In Anti & Politica, Economia, Saggi

DI GIOVANNI BIRINDELLI

Bruno Leoni scriveva che «Il fatto che i legislatori, almeno in occidente, si astengano ancora dall’interferire in alcuni campi dell’attività individuale – come parlare, scegliere il coniuge, indossare un tipo determinato di abbigliamento, viaggiare – nasconde di solito il crudo fatto che essi hanno effettivamente il potere di interferire in questi ambiti»[1]. La ragione per cui nella lista Leoni non poteva includere “usare un tipo determinato di denaro” è che, all’epoca in cui scriveva, in questo campo lo stato non solo già da tempo interferiva nelle scelte individuali, ma già le vietava tout court.

E lo faceva senza che peraltro molti notassero che le ragioni di principio per le quali ognuno dovrebbe essere libero di usare il tipo particolare di denaro che preferisce sono esattamente le stesse di quelle per cui ognuno dovrebbe essere libero di indossare il tipo particolare di abbigliamento che preferisce. Queste ragioni hanno a che vedere col principio di autodeterminazione, che è l’altra faccia, quella positiva, del principio di non aggressione.

Tuttavia, le ragioni economiche per introdurre il libero mercato nel settore del denaro sono molto più forti rispetto a quelle per salvaguardarlo nel settore dell’abbigliamento. L’intervento statale nella produzione di vestiti produrrebbe seri danni economici settoriali. D’altro canto, la Scuola Austriaca di economia ha dimostrato col metodo adatto alla scienza economica che il monopolio legale del mezzo di scambio produce necessariamente crisi cicliche sistemiche.

Tuttavia, fino al 2009, non c’era alcuna strada realisticamente percorribile per difendere con successo il libero mercato nel settore del denaro. Nessuna delle due strade fino ad allora disponibili, infatti (e cioè la via politica e quella culturale), poteva riportare il denaro a casa.

La via politica porta nella direzione opposta. Essendo lo stato la causa del problema, la soluzione di lungo termine non può venire dallo stato. Se lo stato permettesse il libero mercato nel settore del denaro, a vincere sarebbe il denaro che mantiene meglio il suo potere d’acquisto nel tempo, non quello che lo mantiene peggio; sarebbe il denaro che scoraggia il debito (e quindi che rende impossibile l’accumularsi di debito ‘pubblico’ strutturale), non quello che lo incoraggia; sarebbe il denaro che non consente la sorveglianza, non quello che la consente; e così via. In altri termini, se le persone potessero usare la loro conoscenza e la loro legittima proprietà per i loro fini; se esse potessero scegliere il denaro che preferiscono così come oggi possono scegliere gli abiti che preferiscono, questa sarebbe la fine dello stato moderno per come lo conosciamo. Per questo, nel campo del denaro, ancora più che in altri campi, lo stato è il problema, non la soluzione: la sua stessa esistenza dipende in buona parte dall’efficacia con la quale esso riesce impedire, ricorrendo all’aggressione, le libere scelte delle persone nel settore del denaro, e più in generale il libero mercato.

La via culturale, d’altro canto, ha il problema che quando le persone nascono all’interno di una gabbia, non di rado imparano a vedere quella gabbia come la loro casa. Come qualcosa che le protegge. Addirittura, se ne innamorano. Il fatto che le stesse persone che troverebbero umiliante il divieto di indossare l’abito che preferiscono spesso non trovano affatto umiliante ma anzi rassicurante (nei rari casi in cui lo notano) il divieto di usare il denaro che preferiscono, ci dà un’idea intuitiva di quanto possano essere spesse le sbarre di quella gabbia, che è in primo luogo mentale.

 

Fino al 2009, quindi, il ritorno al libero mercato nel settore del denaro sembrava essere una di quelle cause che a quanto pare Winston Churchill considerava le uniche per cui vale la pena battersi: le cause senza speranza. In quell’anno, tuttavia, un sentiero nuovo è stato tracciato: il sistema bitcoin-blockchain. Non mi soffermo a descrivere nel dettaglio cos’è e come funziona questo sistema (per un’analisi tecnica di bitcoin, suggerisco di seguire in primo luogo il grande esperto Giacomo Zucco). Al cuore di questo sistema c’è una struttura di incentivi economici (bitcoin) applicata a un metodo di certificazione delle transazioni distribuito, quindi decentralizzato, e per questo non censurabile (blockchain). Grazie alle crittomonete, oggi A può inviare del denaro anche elettronicamente a B senza passare per C; senza poter essere censurato da D; senza doversi registrare, ottenere permessi e in alcuni casi in modo completamente anonimo.

