In Anti & Politica, Economia, Istruzione, Libertarismo

birindelli2DI GIOVANNI BIRINDELLI

Intervento di Giovanni Birindelli a Interlibertarians 2016 – Lugano (Svizzera), 20.11.2016

Buongiorno. Vorrei ringraziare Interlibertarians per questo invito e per lo sforzo davvero straordinario che quest’anno è stato fatto nell’organizzazione di questo evento. Grazie in particolare agli amici Rivo Cortonesi e Leonardo Facco. È una grande gioia per me essere qui. Il titolo del mio intervento parla di solitudine intellettuale: ecco, oggi la solitudine è la fuori, non qua dentro.

In questo intervento discuterò il tema della resistenza allo stato sul piano delle idee astratte di libertà.

Da sole, le idee non bastano a migliorare le cose. Le idee di libertà non sono mai un mezzo per resistere concretamente allo stato. Il mezzo è sempre e solo il mercato.

Per questo continuo a credere nella proposta strategica che presentai qui qualche anno fa e su cui continuo a lavorare. Quella proposta ha un approccio di mercato alla legislazione. Tuttavia essa può essere immediatamente applicata alla situazione giuridico-istituzionale quale essa è oggi in un paese come l’Italia per esempio. Questo sembra paradossale. Tuttavia non lo è. Infatti la piattaforma legislativa di mercato che propongo è informale e parallela, nel senso che si affianca al sistema legislativo formale senza sostituirlo. In questo modo il sistema legislativo informale e di mercato proposto dà alle persone (soprattutto a quelle che sono estranee alle idee di libertà o perfino esplicitamente contrarie a esse) non solo la possibilità ma anche gli incentivi a usare il positivismo giuridico contro sé stesso, cosa che col principio di non aggressione non può essere fatta.

Come ha detto di recente Doug Casey parlando degli USA, siamo arrivati a un punto in cui «la situazione di fatto è fuori controllo e il governo è diventato così grande e così potente che [il suo processo di espansione, n.d.r.] non può essere invertito. Anche se venisse eletto Ron Paul, non servirebbe a nulla». L’inversione di rotta non può avvenire grazie a un governo o a una maggioranza politica, anche se per assurdo questi fossero composti da persone perbene, sagge, che hanno familiarità con la Scuola Austriaca di economia e con idee coerenti di libertà. L’inversione di rotta può avvenire solo grazie al processo di mercato. E io credo che questo processo possa funzionare anche nella legislazione, cioè nella scoperta e difesa delle diverse espressioni del principio di non aggressione.

Le persone che agiranno in funzione dei propri interessi percepiti (quali che siano) saranno sempre la totalità. Quelle che sprecheranno il proprio essere persone perbene a causa di idee logicamente insostenibili di libertà, di legge ed economiche saranno probabilmente sempre la maggioranza. Quelle che avranno il tempo, la voglia e l’intelligenza necessari per andare alla ricerca della coerenza nelle idee di libertà e per capire l’unica teoria economica che è compatibile con esse, saranno sempre pochissime. Per questo non credo che le idee di libertà possano svolgere la funzione che può svolgere il mercato, anche sul piano giuridico-istituzionale. A volte possono perfino non essere necessarie. Forse quel poco di libertà che ci è ancora rimasta e quella che oggi ci possiamo prendere nonostante lo stato, la dobbiamo più all’istinto naturale dell’uomo di inventare e intraprendere per migliorare la sua condizione che alle idee astratte di libertà.

Certo è, d’altro canto, che il totalitarismo è reso possibile da alcune idee oggi generalmente, passivamente e spesso addirittura inconsapevolmente condivise, in primo luogo rispetto al concetto di legge. E se queste idee non vengono contrastate, è difficile immaginarsi come il totalitarismo possa regredire o anche solo rallentare il passo. E quando un giorno, nella sua forma attuale, il totalitarismo collasserà sotto il suo stesso peso, è difficile immaginarsi come, ferma restando l’idea astratta di legge che lo ha prodotto, esso possa non rinascere sotto altra forma, come è avvenuto per esempio nel passaggio dall’Italia fascista all’Italia repubblicana.

