In Ambientalismo, Anti & Politica, Scienza e Tecnologia, Varie

DI ALESSANDRO FUSILLO

Ho letto con interesse la risposta dell’amico Giorgio Fidenato al mio articolo. Giorgio è un uomo eccezionale, un combattente per la libertà e un esperto in materia di agricoltura moderna. È grazie a uomini come Giorgio se oggi in larga misura il problema della fame, che per millenni ha tormentato l’umanità, è risolto o annullato. Ho il massimo rispetto, quindi, per le sue opinioni scientifiche in materia di prevenzione e contenimento delle malattie.

In sostanza, nello spettro delle possibili reazioni ad un’emergenza come quella del coronavirus, Giorgio propende per la risposta più cauta, più sicura e quindi per una quarantena seria allo scopo di evitare il contagio. In presenza di una malattia molto contagiosa, l’unico sistema per evitarne la diffusione sarebbe quella di impedire con misure drastiche la propagazione del morbo. Come detto, questa è una reazione che non è possibile scartare a priori da un punto di vista libertario. Se, infatti, è dimostrato che la possibilità di contagio da parte di un asintomatico è tanto alta da mettere seriamente a rischio l’incolumità degli altri, è ipotizzabile una reazione da parte della comunità, certamente riconducibile al concetto di legittima difesa, di imposizione di una rigida quarantena a tutti, anche agli asintomatici.

Egualmente si può ipotizzare il caso di una città, rimasta immune dal contagio, che decida di vietare l’accesso a tutti per ridurre al minimo il rischio che qualcuno da fuori possa portare l’infezione. La valutazione del rischio rappresentato da una persona sana, senza sintomi, ma ipoteticamente affetta dal virus in stato latente, spetterebbe alla scienza che, allo stato, ha offerto risposte non univoche. Ci sono alcuni medici e infettivologi che ritengono alto il rischio, altri che, invece, sono di opinione diversa. Non v’è chiarezza nemmeno in merito al tasso di letalità del virus ed alla valutazione statistica dei morti effettivamente riconducibili, da un punto di vista eziologico, al solo virus e quelli che, invece, sono dovuti soccombere ad altre più gravi malattie. Non è chiaro quale sia l’incremento della mortalità normale dovuto alla sovrapposizione della concausa rappresentata dal virus. Questo per una ragione molto semplice e cioè che l’epidemiologia, così come altre discipline scientifiche che hanno a che fare con sistemi complessi affetti da un’infinità di variabili (la scienza dei vaccini, la meteorologia e simili) non consente l’applicazione del metodo sperimentale che caratterizza altre branche delle scienze naturali come la fisica o la chimica. La diffusione di una malattia contagiosa, come l’evoluzione del tempo atmosferico, presenta elementi di imprevedibilità, onde le previsioni degli esperti sono congetture più o meno sostenute da valide ragioni scientifiche. Tant’è che il meglio che possono offrire gli scienziati sono modelli matematici prognostici che dovrebbero servire a prevedere la curva di diffusione del virus. Prova ne sia il fatto che le misure di chiusura totale adottate sino ad oggi non sembrerebbero aver impedito la diffusione del contagio.

Ciò rende assai difficile una valutazione in termini di colpa dei comportamenti delle persone sane o portatrici latenti del virus a loro insaputa. Chi è davvero sano non corre alcun rischio di infettare gli altri, al massimo potrebbe infettare sé stesso, ma questo, come giustamente dice Giorgio, rientra nel concetto di libera disposizione del proprio corpo. Sono libero di infettarmi così come sono libero di fumare, di assumere droghe, di bere bevande alcooliche anche se ciò è potenzialmente dannoso per la mia salute o per la mia incolumità. Di contro, coloro che siano sicuramente infetti dovrebbero confinarsi in quarantena per ragioni di cautela e per evitare un’aggressione all’incolumità fisica degli altri. Quanto è alta la possibilità di essere un portatore sano del virus senza sintomi? Sul punto credo che le risposte della comunità scientifica siano molto carenti e non tali da lasciar intendere una linea di condotta sicura in termini di colpa. In altri termini: un asintomatico sano potrebbe essere riconosciuto colpevole della diffusione del contagio? È possibile stabilire un nesso causale tra il comportamento di un soggetto asintomatico, che per esempio vada a lavorare nella sua azienda o faccia una passeggiata, e la diffusione del contagio? L’unico mezzo per scongiurare il contagio è il confinamento domiciliare o si possono adottare altre misure? In termini giuridici credo sia pressoché impossibile stabilire un valido criterio per l’attribuzione della colpa e l’accertamento del nesso causale.

Il problema, però, che l’articolo di Giorgio non affronta è un altro. Ammesso che siano corrette le indicazioni degli epidemiologi più cauti e le raccomandazioni di coloro che consigliano l’applicazione di una quarantena strettissima, è legittima l’esistenza di un potere in grado di attuare tali misure con la forza? È legittimo che i titolari del monopolio territoriale della violenza possano decidere la prevalenza dell’interesse alla salute rispetto all’interesse a continuare a produrre e scambiare? Questa è la domanda che un libertario deve porsi e la sua risposta consente di risolvere le questioni riguardanti l’epidemia con relativa facilità.