L’anima di bitcoin è costituita dalla resistenza alla censura statale. Nel senso che nel lungo periodo a mio parere su questa resistenza bitcoin vince o perde. La censura statale fa parte dell’ambiente naturale di bitcoin: bitcoin è stato inventato per resisterle. Di questo ambiente fanno parte anche i divieti burocratici (non solo nel settore del denaro) e, più in generale, l’interventismo statale, a partire da quello nel settore del denaro (pensiamo alla sempre più accelerata espansione artificiale del denaro e del credito da parte delle banche centrali, al progressivo divieto del contante, ecc.). Quanto maggiori sono questi divieti e questo interventismo, tanto maggiore è la fertilità del terreno su cui cresce bitcoin.

Grazie a questa nuova strada, oggi lo stato non ha più il monopolio del denaro. Ha il monopolio del denaro fiat, ma non ha più il monopolio del denaro. E, se va tutto bene, nonostante i crescenti “divieti” e “regolamentazioni” statali di bitcoin (che non sono altro che “divieti” e “regolamentazioni” statali dei punti di scambio centralizzati fra bitcoin e denaro fiat, dato che bitcoin non può essere impedito né regolamentato dallo stato) c’è poco che quest’ultimo possa fare per tornare ad avere quel monopolio. Questo risultato davvero straordinario è stato ottenuto senza che un solo capello sia stato torto ad alcuno e anzi con una discrezione tale che gran parte delle persone (fra cui banchieri centrali, diversi premi Nobel per l’economia, e altri), è ancora ignara, prima ancora che del significato di quello che è accaduto, del fatto che sia accaduto.

Nella delicata questione teorica del se bitcoin possa essere considerato denaro oppure no, qui non entro. Quando dico che oggi lo stato non ha più il monopolio del denaro intendo dire, piuttosto rozzamente, che se in questo momento un ragazzo volesse acquistare un libro di Murray Rothbard presso la migliore libreria italiana di scienze sociali, potrebbe farlo pagandolo in bitcoin. Soprattutto, potrebbe farlo pagandolo in bitcoin anche se lo stato rendesse l’uso di bitcoin illegale e/o vietasse la vendita dei libri di Rothbard (e la citazione di Leoni riportata in apertura era anche per ricordare che dove lo stato può fare legalmente la prima cosa, può fare legalmente anche la seconda. E in realtà in Italia in qualche modo la sta già facendo: un imprenditore è stato recentemente sanzionato un milione di euro per aver sostenuto, in relazione all’imposizione fiscale, posizioni molto più moderate di quelle sostenute scientificamente da Rothbard, per esempio).

Inoltre, se il ragazzo di cui dicevamo volesse mettere da parte del denaro per un giorno di pioggia o per il futuro, grazie a bitcoin egli potrebbe farlo senza che lo stato, anno dopo anno, gli possa rubare il potere di acquisto di quel denaro attraverso l’inflazione; senza rinunciare formalmente alla proprietà del suo denaro depositandolo in banca; senza essere sorvegliato nelle sue spese o nei suoi guadagni; senza essere esposto al rischio di prelievi forzosi o del cosiddetto bail in (cioè del salvataggio, col denaro dei correntisti, di banche che come ricorda Rothbard sono sempre intrinsecamente in bancarotta: non solo a causa del fatto che ricorrono al sistema della riserva frazionaria, che è impossibile con bitcoin, ma anche a causa del fatto che sono incentivate a ricorrervi in misura estrema grazie all’attività protettiva e amplificatrice della banca centrale, e dello stato).

Bitcoin è un esperimento che può ancora fallire. Tuttavia, per la prima volta nella storia dello stato moderno, il denaro di mercato ha una difesa; e questo è un fatto di cui è difficile sovrastimare l’importanza.

