In Anti & Politica, Economia

italydefaultDI MATTEO CORSINI

“Il contratto sociale costruito in Europa, creando reti di protezione invidiateci in tutto il mondo e migliorando gli standard di vita, è ridotto a brandelli. Mentre i partiti conservatori si sono trasformati negli apostoli delle politiche di austerità, è scioccante registrare la passività con cui anche i socialisti hanno assistito alla macelleria sociale operata dalle politiche liberiste e dei tagli lineari”. (E. Rossi)

Ho tratto queste parole di Enrico Rossi, presidente PD della regione Toscana, da un articolo nel quale perora la causa, a livello nazionale ed europeo, delle politiche di “sviluppo e occupazione” in opposizione a quelle di “austerità e risanamento”.

Ovviamente non mi stupisce che un socialista sia convinto che “sviluppo e occupazione” siano o dovrebbero essere “creati” dallo Stato invece che risultare da interazioni ritenute mutualmente vantaggiose da chi le pone volontariamente in essere in un’economia di mercato, possibilmente senza che lo Stato metta i bastoni tra le ruote. Qualche riflessione sulla situazione del modello di welfare state europeo e una lettura un po’ più attinente alla realtà dei fatti relativamente alle politiche dei governi europei degli ultimi anni non guasterebbero, però.

In primo luogo, il miglioramento dello standard di vita non può essere in alcun modo essere ricondotto allo stato sociale, che, per definizione, redistribuisce ricchezza, la quale, quindi, deve prima essere stata prodotta. E a produrla non è di certo lo Stato. Ne consegue che il miglioramento dello standard di vita è in ultima analisi sempre riconducibile a uno sviluppo economico che avviene non già grazie allo Stato, ma per lo più nonostante lo Stato.

Il fatto che quel modello sia ora “ridotto a brandelli” è la conseguenza dell’averlo voluto espandere eccessivamente, finendo per ostacolare oltre modo la creazione di ricchezza, forse ignorando o fingendo di ignorare che essa va prodotta prima di essere redistribuita (non sto in questa sede a discutere se sia giusto redistribuire: mi limito a dire che per me non lo è, presupponendo una violazione della proprietà di alcuni a vantaggio di

altri) e che più se ne vuole redistribuire, meno sono gli incentivi a produrla. Ricordando la ripartizione di John C. Calhuon tra taxpayers e taxconsumers, ciò che è avvenuto nel corso dei decenni è stata una progressiva espansione dei secondi a danno dei primi. E’ inevitabile che arrivi un punto in cui la sproporzione diviene destabilizzante e insostenibile.

Ma Rossi, invece di fare i conti con la realtà, preferisce distorcere anche la storia recente, facendo cenno a “politiche liberiste e dei tagli lineari” delle quali non vi sono se non rarissime eccezioni a livello europeo. Dove sono finite sotto il termine “austerità” politiche fiscali sì restrittive, ma basate quasi esclusivamente su aumenti di tasse e qualche timida riduzione (spesso) non della spesa in valore assoluto, bensì del suo tasso di crescita inerziale.

Se una voce di spesa aumenta inerzialmente del 5% ogni anno e si decide che l’aumento debba essere “solo” del 3%, quello non è un taglio, ma un minor incremento. E resta incontrovertibile che ogni anno deve essere finanziato un importo superiore del 3% a quello dell’anno precedente.Potrà sembrare oltraggioso per Rossi e i socialisti in genere, ma la vera macelleria sociale in Europa (e in Italia in particolare) è stata quella inflitta ai taxpayers, non ai taxconsumers. Proseguire su questa strada è ormai sempre meno possibile, oltre che indesiderabile. Credo sarebbe meglio prenderne atto e accettare il fallimento del welfare state invece che invocare slogan triti e ritriti come le politiche di “sviluppo e occupazione”.

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Showing 7 comments
  • Liberty Defined

    Rossi di nome e di fatto è rimasto un vetero-comunista, e da toscano dico che è proprio un bischero, la prossima volta che lo incontro all’autogrill di San Miniato con l’autista che guida la sua Lexus mi complimenterò per la bella frase :-)

  • William

    Rossi confonde liberismo con “Crony capitalism” di cui sono colpevoli politici e burocrati di ogni colore. Il “Crony capitalism” non può esistere in un vero sistema liberista in quanto sarebbe sempre il mercato a decidere chi lavora non il politico/burocrate di turno. Il problema è che la destra usa il termine liberismo ma pratica il CC mentre la sinistra usa il termine economia programmata che alla fine finisce con essere pure CC.

    • Albert Nextein

      Forse rossi non sa neppure cosa è un crooner.

  • Albert Nextein

    Questo rossi ha un paraocchi molto efficiente.
    D’altronde egli ragiona come quasi tutti i suoi pari, taxconsumers.
    Ragiona dall’alto dei privilegi che ha e dei soldi ,non suoi , che spende e che vorrebbe poter spendere sempre in maggior quantità in rispetto dell’ideologia socialista che perora.
    L’ideologia socialista è marcia. Storia alla mano.

    In italia nessuno , mai , ha davvero sperimentato un governo ed un sistema liberale.
    Mai , neppure con Giolitti.

    Tutti questi attuali politici fatiscenti si attorcigliano in infami piroette ideologiche e politiche ignorando l’unica possibilità di salvezza, inesplorata finora, che è il liberalismo puro.
    Un groviglio di vermi uno arrotolato all’altro in un ambiente marcio, in una mela prima bella matura, ed ora sfatta.

    Rossi non conosce le teorie liberali, oppure semplicemente non sa di che sta parlando.

  • jimmy

    Il presidente Rossi può dichiarare ciò che vuole, io non lo sto nemmeno a sentire.

    Però mi scoccia che egli possa accennare (senza che nessuno lo smentisca, tranne il bravo Corsini) alla “…macelleria sociale operata dalle POLITICHE LIBERISTE…”.

    Insomma, gli statalisti usano il termine “LIBERISTA” come più gli fa comodo, come tutti noi sappiamo bene perché tale problema è noto da tempo.

    E’ un problema culturale, di identità (Cos’è il liberismo? Cosa propone? Come risolve i problemi della ggente?) e di visibilità (Chi sono i liberisti in italia? Che lavoro fanno, come vivono? Si presentano alle elezioni? Perché votarli?), che noi (veri) liberisti dovremmo risolvere al meglio ed al più presto.

    Come? Ad esempio, con la fondazione di un Manifesto Liberista, sulla scia del Pentalogo di Facco, del Programma Politico di GPG Imperatrice e di altri fondamentali contributori (uno per tutti, Carbone).

    A mio avviso, si tratterebbe di tre ottime radici per un Manifesto Liberista agile e completo, capace di risolvere (o almeno arginare nel breve periodo) la sovietizzazione italiana ormai galoppante e scatenata, specie nella mente dei più giovani.

    Ed almeno si smetterebbe di usare il termine “liberista” a piacimento delle peggiori politiche stataliste che si siano mai viste sulla faccia della terra.

  • Giuseppe

    Sottoscrivo anch’io. Gli articoli di Corsini sono sempre chiari ed esaurienti.

  • Sigismondo di Treviri

    Pienamente d’accordo.

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