In Anti & Politica, Economia, Istruzione

Jan Dworak TVP KulturaDI MATTEO CORSINI

“Il teatro musicale non è un prodotto: una messa in scena, per quanto costosa, ha uno statuto ontologico diverso da un paio di scarpe o da una macchina di lusso. Il teatro musicale in quanto fonte di cultura è prima di tutto un “valore”, un valore in sé… mi corre l’obbligo di specificare che la cultura non è al servizio dell’economia… al contrario, è l’economia che deve essere pensata in funzione della cultura, che per parte sua è un valore cui la variabile economica deve essere subordinata”. (S. Zurletti)

Ho tratto queste parole dalla lettera di una lettrice dell’inserto domenicale del Sole 24 Ore, tale Sara Zurletti, che di mestiere è “docente di Storia della musica e critico musicale”. La sua lettera era una piccata replica al contenuto di un articolo pubblicato qualche settimana prima, nel quale l’autore, peraltro in termini molto soft, evidenziava il grosso assorbimento di risorse pubbliche e la insufficiente generazione di entrate da parte di molti enti lirici e affini.

Non si trattava d’altro se non della constatazione della realtà dei fatti, ma questo ha scatenato la reazione della signora Zurletti; reazione peraltro tipica di buona parte di coloro che si occupano di “cultura” in senso lato nell’ambito di strutture pubbliche, ossia finanziate con il denaro dei contribuenti.

Non solo non ci si deve permettere di nutrire dubbi sul fatto che debbano essere i contribuenti a finanziare il teatro (con o senza musica), ma bisogna anche astenersi dall’avanzare critiche, ancorché sommesse e basate su dati concreti, sulla inefficienza di molte strutture. Tutti coloro che la pensano diversamente (tra i quali il sottoscritto), debbono prendere atto del fatto che la cultura è “un valore in sé”, che “non è al servizio dell’economia”; semmai è l’economia a dover essere “pensata in funzione della cultura”.

Suppongo che la signora Zurletti intendesse dire che la cultura non deve essere orientata a generare profitti. Ora, io non ho nulla in contrario al fatto che qualcuno ritenga che un’attività culturale non debba essere pensata in funzione del profitto; mi va benissimo che per le signore Zurletti di questo mondo la cultura sia “un valore cui la variabile economica deve essere subordinata”. Quello che non mi va bene per nulla, invece, è che la subordinazione della variabile economica valga solo per la produzione di ricavi e non anche per quella dei costi.

In altri termini, quello che non mi va bene è la oggettivizzazione del concetto di valore che questi professionisti del mondo della “cultura” attribuiscono alle attività di cui si occupano, nonché la conseguente pretesa di essere finanziati a prescindere da ciò che producono e, soprattutto, a prescindere dal valore che soggettivamente gli spettatori paganti attribuiscono alla loro produzione.

Solitamente chi esprime un punto di vista come quello che sto sostenendo io viene additato come “gretto”, “materialista”, “ignorante” e chi più ne ha più ne metta, sempre dalle Zurletti di turno, o magari da quegli spettatori che amano andare a teatro, anche (soprattutto) quando consapevoli che gli uni e gli altri stanno beneficiando di un sussidio i cui oneri sono imposti alla generalità dei contribuenti.

Ebbene: piaccia o no, l’unico fatto oggettivo è che laddove i finanziamenti arrivano dallo Stato, i soldi sono stati prelevati dalle tasche di persone che potrebbero aver preferito utilizzare quel denaro diversamente, magari proprio per comprarsi un paio di scarpe o una macchina di lusso.

Persone che per ottenere quel denaro hanno dovuto fornire beni o servizi ad altre persone che volontariamente hanno acquistato quei beni o servizi, sulla base di una valutazione che non teneva minimamente conto del punto di vista del fornitore di quei medesimi beni o servizi in merito al valore degli stessi.

Se veramente le Zurletti di questo mondo ritengono che la cultura sia un valore in sé, cerchino di convincere il maggior numero di persone possibile, oppure convincano poche persone ma disposte a fornire (volontariamente e di tasca propria) finanziamenti consistenti. Pretendere che sia il contribuente a pagare e per di più indispettirsi se qualcuno avanza delle critiche è un atteggiamento dispotico del quale in molti farebbero volentieri a meno.