Il libero mercato infatti è un processo antico. Essendo nato prima dello stato moderno, non aveva bisogno di difendersi da quest’ultimo. Tuttavia, a partire dalla nascita dello stato moderno, al di là di temporanee (anche se significative) eccezioni, lo spazio che il libero mercato aveva per esprimersi è andato riducendosi sempre di più. Nel settore del denaro come in ogni altro settore, il libero mercato ‘semplice’ (nel senso di censurabile, non protetto) non era equipaggiato per far fronte alla disgrazia dello stato moderno. Esso semplicemente non poteva che subire l’imposizione di vincoli legali e illegittimi sempre più stretti.

Possiamo pensare allo stato moderno come a una pioggia acida, battente, continua e, a causa dell’idea astratta di legge su cui si basa (su cui torneremo fra poco), necessariamente sempre più forte. Da quando ha iniziato a piovere, per non bagnarsi, cioè per approfittare del processo di mercato in quei settori sempre più numerosi in cui lo stato lo limita o lo impedisce con una pioggia di provvedimenti coercitivi, occorre l’ombrello. Prima di bitcoin, questo ombrello non c’è mai stato. Oggi, nel settore del denaro (un settore che, permeando tutta l’economia, ha una rilevanza sistemica), l’ombrello c’è.

In altre parole, con bitcoin siamo entrati nella fase 2.0 del libero mercato: quella in cui esso ha cominciato ad attrezzarsi per resistere alle crescenti aggressioni statali.

Prima domanda: lo stesso ombrello che ha appena iniziato a proteggere il libero mercato dall’aggressione statale nel settore del denaro non potrebbe proteggerlo da quell’aggressione anche in altri settori?

Risposta breve: lo sta già facendo. Sulla scia del sistema bitcoin-blockchain, piattaforme di certificazione distribuite e non censurabili sono già nate nel settore degli scambi commerciali e stanno dando forma a un nuovo internet resistente, oltre che alla censura, anche alla sorveglianza; e altro ancora. Siamo in una fase che può essere comparata a quella iniziale di internet, quando ancora c’erano pochissimi che lo usavano e quello che vi si poteva fare era una frazione ridicola di quello che può esservi fatto oggi.

Seconda domanda (che sta al centro di questo mio articolo): un ombrello simile non potrebbe funzionare anche nel campo della legge?

Abbiamo visto che una caratteristica essenziale del sistema bitcoin-blockchain è la sua decentralizzazione. D’altro canto, la decentralizzazione è una caratteristica essenziale anche del processo di legislazione (con questo termine intendo l’articolazione e difesa del principio di non aggressione, naturalmente, non la sua sistematica violazione legale da parte di un’assemblea parlamentare, per esempio). Leoni scriveva che «nessun libero mercato è veramente compatibile con un processo di legislazione centralizzato da parte delle autorità»[2]. Ma se è così, un processo decentralizzato simile a quello che sta funzionando per l’abolizione del monopolio statale del denaro non potrebbe funzionare, con un’efficace struttura di incentivi, anche per l’abolizione del monopolio statale della legislazione? Oggi l’ipotesi della fine di questo monopolio può sembrare assurda e inconcepibile a molti. D’altro canto, dieci anni fa, anche l’ipotesi della fine del monopolio statale del denaro lo sarebbe sembrata.

In parte, anche qui, qualcosa sta già iniziando a muoversi sulla scia del sistema bitcoiin-blockchain (pensiamo a Bitnation). Tuttavia, per rispondere a questa domanda occorre rispondere, fra le altre, alle tre seguenti:

  • perché avremmo bisogno di un ombrello nel campo della legge?
  • perché un sistema simile a bitcoin-blockchain, che sta funzionando nel campo del denaro, dovrebbe funzionare anche nel campo della legge?
  • come, in concreto, questo sistema potrebbe funzionare nel campo della legge?

A questa terza domanda, che è quella più importante e a cui ho abbozzato un’ipotesi di risposta, qui non rispondo; in parte per non abusare eccessivamente del tempo dell’eventuale lettore; ma soprattutto perché, se un approccio strategico simile a quello di bitcoin-blockchain potrà funzionare anche nel campo della legislazione, lo farà. E lo farà in una forma diversa da quella che io o altri oggi possiamo immaginare, come spesso avviene nei processi di mercato.

Le prime due domande, che fanno da premessa alla terza, sono diverse ma complementari.