Le idee di libertà possono creare un terreno favorevole al mercato. Inoltre, ancora oggi, esse sono ciò da cui alcune forme concrete di resistenza allo stato possono trarre (e in effetti traggono) origine e scopo, sia nei casi di resistenza individuale (pensiamo all’eroe Edward Snowden) sia in quelli di resistenza collettiva (pensiamo al grande gentiluomo del libertarismo contemporaneo, Ron Paul. E pensiamo anche a Liberland di Vit Jedlicka, che abbiamo l’onore di avere qui con noi oggi).

In realtà io credo che idee di libertà e mercato si aiutino e rafforzino a vicenda. E il mercato oggi ha bisogno di tutto l’aiuto che può trovare. Per questo sono particolarmente contento del fatto che questa conferenza sia divisa in due parti: quella che si occupa della resistenza allo stato sul piano delle idee di libertà, al quale sono onorato di poter contribuire, e quella che si occupa della resistenza allo stato sul piano concreto.

  1. Non esiste alcuna “terza via” fra libertà e socialismo

Nelle scienze sociali, al di là delle particolari differenze e distinguo di ogni approccio teorico, esistono due mondi e, io credo, due soli. Io qui li chiamerò il “Mondo della libertà” e il “Mondo dell’arbitrarietà”. Tuttavia essi possono essere chiamati in altri modi, per esempio “Capitalismo” e “Socialismo”.

Questi due mondi sono assolutamente incompatibili fra loro. Essi si escludono a vicenda. Fra di essi non esiste logicamente alcun possibile compromesso. Alcuna possibile via di mezzo.

Si può rubare tanto o poco. Si può rubare per un motivo o per un altro. Si può distruggere valore in modo sistematico e in misura colossale (come fa lo stato quando tassa, regolamenta, redistribuisce o interviene in qualunque forma nell’economia; o come fa la banca centrale quando espande artificialmente la quantità di denaro e il credito) oppure si può distruggere valore in modo individuale e in misura relativamente minuscola (come fa un bullo di strada quando estorce denaro a una vecchietta o come fa un contraffattore quando stampa banconote false nel suo scantinato). Tuttavia non esiste alcuna “terza via” fra rubare e non rubare, o fra creare valore e distruggerlo.

Chiaramente, Tizio può rubare a Caio e invece scambiare liberamente beni e servizi con Sempronio. Oppure lo stato può impedire a Uber Pop di offrire i suoi servizi sul mercato e invece può permettere a Claudio di vendere caffè e cornetti nel suo bar.

Questa coesistenza del mondo dell’arbitrarietà e di quello della libertà nella stessa realtà quotidiana e spesso nelle abitudini e nella forma mentis delle stesse persone (coesistenza che era presente anche nelle forme più violente di totalitarismo del ventesimo secolo) non configura alcuna compatibilità fra i due, alcuna “terza via”. I due mondi continuano a escludersi a vicenda. Quanto più il mondo dell’arbitrarietà si espande, tanto più quello della libertà si riduce; e avanzano coercizione, distruzione di valore e di individualità. Tutto il valore economico che viene prodotto viene prodotto nonostante lo stato, non grazie a esso.

La possibilità stessa, da parte di chi controlla lo stato, di fissare arbitrariamente le dosi di libero scambio e quelle di coercizione allo stesso modo in cui un cuoco può fissare le quantità dei diversi ingredienti dei suoi piatti, è prova del fatto che, sebbene il mondo della libertà e quello dell’arbitrarietà coesistano nella nostra realtà quotidiana, essi non coesistono negli attuali sistemi politici. Questi ultimi appartengono interamente al mondo dell’arbitrarietà.

In altre parole, la possibilità stessa di imporre politicamente una “terza via”, implica di per sé l’impossibilità logica di qualunque “terza via” fra capitalismo e socialismo, fra libertà e arbitrarietà.

  1. La Legge della libertà

L’opposizione assoluta fra il paradigma della libertà e quello dell’arbitrarietà deriva in primo luogo dal fatto che in una società libera la Legge è solo una (il principio di non aggressione, con tutte le sue possibili declinazioni) e che questa Legge si applica a chiunque allo stesso modo.

Se, ottenendo denaro dalla vecchietta dopo averla minacciata, il bullo di strada commette il crimine dell’estorsione, allora lo stesso crimine è commesso dallo stato quando ottiene denaro dalle persone o dalle aziende mediante la tassazione. Il principio di non aggressione, in quanto tale, non ammette alcuna esenzione, alcuna eccezione, alcun privilegio. Per nessuno, e in particolare per lo stato.