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Showing 7 comments
  • Antome

    Premettendo che non sono statalista ma sono per l’autogestione e le libere associazioni organizzate, proprio per questo aggiungo che ci si è dimenticati di una cosa, qui nel togliere primato alla cultura dicendo che deve essere al servizio dell’economia come tutto il resto e fin qui sono d’accordo, laddove si tratti di combattere privilegi e accentramenti di potere alla corte dello stato. Ci si è però dimenticati che prima di tutto l’economia deve essere al servizio dell’uomo, non viceversa, cioè il fine del lavoro è partecipare ad un consesso, attenzione non sto affatto postulando l’asservimento dell’individua ad un qualsiasi fine astratto scelto da altrui, che sia la pressione sociale, il capitale ed il suo accentramento, tutt’ altro, sono abbastanza stirneriano da questo punto di vista.
    Il consesso di cui parlo sono i fruitori di questo lavoro e contributo ovviamente. Lo scopo è stare meglio tutti e di conseguenza anche sè stessi.
    Credo che la cultura, come tutto, può essere salvaguardata, su base volontaria, mantenendo, chi volesse, colui che la fa.
    Inoltre forse le gente non apprezza oggi i vari Pirandello, perchè sono poco informati, e a questo comunque bisogna dare una risposta.
    E’ troppo semplice dire “il dio mercato ha scelto, quindi viva Maria De Filippi”, perchè ci sono delle colpe se il teatro è reso poco popolare rispetto ad Amici e poco accessibile, innanzitutto come fare in modo che veramente chiunque sia interessato al teatro, possa dimostrare il suo favore?
    Col capitalismo, questo è possibile solo se ci sono abbastanza soldi, ma con la crisi e anche da prima, questi mancano sempre e sempiternamente. Tuttavia le risposte del mercato in termini di consenso vengono così falsate.
    Forse è necessario trovare una alternativa usando, in parte denaro e in parte reti di mutuo aiuto e mutuo scambio.

  • William

    Per quanto riguarda la tesi di questa gente che la cultura non debba generare profitti l’avrebbe dovuto dire a quel bravo socialista Picasso!!!

  • William

    Ovviamente questa signora Zurletti si è dimenticata che da sempre la cultura è a servizio dell’economia e non viceversa (ricordiamoci dei mecenati che tuttora esistono nel mondo civile). Da sempre ogni opera “culturale” che è stata prodotta era originalmente per “banale intrattenimento” (vedi tutte le opere di Shakespeare) o godimento personale solo con l’avvento social/statalismo l’arte/cultura è diventata fine a se stessa per cui la creazione a spese della collettività di roba che nessun mecenate o impresario sano di mente avrebbe mai commissionato/prodotto.

  • Albert Nextein

    La cultura nell’attuale società non ha valore di sorta.
    Forse va di moda.
    Ma il mondo è popolato da un branco di ignoranti che subiscono ogni vessazione , e la subiscono perché non hanno la cultura sufficiente per rendersi conto di essere degli esseri umani con dei diritti naturali e legittimi da difendere coi denti.
    La cultura di cui si riempiono la bocca è un’accozzaglia di roba che non aiuta il popolo, mediamente disinteressato, ad evolvere verso il riconoscimento della libertà come bene supremo.
    Un branco di pecore acculturati sul nulla.

  • Giuseppe

    Inoltre anche Rothbard e Von Mises fanno parte della cultura, e chissà perchè a scuola non vengono neanche menzionati, e nemmeno all’università. Se ci fosse ancora l’ Unione sovietica si potrebbe invitare questa prof.ssa Zurletti ad andare lì a insegnare.
    E’ incredibile l’arroganza con cui questi impiegati pubblici pensano di disporre dei soldi degli altri, a cominciare dai soldi che noi paghiamo per garantire loro una rendita mensile sicura anche se i loro servizi non li vogliamo.

  • myself

    Concordo con l’articolo. Aggiungo che a mio parere quella dei “colti” in Italia è un’altra classe parassitaria. Con “colti” ovviamente non intendo persone con una cultura, che, ci mancherebbe, ne avremmo solo bisogno. Ma intendo dire quelle persone (professori di lettere, critici, filosofi, artisti e intellettualoidi vari) che decidono quale debba essere La Cultura e ce la impongono fin da quando siamo piccoli, etichettandoci come delle persone grezze o stupide se non la apprezziamo. Ovviamente queste stesse persone poi pretendono che le nostre tasse debbano andare a finanziare i loro progetti, come in questo caso il teatro musicale.

    I “colti” esercitano potere principalmente attraverso la scuola pubblica.
    Ricordo di quanti autori mi è stato imposto di leggere e studiare i testi, perchè “dovevo farmi una cultura”. Non ho mai potuto sopportare Leopardi o Pascoli ma questo non fa di me una persona di poca cultura, semplicemente ho gusti diversi. La libertà è anche quella che ognuno ha di formarsi la propria cultura.

  • Stefano Nobile

    e per forza non lasciano passare nulla.
    Dalla palla di neve potrebbe crearsi la valanga; questi non sono scemi, bloccano il pericolo prima che diventi grande, lo uccidono subito, prima che nasca.
    Ma tanto quando non ce ne sarà più voglio vedere come faranno. Perché lo spartito, come l’F24, non si mangia.

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