Il fatto che l’uso dell’oro come denaro sia stato vietato per legge; il fatto che bitcoin in alcuni paesi sia stato vietato per legge (come se questo potesse impedirne l’uso); il fatto gli attacchi ai punti di scambio centralizzati fra bitcoin e denaro fiat siano stati fatti e continueranno a essere fatti per legge; ma più in generale il fatto che i peggiori crimini dello stato moderno (dalla schiavitù alle leggi razziali, dalla monopolio legale del denaro fiat all’imposizione fiscale) siano stati e continuino a essere legali, ci dà un’idea intuitiva della risposta alla prima domanda.

La ragione per cui oggi abbiamo bisogno di un ombrello nel campo della legge è che la legge, che in origine era essa stessa un ombrello (un ombrello che, se fosse stato difeso, forse avrebbe reso inutile l’invenzione del sistema bitcoin-blockchain), è stata sostituita con la pioggia: quella miriade di provvedimenti particolari che, a partire dal divieto di scelta nel settore del denaro e dall’imposizione fiscale, presuppongono il diritto dello stato di aggredire persone inermi sulla base di arbitrariamente definiti non-sensi logici quali “bene comune”, “interesse sociale”, “pubblico” ecc. Fuori di metafora, il limite non arbitrario a ogni potere coercitivo (cioè il principio di non aggressione) è stato anche mentalmente sostituito con lo strumento di potere coercitivo arbitrario. La regola che esiste indipendentemente dalla volontà di qualunque autorità (e che in quanto tale nessuno può fare o disfare) è stata sostituita con la decisione particolare dell’autorità. E naturalmente il fatto che quest’autorità sia o meno rappresentativa di una qualche maggioranza è, in relazione all’idea astratta di legge, del tutto irrilevante. La regola generale che è incompatibile con la disuguaglianza legale (e quindi anche coi privilegi statali, per esempio, o con qualunque minore disuguaglianza di posizione economica ottenuta con mezzi coercitivi) è stata sostituita col comando particolare che può ricorrere, e che quindi ricorre in modo sempre più sistematico, alla disuguaglianza legale, ai privilegi statali, alla redistribuzione delle risorse. Per questo, in breve, oggi abbiamo bisogno di un ombrello, e grosso, nel campo della legge.

Rimane la seconda domanda: se il sistema bitcoin-blockchain sta funzionando nel proteggere il denaro di mercato dall’aggressione statale, una sistema simile basato sulla decentralizzazione e su un’efficace struttura di incentivi non potrebbe funzionare per proteggere dall’aggressione statale anche la legge?

Io credo che sia possibile, perché ritengo che il principio di non aggressione abbia la stessa natura, lo stesso processo di formazione, del denaro di mercato. Entrambi infatti sono ordini spontanei: risultato delle azioni delle persone ma del disegno di nessuno. Entrambi sono non arbitrariamente inflazionabili. Ed entrambi sono stati sostituiti con pezzi di carta timbrati dall’autorità e arbitrariamente inflazionabili. Poiché quindi la legge della libertà e il denaro di mercato sono in fondo così simili (come lo sono ciò con cui sono stati sostituiti), credo che un ombrello simile a quello che sta funzionando per proteggere il ritorno al denaro di mercato possa funzionare anche per proteggere il cammino verso la sovranità della Legge (che è una situazione opposta a quella della sovranità del ‘popolo’).

Credo che non sia irragionevole ipotizzare che se nel 2009, per assurdo, un’eventuale forza di governo favorevole alla libertà e avente familiarità con la Scuola Austriaca di economia avesse provato a smantellare il monopolio statale del denaro per via politica, oggi saremmo ancora al punto di partenza, e probabilmente ancora più indietro. D’altra parte, dal momento della sua nascita, l’invenzione del sistema bitcoin-blockchain ha dato vita a un processo spontaneo di mercato, lento e graduale, che sta smantellando con successo quel monopolio. Questo ci dice qualcosa.

Da un lato, ci dice che, se l’obiettivo è contrastare l’interventismo, il totalitarismo e il declino, la mancanza di coerenza nella difesa del principio di non aggressione non funziona; l’affidarsi a una struttura centralizzata non funziona; il voler imporre un particolare assetto politico-economico non funziona. Più in generale, il ‘metodo politico’ (coercitivo) non funziona. Quest’ultimo ha una sua dinamica intrinseca. Nel lungo periodo, questa dinamica produce sempre e necessariamente maggiore interventismo, totalitarismo, distruzione di ricchezza.