Alcuni vedono l’origine del principio di non aggressione (e quindi della Legge per come la intenderò in questo intervento) nella natura umana. Altri vedono questa origine in un processo spontaneo di selezione culturale di usi e convenzioni di successo (“di successo” nel senso che hanno dimostrato di produrre pace e prosperità). In entrambi i casi, la Legge è esterna all’autorità, nel senso che quest’ultima non ha potere su di essa allo stesso modo in cui non ha potere sulla legge di gravità.

Sostenere la legittimità della tassazione, per esempio, equivale a sostenere che la forza di gravità sia diretta verso il basso nel caso di alcune persone e organizzazioni e verso l’alto nel caso di altre. Per poter giustificare la tassazione, chi controlla lo stato ha dovuto privare la scienza sociale di metodo scientifico, cioè ha dovuto trasformarla nell’opposto di sé stessa: in una superstizione. E lo ha fatto producendo un’intera classe di intellettuali e rendendola economicamente dipendente dallo stato, così che sostenesse questo inganno. In altre parole, ha dovuto creare un Dio (lo stato) così che le persone potessero evitare di mettere in discussione il fatto che le regole che limitano il loro comportamento non limitano anche il comportamento dello stato. Come scrive Carlo Lottieri nel suo bel libro Credere nello Stato? «il diritto statuale non potrebbe restare in piedi se le regole con cui si condanna il comportamento dei ladri venissero utilizzate per esaminare la condotta dei legislatori. […] Se ben pochi sembrano avvertire l’indiscutibile continuità tra furto e tassazione […] bisogna domandarsi quale sia l’interdetto che impedisce di osservare la realtà qual essa è. Siamo senza dubbio dinanzi a un autentico tabù, che resiste grazie al sostegno di un culto in parte esoterico (dato che pochi sarebbero pronti ad ammettere di guardare allo Stato come a una vera divinità), ma che per altri aspetti è protetto con cura e attenzione».

Proprio perché è esterna all’autorità, vale a dire indipendente dalla sua volontà, la Legge è un limite non arbitrario al potere coercitivo di chiunque, per esempio di qualunque maggioranza. Per questo lo stato moderno in generale, e quello democratico in particolare, odia il principio di non aggressione: non perché è di non aggressione ma perché è un principio. Cioè perché è una regola generale di comportamento individuale che si applica allo stato allo stesso modo e nella stessa misura in cui si applica a chiunque altro. Perché si applica alla maggioranza allo stesso modo e nella stessa misura in cui si applica alla minoranza. I collettivisti odiano il principio di non aggressione perché esso nega la divinità dello stato e quindi la loro religione. Una religione che, a differenza di altre, promuove l’aggressione, il saccheggio, la violenza, la barbarie.

  1. La “legge” dell’arbitrarietà

Per garantirsi i suoi privilegi e quindi per poter continuare a espandersi estorcendo sempre più risorse alle persone che producono, che scambiano, che scelgono, che donano e che risparmiano, lo stato ha dovuto prima di tutto adottare un’idea filosofica di legge opposta al principio di non-aggressione: il positivismo giuridico (o “legge” fiat).

Il positivismo giuridico, in ogni sua forma, è il trucco che ha fatto accettare alle persone l’idea che la forza di gravità possa essere diretta verso l’alto nel caso di alcuni individui particolari e verso il basso per tutti gli altri.

Al contrario del principio di non aggressione (e cioè della Legge), la “legge” fiat non è un principio generale ma un provvedimento particolare. Questo provvedimento è interno all’autorità, nel senso che esiste solo in quanto suo comando arbitrario. In quanto comando, la “legge” fiat può essere usata per costringere altri a contribuire al raggiungimento di fini particolari arbitrariamente stabiliti da questa autorità. Al contrario della Legge, che è un limite non arbitrario a ogni potere coercitivo, la “legge” fiat è quindi uno strumento di potere coercitivo arbitrario. Essa è ciò che è necessario per trasformare la società nel suo complesso in un’organizzazione.