Il potere statale in grado di imporre la quarantena è, sempre e per definizione, illegittimo. I governi con i loro strumenti di oppressione – violenza, tassazione e legislazione – sono istituzioni asociali fondate sulla violazione del diritto naturale di proprietà privata del proprio corpo e del frutto del proprio lavoro o del libero scambio e, pertanto, qualsiasi azione essi intraprendano è illegittima e immorale. E ciò indipendentemente dal fatto che, ipoteticamente, alcune azioni statali possano essere utili o benefiche. A tutt’oggi non credo ci siano esempi storici di azioni statali di questo genere, ma non sono da scartare in linea di principio. Potrebbe accadere, per caso fortuito o per un errore nella scelta dei mezzi, che un governo possa fare, anche involontariamente, qualcosa di utile. Si badi bene, è un’ipotesi astratta, una situazione immaginaria, ma la prasseologia deve lavorare con queste figure immaginarie per giungere a delle conclusioni. Supponiamo, quindi, che la scelta della quarantena radicale sia la più corretta da un punto di vista scientifico e supponiamo ancora che un governo la attui con i mezzi a sua disposizione come la violenza attuata da parte delle forze di polizia o dell’esercito, l’appropriazione forzosa della proprietà dei suoi cittadini (multe) e la privazione ulteriore della libertà individuale (carcere invece di arresti domiciliari). Appare evidente come una simile azione sia ovviamente illegittima e non possa essere giustificata da alcuna emergenza sanitaria. Il diritto di proprietà è, infatti, la base della convivenza civile e non può essere violato per alcuna ragione.

La soluzione dei problemi posti dall’epidemia deve essere fondata, quindi, sul consenso. È ben possibile e perfettamente legittimo che un individuo o una comunità scelgano di difendersi dal rischio del contagio con una chiusura totale. Ma una scelta del genere deve essere libera e non coartata. Allo stesso modo, vista la natura variabile delle regole di cautela riconducibili al concetto di colpa, è immaginabile un sistema che lasci la massima libertà rimettendo le cautele alla responsabilità individuale. Probabilmente in quest’ultimo caso ci sarebbero più morti ma evidentemente si tratterà di un rischio ritenuto accettabile. D’altro canto, il miglior sistema per evitare i morti per incidenti stradali sarebbe quello di vietare la circolazione con mezzi a motore. I morti sarebbero ridotti a zero, ma i danni di una simile misura sono ritenuti unanimemente superiori ai mali cui si intende riparare.

Ora, è possibile obiettare che un sistema di comunità, libere di darsi le proprie regole basate sul principio di unanimità, è un’utopia anarcocapitalista non solo difficile da realizzare, ma molto lontana dalla realtà. Le mie considerazioni potrebbero essere considerate, quindi, inutili e prive di ogni valore pratico. I principi descritti consentono, però, di individuare anche la migliore reazione da parte dei governi esistenti e permettono di stabilire il miglior corso da seguire da parte di tutti i governi. Atteso, infatti, che il governo è un male in sé, appare evidente che, nell’impossibilità di abolire gli stati, la cosa migliore è mantenerli quanto più piccoli possibile e limitarne i poteri e le competenze. Il libero mercato, infatti, è sempre in grado di offrire e fornire soluzioni migliori, più efficienti e meno costose per qualsiasi problema. Cosa dovrebbe fare, quindi, un governo saggio di fronte ad una crisi come quella del Coronavirus?

Niente.

Il governo potrà, se vuole, limitarsi a dare un annuncio pubblico descrivendo la situazione, eventualmente diffondendo buoni consigli ai cittadini e lasciando per il resto che sia il libero mercato a trovare le migliori soluzioni. Ma già questo sarebbe troppo. Il governo è composto da politici di professione che evidentemente non capiscono nulla di medicina, epidemiologia e infettivologia (E in Italia, nello specifico, la loro azione è stata disastrosa, assolutamente disastrosa, come confermano i dati comparati con quelli di altri paesi, NdR) .

È certo, è matematicamente certo, che il libero mercato sarebbe in grado di trovare soluzioni migliori dell’arresto dei presunti criminali che vanno a passeggio o portano il cane troppo lontano dalla propria dimora. La prova empirica di quanto affermo viene dai fatti cui stiamo assistendo in questi giorni. La sanità è al collasso, si ripete, non ci sono mascherine, guanti, posti in terapia intensiva, manca il personale sanitario, non ci sono tamponi a sufficienza per accertare il numero dei contagiati e individuare con certezza coloro che potrebbero rappresentare un rischio per gli altri. Non si sa quale possa essere una cura efficace per la malattia. Di chi è la colpa? Evidentemente del governo che da decenni ha assunto il compito di organizzare il sistema della salute pubblica. La sanità, a partire dallo studio universitario alla iscrizione dei medici e degli specialisti nei relativi albi, dalla gestione della farmacologia sino a quella degli ospedali (in via diretta), delle cliniche e degli studi medici (in via indiretta attraverso la regolamentazione) è saldamente in mano allo stato che si vanta di offrire cure mediche “gratuite” a tutti. A prescindere dal fatto che le cure mediche non sono affatto gratuite ma costano molti soldi, qual è il risultato della gestione della sanità da parte dello stato? Pessimo, il peggior risultato possibile e immaginabile. Il governo farebbe bene, quindi, ad ammettere la propria indegna sconfitta, ritirarsi in buon ordine dalla sanità e fare l’unica cosa che potrebbe essere utile e di giovamento per la popolazione. Niente.

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