Dall’altro lato, il successo di bitcoin ci dice che difendere coerentemente, senza eccezioni, il principio di non aggressione, funziona; che strutture basate su networks decentralizzati funzionano. Soprattutto, il successo di bitcoin ci mostra visivamente una conclusione scientifica nota da molto tempo: e cioè che la non-imposizione di un particolare assetto politico-economico non produce caos ma un ambiente economico e sociale ordinato, vivo, propulsivo, innovativo, libero, prospero.

L’obiettivo di chi ha inventato bitcoin non era un particolare assetto politico-economico, ma offrire agli individui un modo di difendersi da chi voleva imporre loro un particolare assetto politico-economico. Non era una situazione particolare, ma un processo. Non era “cambiare il denaro”, ma forkarlo: creare una moneta migliore del denaro fiat che, essendo resistente alla censura, potesse, non sostituirsi a quest’ultimo, ma crescere parallelamente a esso, nonostante lo stato.

Dietro al concetto di fork («fork off and do you thing: separati e fai la tua cosa, senza rompere le scatole agli altri») c’è una profonda lezione di civiltà di bitcoin che è uguale e contraria alla costante lezione di inciviltà dello stato moderno. Come scrive Marc Hochstein «i fork potenzialmente rappresentano una benvenuta innovazione nel modo in cui le persone possono risolvere le loro differenze. Detto semplicemente, i fork offrono la possibilità di uscire (“exit”). Danno alle minoranze dissidenti una terza opzione oltre a quella di cercare di cambiare l’idea della maggioranza o di adattarsi alle sue preferenze. Un fork è la forma di secessione non sanguinaria del 21mo secolo».

In sintesi, bitcoin ci dice che la coerenza nel rispetto del principio di non aggressione; un metodo di certificazione basato su incentivi economici di mercato e strutture decentralizzate; e l’astensione dall’imporre un particolare assetto politico-economico; possono contribuire a produrre una dinamica virtuosa: un movimento talmente tranquillo, lento e discreto verso la libertà che dapprincipio solo pochi (non necessariamente i più colti, ma probabilmente quelli con maggiore intuizione e capacità imprenditoriale) si renderanno conto che sta avvenendo.

D’altra parte, se per “ridimensionare lo Stato e la spesa pubblica” tu sei pronto a violare il principio di non aggressione in casi particolari (a partire da quello dell’imposizione fiscale); se fai perno su una struttura centralizzata; se hai come obiettivo un particolare assetto politico-economico; allora a mio parere è molto probabile che le dimensioni dello stato e della spesa ‘pubblica’ (ma anche la pressione fiscale, la quantità di moneta fiat, il debito ‘pubblico’, la regolamentazione, la sorveglianza, perfino le guerre) continueranno ad aumentare nel lungo periodo. Il metodo che hai scelto, quello politico, produce infatti una sua dinamica, che è opposta a quella prodotta dal processo di mercato: una dinamica intrinseca a cui non puoi sottrarti, quali che siano le tue simpatie ideologiche e i tuoi desideri. E non credo che la recente riforma del sistema fiscale USA modifichi questa tendenza di lungo periodo: non solo perché quella riforma non è intesa come un primo passo verso l’abolizione totale dell’imposizione fiscale e dello statalismo; non solo perché l’amministrazione successiva potrà aumentare l’imposizione fiscale con la tessa facilità con cui quella attuale la ha diminuita; ma anche perché le riduzioni dell’imposizione fiscale previste dalla riforma sono abbondantemente compensate da maggior interventismo in altri campi.