La nuova frontiera del positivismo giuridico, la grande novità che caratterizza questa epoca, è la “legge” segreta (quella che in inglese si chiama secret legislation) la quale ha portato con sé anche la creazione di corti di giustizia segrete (come le FISA courts negli USA). La “legge” segreta consiste in direttive (per esempio emanate da un Presidente) avente valore di “legge” ma di fatto non conoscibili nemmeno dal parlamento. Un esempio sono le direttive attraverso le quali alcune amministrazioni hanno sancito l’uso della tortura dopo l’11 settembre, oppure permesso lo “stato di sorveglianza” (a partire dall’acquisizione, da parte delle cosiddette “agenzie di sicurezza”, dei metadati di tutte le comunicazioni delle persone). Nel momento in cui lo stato moderno espande a livelli mai visti le informazioni di cui dispone sulle singole persone, esso espande anche a livelli mai visti il grado di segretezza delle sue attività. C’è qualcosa di profondamente logico in questo. Maggiore è l’aggressione, maggiore è il bisogno di nasconderla. Almeno finché le persone non si abitueranno a essa.

Oltre che il principio di non aggressione, queste direttive violano la costituzione del paese in cui sono state adottate (gli USA in questo caso). Tuttavia, essendo appunto segrete, nessuno al di fuori di una ristretta cerchia poteva sapere della loro esistenza e quindi contrastarle. Dopo che, principalmente grazie a Edward Snowden, le “leggi” segrete sono diventate di dominio pubblico, esse hanno potuto essere discusse, la loro illegalità ha potuto emergere immediatamente e il potere è stato costretto a riformularle o correggerle (più nella forma che nella sostanza). Chissà quante altre di queste “leggi” segrete sono state approvate prima e dopo, in particolare da quella che negli USA è arrivata al potere promettendo di essere l’amministrazione più trasparente della storia americana e che è l’amministrazione che non solo ha perseguito più whistle blowers in tutta la storia degli USA ma che, come riporta Liza Goiten[1], per quanto se ne può sapere ha emesso più provvedimenti segreti perfino della precedente amministrazione Bush (il che è tutto dire).

Coloro che criticano la secret legislation lo fanno spesso sulla base del fatto che essa, in quanto tale, viola il sistema di “check and balances” della democrazia e quindi di fatto dà un potere arbitrario e illimitato all’esecutivo. Tuttavia, la “legge” segreta non è altro che una particolare evoluzione o espressione del positivismo giuridico. Il principio di non aggressione non può essere reso segreto. La sua natura è l’apertura e la trasparenza. Solo l’aggressione ha bisogno di essere nascosta. La “legge” segreta non è un problema di mele marce. È un problema di albero marcio e in effetti di terra marcia. Essa non è un problema di violazione della democrazia e della costituzione. Essa è un problema di idea filosofica di legge. La “legge” segreta è compatibile solo con l’idea filosofica di legge che permette la tassazione. Chi, come i cosiddetti “civil libertarians”, è favorevole alla tassazione ma, allo stesso tempo, è contrario all’arbitrarietà del potere e in particolare alla “legge” segreta che ne è la massima espressione, è parte del problema, non della soluzione. Egli è il miglior alleato su cui il suo stesso nemico può contare.

  1. Democrazia, dittatura e arbitrarietà

Abbiamo visto che la “legge” segreta è odiata da molti in quanto è la massima espressione dell’arbitrarietà del potere politico. Ecco, ma, al di là del problema della segretezza della “legge”, cosa significa “arbitrarietà”? Questo è forse uno dei termini meno distorti dalla neolingua collettivista. Il vocabolario della lingua italiana, come primo significato, definisce ancora l’arbitrarietà come la «facoltà di operare liberamente le proprie scelte in base alla propria volontà». L’arbitrarietà ha quindi ancora un valore diverso a seconda che essa sia esercitata all’interno dei legittimi diritti di proprietà di colui che sceglie o al di fuori di essi. Tizio ha il diritto di scegliere arbitrariamente il colore della propria cravatta. Tuttavia, al di fuori dei suoi legittimi diritti di proprietà (p. es. al di fuori della sua azienda), non ha il diritto di imporre agli altri l’uso di cravatte di un particolare colore (o l’uso di cravatte in generale). Questo è un fatto che generalmente è accettato anche dai moderni collettivisti, cioè dai socialdemocratici. In effetti, essi si oppongono fieramente alla dittatura proprio perché questa consiste nell’imposizione della volontà di un individuo a tutti gli altri. Ma può forse la volontà di una maggioranza essere meno arbitraria di quella di un singolo individuo? In altre parole, è forse la democrazia un sistema politico meno arbitrario di una dittatura?

