassi di interesse e delle materie prime, così come l’incertezza sulle tasse, sulla regolamentazione del lavoro, ecc., hanno deciso di non buttare soldi buoni verso investimenti cattivi. E’ buonsenso, perché nel corso dell’ultimo decennio, in media, i prezzi azionari nel migliore dei casi non sono andati da nessuna parte, e nel peggiore dei casi sono andati giù. Le aziende stanno quindi trasferendo tali saldi di cassa al “popolo.” Stanno distribuendo dividendi e riacquistando azioni, in quantità crescenti. Se questa tendenza continua, questo sarà il meccanismo di trasmissione che collegherà l’inflazione nei prezzi degli asset con l’inflazione generale, nei beni di consumo.

Un altro meccanismo indicato da un amico e lettore è l’integrazione verticale. Un esempio è il recente acquisto da parte della Delta Air Lines Inc. di una raffineria di petrolio della ConocoPhillips, nel tentativo di risparmiare sui costi del carburante (annunciato il primo maggio). Le integrazioni come queste vanno in direzione opposta alla crescita economica. La crescita economica si ottiene con la specializzazione, la diversificazione che aumenta la produttività, la complessità del sistema economico e si basa su economie di scala crescenti. Questo tipo di integrazione verticale è in contrasto con la diversificazione e le economie di scala. La produzione di combustibile non sarà più guidata dalla domanda esterna, ma da prezzi di trasferimento. Si tratta di un caso isolato, ma se si generalizza questo esempio, si finisce con una situazione simile a quella che ha trasformato il sistema economico dell’Impero Romano in quello del Medioevo. La rete di produzione complessa e vasta che esisteva all’interno dell’Impero Romano, a causa di politiche economiche socialiste, diede gradualmente luogo a gruppi di popolazioni mediocri, inefficienti, isolate ed autosufficienti sparse in Europa. Questo, pensiamo, visualizza ciò che intendiamo quando consideriamo l’integrazione verticale come una conseguenza negativa e non intenzionale.

In sintesi, finora, abbiamo assistito a tre canali diversi che alla fine collegherebbero l’attuale inflazione nei prezzi degli asset con un aumento generale dei prezzi dei beni al consumo: Aumento dei dividendi, riacquisti di azioni ed integrazione verticale. Le prime due portano il denaro attualmente posseduto dalle aziende nelle tasche delle persone, che poi lo useranno per acquistare beni. Se questo avviene attraverso la leva finanziaria, corriamo il rischio di vedere l’inflazione insieme a un  picco futuro delle insolvenze aziendali. Un’altra conseguenza non intenzionale di ciò è che questo trasferimento di potere d’acquisto agli azionisti è un trasferimento di ricchezza dai poveri che non hanno potuto risparmiare verso quelli che potevano. In altre parole, si tratta di un trasferimento generazionale della ricchezza dai giovani agli anziani.

L’ultimo canale (cioè, l’integrazione verticale) prende i beni dal mercato e lascia meno produzione disponibile per le persone con più alto potere d’acquisto nominale.

 

*Link all’originale: http://vonmises.it/2012/05/12/dallinflazione-degli-asset-a-quella-dei-prezzi/

Tradotto da Francesco Simoncelli

 

 

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