Con questo non voglio dire che un’ipotetica forza politica di governo favorevole alla libertà non potrebbe svolgere, per il tempo che durasse, alcun ruolo nella difesa di quest’ultima. Un eventuale presidenza di Ron Paul negli USA, per esempio, probabilmente si sarebbe astenuta dal regolamentare gli exhange di crittovalute. Soprattutto, avrebbe concesso immediatamente la grazia a eroi come Edward Snowden e Ross Ulbricht (e il fatto che essi, per essere liberi, abbiano bisogno della grazia di un presidente ci dà un’idea visiva dell’inversione del concetto di legge). In generale, si sarebbe concentrata sul disfare e sull’astenersi dal fare più che sul fare. Tuttavia, questo ruolo di un’eventuale forza politica favorevole alla libertà (ruolo sul quale sarebbe bene non fare alcun affidamento) potrebbe essere limitato e solo di supporto esterno al processo di emancipazione dallo stato moderno, non un ruolo guida o propulsivo.

Qualcuno ha di recente scritto che siamo arrivati a un punto dell’evoluzione dello stato moderno in cui, anche se una persona con le idee di Ron Paul e con la sua conoscenza della scienza economica venisse eletta a capo di un governo, la direzione di marcia di lungo periodo non potrebbe cambiare. Quella che è a lavoro è infatti una dinamica profonda: la dinamica di una macchina che ormai da molto tempo ha vita propria. Bitcoin ci ha fatto vedere che è possibile che il modo più efficace per arrestare questa macchina non sia riformarla, migliorarla, nemmeno distruggerla; ma lasciarla andare per la sua strada. Per così dire, “forkarla”, renderla obsoleta creando un’alternativa migliore, per dirla con Fueller.

Forkare la legislazione di stato in modo non censurabile non porta, purtroppo, all’eliminazione istantanea dello stato (allo stesso modo in cui bitcoin, forkando in modo non censurabile il denaro fiat, non ha eliminato quest’ultimo). Tuttavia, potrebbe aprire una strada nuova: un processo di lungo termine, lento, sostenibile e virtuoso, verso la libertà. Un processo di cui beneficeranno i nostri figli, e ancora di più i loro figli. D’altro canto, io sono convinto che il tentativo di contenere mediante la legislazione di stato la naturale tendenza di quest’ultimo a espandersi, nel lungo periodo non possa che contribuire alla continua espansione dello statalismo, allo stesso modo in cui il tentativo di risolvere le crisi economiche e finanziarie prodotte dall’inflazione monetaria mediante dosi ancora maggiori della stessa, non possa che creare crisi economiche e finanziarie ancora peggiori. E questo nonostante i migliori sforzi dei riformatori (o in alcuni casi proprio grazie a questi sforzi).

In conclusione, posso sbagliarmi. È sicuramente possibile che il modo più efficace per invertire il senso di marcia e contrastare l’incessante avanzata del totalitarismo (oggi democratico), non sia seguire nel campo della legge una strada simile a quella aperta dal sistema bitcoin-blockchain nel campo del denaro, ma una via diversa. O più probabilmente un insieme di vie diverse: vie che oggi ancora non esistono.

Hayek diceva che «Per quanto umiliante possa essere per l’orgoglio umano, dobbiamo riconoscere che il progresso e anche la conservazione della civiltà dipendono dalla possibilità massima che possano accadere incidenti imprevisti»[3]. L’invenzione di bitcoin, a cui dobbiamo il ritorno alla civiltà nel campo del denaro, ci ha ricordato che questi incidenti imprevedibili possono davvero accadere. E questa è comunque una buona notizia, o almeno una speranza, anche per il ritorno alla civiltà nel campo della legge.

NOTE

[1] Leoni, B., 2000 [1961], La libertà e la legge (Liberilibri, Macerata), p. 10

[2] Leoni B., La libertà e la legge, Macerata, Liberilibri, 2000 [1961], p. 102.

[3] Hayek, F. A., 1999, The Constitution of Liberty (Routledge, London & New York), pp. 29-30.

(Pubblicazione originale: Catallaxy Institute)

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  • eridanio

    Avevo scritto il commento, riportato in coda, per un precedente post. Ma, come faccio sempre più spesso, scrivo un commento e quando l’ho finito invece di inviare sopprimo l’istinto a dialogare.

    La metafora del fork è la la rappresentazione di ciò che sovente accade col software e se ne sente parlare solo più spesso ora anche grazie ai Bitcoin, ma l’idea di raccogliere quel che esiste relitto rappezzarlo o re-immaginarlo funziona in ogni ambito della vita grazie alla creatività.

    L’umanità non ha altro modo d’incedere.