No. Una maggioranza che impone la propria volontà a una minoranza opera le proprie scelte al di fuori dei suoi legittimi diritti di proprietà allo stesso modo in cui lo fa un dittatore. I socialdemocratici riconoscono il fatto che l’arbitrarietà del potere politico rende quest’ultimo illimitato e cioè totalitario. Tuttavia, obnubilati dalla loro fede religiosa nello Stato, essi ritengono che il fatto che il potere politico sia esercitato democraticamente e/o che esso sia esercitato all’interno dei cosiddetti “limiti” stabiliti da una costituzione (essa stessa frutto di, e modificabile con, un accordo di maggioranza), renda questo potere non arbitrario. Essi si sbagliano logicamente. La democrazia e il costituzionalismo sono le foglie di fico con cui i socialdemocratici coprono la dittatura della maggioranza, l’arbitrio del potere politico esercitato nel nome del “popolo sovrano”. E lo fanno più per ignoranza, per oggettiva stupidità nel campo delle scienze sociali e per debolezza umana che per cattiveria.

  1. Uguaglianza davanti alla legge e disuguaglianza legale

I socialdemocratici spesso sono infatti persone perbene. Essi giustamente inorridiscono, per esempio, di fronte alle “leggi” razziali. Tuttavia accettano di buon grado (anche nelle costituzioni) provvedimenti che, sul piano dell’uguaglianza davanti alla Legge, in nulla differiscono dalle “leggi” razziali.

Le “leggi” razziali violavano l’uguaglianza davanti alla Legge perché erano una forma di disuguaglianza legale. Si ha disuguaglianza legale quando lo stato fissa arbitrariamente un criterio (per esempio l’origine etnica, oppure il reddito); in base a questo criterio forma categorie diverse di individui (bianchi e neri, ricchi e poveri); e infine tratta allo stesso modo le persone che ha racchiuso in una categoria e in modo diverso quelle che ha racchiuso in categorie diverse. Sul piano dell’idea astratta di uguaglianza davanti alla Legge, la progressività fiscale (che in Italia tra l’altro è prevista all’articolo 53 della costituzione) non è logicamente distinguibile dalle “leggi” razziali (e a monte la tassazione non è distinguibile dallo schiavismo).

La disuguaglianza legale è inclusa, esplicitamente o meno, in quasi ogni legge positiva (oggi perfino l’omicidio viene trattato diversamente se riguarda una donna o un uomo). Tuttavia, nel caso italiano, essa è inclusa già nell’articolo 3 della costituzione, quello che dovrebbe garantire l’uguaglianza davanti alla Legge. Questo denota, occorre ammetterlo, un certo candore da parte dei “padri fondatori”.

Mi dilungo un poco sull’articolo 3 della costituzione italiana non per discutere oltre il concetto di uguaglianza davanti alla legge, ma per esprimere il patologico stato di confusione mentale, se non di vera e propria follia, che sta alla base dello stato (italiano in questo caso). Un breve cenno a questo stato di confusione mentale mi servirà a introdurre l’ultimo punto: quello della solitudine intellettuale a cui possono essere esposti coloro che vanno alla ricerca della coerenza nelle idee di libertà.

La prima parte di quell’articolo recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». In primo luogo, nella realtà tutto ciò non è vero. Oggi esiste per esempio il reato di “femminicidio”, cioè l’omicidio di una persona di sesso femminile è trattato diversamente da quello di una persona di sesso maschile; esprimere alcune opinioni politiche è reato; perfino dire che l’imposizione fiscale è illegittima (e che quindi è legittimo evadere le tasse) è reato. Inoltre, questa prima parte dell’articolo, anche se fosse applicata, è già molto pericolosa. Dove la Legge è il principio di non aggressione, basta dire che tutte le persone sono uguali davanti alla Legge. La precisazione dei campi particolari in cui esse sono uguali non solo implica che alcuni di questi campi possano essere eliminati ma inoltre apre la strada alle peggiori violazioni dell’uguaglianza davanti alla Legge in altri campi.

