In Anti & Politica, Economia

DI MATTEO CORSINI

“Nessun governo è legittimo a meno che non sottoscriva due principi supremi. Primo, deve dimostrare eguale considerazione per il destino di ciascuna persona sulla quale pretende di comandare. Secondo, deve rispettare pienamente la responsabilità e il diritto di ciascuna persona a decidere di sé come dare valore alla propria vita… Perciò ogni distribuzione deve essere giustificata mostrando come ciò che ha fatto il governo rispetti i due principi fondamentali dell’eguale considerazione per le sorti delle persone e dell’eguale rispetto per la responsabilità. Un’economia politica improntata al laissez-faire lascia immutate le conseguenze di un libero mercato in cui le persone comprano e vendono i loro prodotti e il loro lavoro come meglio credono e possono. Questo non mostra eguale considerazione per ciascuno.” (R. Dworkin)

Trovo queste parole del noto professore di filosofia Ronald Dworkin tanto interessanti quanto non condivisibili. Dworkin cerca di stabilire quali principi debba rispettare un governo per essere legittimo, soprattutto quando intende procedere a una redistribuzione delle risorse, alterando gli esiti prodotti dal libero mercato.

Secondo Dworkin i principi sono due: in primo luogo, il governo “deve dimostrare eguale considerazione per il destino di ciascuna persona sulla quale pretende di comandare”; in secondo luogo, “deve rispettare pienamente la responsabilità e il diritto di ciascuna persona a decidere di sé come dare valore alla propria vita”.

Io penso che il primo dei due principi possa essere rispettato solo se lo si declina non imponendo a nessuno una compressione del diritto di proprietà, ancorché giustificata dal nobile intento di aiutare i soggetti ritenuti più deboli. Ogni decisione in tal senso, infatti, finirebbe per trattare diversamente gli individui in base a considerazioni soggettive. In pratica, il rischio concreto sarebbe quello di tentare di rendere uguali (o meno diseguali) le persone trattandole inevitabilmente in modo diseguale.

Finendo, tra l’altro, per impedire in misura più o meno rilevante agli individui (per lo meno a parte di essi) di “decidere di sé come dare valore alla propria vita”, contravvenendo, così, al secondo principio.

Per questo trovo fuori luogo l’avversione di Dworkin per il laissez-faire giustificata dal fatto che ciò non mostrerebbe da parte del governo “uguale considerazione per ciascuno”. Il fatto che il mercato determini il successo di qualcuno e l’insuccesso di altri non legittima il governo ad alterarne gli esiti, altrimenti si cade nel problema di confondere l’uguale trattamento delle persone con l’egualitarismo.

Una situazione in cui “le persone comprano e vendono i loro prodotti e il loro lavoro come meglio credono e possono” è perfettamente compatibile con l’uguale trattamento degli individui da parte del governo. Il quale dovrebbe limitarsi a far rispettare i diritti di proprietà.

Proprio ragionando su questo punto fondamentale per la legittimazione dello Stato, sono da tempo convinto che sia sostanzialmente impossibile, nel concreto, che la tutela dei diritti di proprietà possa essere tale se monopolizzata da un unico soggetto titolare del monopolio sull’uso della forza. Per questo ritengo che lo Stato minimo, da taluni considerato come obiettivo finale per chi si dice libertario, possa essere al più un obiettivo intermedio. Ahimè, lo Stato è il primo a violare sistematicamente i diritti di proprietà, per cui solo eliminandone il monopolio sull’uso della forza si può tentare di risolvere il problema. E dubito che i vincoli costituzionali proposti da taluni fautori dello Stato minimo sarebbero efficaci. Storicamente non lo sono stati neppure negli Stati Uniti.

In ogni modo, considerando la situazione attuale, sarebbe già un enorme passo avanti avere un governo che interferisse il meno possibile con “il diritto di ciascuna persona a decidere di sé come dare valore alla propria vita”.

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Showing 2 comments
  • gastone

    “deve dimostrare eguale considerazione per il destino di ciascuna persona sulla quale pretende di comandare”

    questa frase denota una inclinazione partigiana per il proprio committente, lo stato appunto, che gentilmente gli passa questo apparente rimbrotto perchè chiude un occhio sulla ben più evidente dissonanza che vorrebbe attribuire “dovere” a un soggetto che si arroga (pretende) il comando sul destino altrui.

  • Luigi Valente

    E’ solo un filosofo politico…

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