    L’umanità stessa è intrinsecamente una “chain”.
    Il concatenamento di generazioni all’inizio poteva contare sulla tradizione orale di storie e regole di buon senso e qualche oggetto ora possiamo documentare anche per suono ed immagini oltre che per opere e testi.

    L’esito è un continuo fork di esperienze con iniezione di sapienza ricevuta solo alla lunga e limata dal tempo; ricevuta in dono da anelli di vita precedenti, quasi sempre mai conosciuti di persona.

    Non é nulla di nuovo come logica, ma è sempre stupefacente quanto soccorso ci possa dare riscoprire l’efficacia della creatività applicata quando viene trasposta di volta in volta a servire necessità presenti ed apparentemente inarrivabili.

    Le soluzioni sono sempre nate nell’ambiente effettivo e reale, anche se ostile, in dinamica e parallela concorrenza.
    Ecco ora l’elucubrazione citata all’inizio in commento a qualche post fa ma che calo qui perché tanto si parla, gira e rigira, sempre lo stesso irrinunciabile argomento.
    Parlando di alternative che devono sorgere….
    ————————————–
    L’unica difesa dell’ordine spontaneo va costruita con le proprie regole, con i principi cardine della teoria difesi con volontà ferrea.
    Vanno costruite entità volontarie e molto selettive che abbiano regolamenti interni implementati con rigore ed opponibili solo ai partecipanti per escludere pratiche o infiltrazioni di comportamenti che alterassero le finalità dell’ente.
    Questi regolamenti di governo interno servono per separare l’ambiente esterno fatto di statuti e regole inquinate da quello interno volontario e coerente.
    Se di fatto i partecipanti non sanno stare alle regole interne o cambiano idea non devono compromettere l’ente
    Le finalità di tale ente possono essere anche solo quelle di creare una massa critica di energie per operare scelte imprenditoriali tese al profitto o semplicemente alla difesa delle sostanze già esistenti. Già la difesa della proprietà sarebbe un fine utilissimo.
    Dato che l’ente necessariamente dovrà formarsi in ambiente non idoneo, se non ostile, la sua struttura dovrà conformarsi, in senso figurato, un po’ come si forma una nuova vita. Un guscio che protegge il fermento interno.

    La compliance esterna (sia pur minimale ma necessariamente idonea allo scopo) serve a proteggere e garantire quell’isolamento necessario per separare gli incentivi esterni da quelli interni, senza rischi di prematura soppressione o per errata e confusa valutazione degli incentivi e regole interni, che non verrebbero, come è normale, compresi.

    Il processo individuale di comprensione dell’ordine spontaneo è un passaggio preliminare necessario ed ineludibile, ma quando arriva la volontà di agire ci si scontra con l’ambiente fatto di mezzi che non possono essere usati così come esistenti o come si trovano a disposizione.

    Soprattutto quando si comprende che per fare il passo successivo, unendo più energie, le regole dell’ambiente dato non sempre son adatte alla sostenibilità coerente delle regole dell’ordine che si intende perseguire in gruppo.

    Esistono precedenti che ci illuminano. Mi riferisco alla metodologia usata per adeguare un protocollo di comunicazione già esistente; una disciplina matematica già matura; un linguaggio di programmazione già diffuso; un insieme di regole interne semplici chiare e non alterabili dichiarate e conoscibili ex-ante usate con intelligenza per ricavarne una astrazione nuova ed originale.

    L’astrazione che ne è sortita ed immersa nell’ambiente circostante estraneo, se non ostile, si chiama Bitcoin. Solo dopo la nascita di una nuova entità che marcia da sola, come una astrazione di molto lavoro, la gente (ma non tutta) ha potuto vedere il mezzo utile che risolve uno o più problemi individuali. Questo ultimo finale risultato è il traguardo di ogni complicata elaborazione e fine costruzione. Volontaria naturalmente.

    Non mi sembra neppure di essere parecchio originale. Ma come dice anche Birindelli, sarei disposto a pagare per trovare “la pappa fatta”. Trovare più persone disposte ad unire gli ingredienti per ottenere qualcosa che abbia un nuovo nome proprio e con tale nome venga riconosciuta e richiesta, è di gran lunga più difficile anche se percepiamo che la pappa risultante sarebbe molto appetibile.

    L’ordine spontaneo aspetta il “menù interno” e si ciba delle maggiori opzioni disponibili per rendere disponibili maggiori e nuove opzioni in futuro grazie alla insopprimibile perspicacia imprenditoriale dell’uomo perseguita con sacrificio e determinazione.

    • Guess who?

      “invece di inviare sopprimo l’istinto a dialogare”.

      Ciccio, pensa positivo e vedila così: quanti mattoni come questo ci risparmi?(e ricorda che l’alprazolam fa miracoli e costa relativamente poco). Ciao caro.

  • Alessandro Colla

    Il problema principale sta proprio nelle gabbie culturali. Su Rischio Calcolato dello scorso giovedì dicotto gennaio, Maurizio Blondet scive che le monete criptate avrebbero “fatto gioco” al sistema dollaro. Dall’articolo non si capisce come, ma vi sono alcune indicazioni significative. Secondo l’autore, le criptomonete sarebbero più fiat di quelle istituzionali “perché non c’è nessun debitore che sta pagando gli interessi al mondo digitale”. Come se io, organizzando un sistema di baratto dovrei necessariamente avere almeno un debitore. Sintomo di una mentalità che non vede alternative a un sistema basato sul debito forzato. In un altro punto ritiene che “essendo scarso il volume delle transazioni, è facile per chi ha i mezzi manipolare i corsi intervenendo sul mercato digitale per acquisti e vendite”. Si guarda bene dal mostrare un esempio di come questa manipolazione potrebbe essere effettuata. Chi sarebbero, poi, coloro che “hanno i mezzi”? Naturalmente quelli che “detengono miliardi di denaro sporco da riciclare”. Perché dovrebbero affidarsi a un meccanismo privo di affidabili terze parti per i loro traffici, Blondet non lo dice. Né dice che fino ad adesso hanno riciclato tranquillamente con il denaro emesso dagli stati. Quindi, per coerenza, dovremmo eliminare il denaro. Poi aggiunge, con un italiano approssimativo (“i mezzi li avrebbero anche DEGLI stati”), che tra i possibili manipolatori ci potrebbero essere gli stati nazionali o i loro servizi. Cioè le stesse autorità che boicottano le criptomonete! Ma allora a chi fanno comodo, ai riciclatori o a quelli che indagano sul riciclaggio? E’ un po’ il problema degli ombrelli. Quando piove il rapinatore si ferma perché si bagna. Poi qualcuno inventa l’ombrello e il rapinatore, magari con una mano sola, riesce a operare. Quindi vietiamo la produzione e la vendita degli ombrelli. Anche la rete telematica era stata accusata di favorire un più rapido scambio in codice tra criminali e terroristi. E per questo qualcuno voleva oscurarla. Magari i criminali, per evitare intercettazioni, usano ancora i fogli di carta. Quindi aboliamo le cartolerie, le penne a sfera, le tastiere per scrivere, le stampanti e anche le automobili perché i foglietti di Provenzano venivano trasportati con questo mezzo. E se da Corleone sud a Corleone nord le macchine non servono, aboliamo le scarpe o vietiamo di camminare. Sarà dura convincere gli ingabbiati. Spero che si risolva presto il problema dell’invio in modo completamente anonimo che su questo sito leggo possibile solo “in alcuni casi”. Mi piacerebbe sapere di più sull’episodio dell’imprenditore multato per esprimere tesi contro l’imposizione fiscale. Non so dove e quando sia avvenuto né chi sia la persona colpita. Ritengo grave l’episodio non solo per l’entità della somma ma soprattutto perché colpisce quella libertà di espressione che i grandi sostenitori del nostro statuto postalbertino dicono di difendere contro i cosiddetti editti bulgari. Sarà vietata sul territorio nazionale la diffusione de “La Tirannia Fiscale” di Pascal Salin? Lo pseudoattore che comanda i Cinque Spettri (non ibseniani) sostiene che chi evade le tasse sia criminale tre volte. Detto da chi aspira a diventare rapinatore di stato, cioè criminale trecento volte, deve essere considerato come un complimento. In ogni caso, se si vuole divulgare il vantaggio dell’utilizzo della criptomoneta, occorre che qualcuno risponda punto per punto alle “blondettate” di turno. Qualcuno che abbia una conoscenza informatica non approssimativa come la mia.

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