E questo è ciò che accade nella seconda parte dell’articolo, che infatti continua in questo modo: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

Se la prima parte dell’articolo è non corrispondente al vero e pericolosa, questa seconda parte esprime una confusione mentale che rasenta la follia. È difficile riassumere in poche parole quanto questa seconda parte dell’articolo sia logicamente in contraddizione con sé stessa, con l’idea di uguaglianza davanti alla legge presupposta nella prima parte, con la scienza economica e con una qualsiasi idea coerente di libertà. Provo ad andare per punti:

  1. L’ostacolo che occorre “rimuovere” per ridurre l’eguaglianza economica dei cittadini (cioè per attuare misure redistributive) non è altro che principio di non aggressione, cioè la Legge.
  2. La Legge non “limita” la libertà, ne è il presupposto.
  3. La libertà non può esistere senza l’uguaglianza davanti alla Legge (cioè davanti al principio di non aggressione). L’uguaglianza davanti alla Legge tuttavia comporta necessariamente la disuguaglianza di posizione economica fra individui. Dato che questi sono diversi sotto infiniti aspetti, quando vengono trattati allo stesso modo finiscono necessariamente in posizioni economiche diverse. L’unico modo per farli finire in posizioni economiche meno distanti è trattarli in modo diverso, cioè violare l’uguaglianza davanti alla Legge. Come ricorda Hayek, uguaglianza imposta di posizione economica (o anche solo minore disuguaglianza della stessa) e uguaglianza davanti alla Legge sono due concetti che logicamente si escludono a vicenda. La redistribuzione di risorse economiche invocata nella seconda parte dell’articolo viola quindi il principio di uguaglianza davanti alla legge presupposto nella prima parte: quello che impedisce le “leggi razziali” per intenderci. Nel limite in cui essa è il risultato della libertà e dell’uguaglianza davanti alla Legge, la disuguaglianza economica non va combattuta ma favorita.
  4. È l’aggressione legale resa possibile e in effetti elevata a sistema dal positivismo giuridico che impedisce il “pieno sviluppo della persona umana”, non la Legge. Solo l’assenza di aggressione può favorire il pieno sviluppo di un uomo in quanto persona.
  5. I cosiddetti “lavoratori” sono individui tanto quanto lo sono i disoccupati, i ricchi fannulloni, gli studenti: e la libertà concerne gli individui, le persone, non i “lavoratori”.
  6. Una società libera e la relativa economia sono ordini spontanei, non organizzazioni. Esse sono il risultato inintenzionale dell’azione e interazione di persone ciascuna delle quali usa la propria conoscenza per i propri fini (e si tratta di una conoscenza dispersa capillarmente che non è disponibile ad alcun “organizzatore”). Una società libera e la relativa economia non sono quindi il risultato della progettazione di alcuno. Dove un paese può essere “organizzato politicamente, economicamente e socialmente”, si ha necessariamente potere politico illimitato e distruzione di valore economico.

Questa seconda parte dell’articolo può quindi essere tradotta nel modo seguente:

«È compito del potere politico rimuovere la Legge, che, essendo il presupposto della libertà e il suo rispetto producendo inevitabilmente la disuguaglianza di condizione economica delle persone, è la condizione necessaria per il pieno sviluppo della persona umana e impedisce che l’economia di un paese e la società nel suo complesso possano essere gestite come se fossero organizzazioni, e dunque declinare in termini relativi».

Ho accennato all’articolo 3 della costituzione italiana perché in sole tre righe esprime in modo estremamente chiaro lo stato di profonda confusione mentale e di distacco dalla realtà sulla base dei quali paesi come l’Italia (e in effetti interi continenti come l’Europa) sono governati e portati alla rovina.

  1. Isolamento intellettuale

Oggi viviamo in un sistema sociale opposto a quello compatibile con la sovranità del principio di non aggressione e quindi col libero mercato. Anche coloro che hanno vissuto durante il fascismo hanno conosciuto un sistema sociale di questo tipo. Tuttavia, un’importante differenza fra la socialdemocrazia e il fascismo è che, mentre in quest’ultimo l’aggressione era generalmente riconosciuta come tale (e anzi veniva esaltata e giustificata), oggi l’aggressione spesso non è neanche riconosciuta come tale. O meglio, essa è generalmente riconosciuta come tale solo quando a compierla non sono lo stato e i soggetti a cui questo ha concesso particolari privilegi. Quindi oggi l’aggressione viene esercitata dallo stato senza alcuna resistenza. È difficile, per esempio, trovare un capo di governo o un entusiasta socialdemocratico che ammettano che la tassazione è una forma di estorsione.

Questa distorsione collettiva della realtà oggi può produrre, in chi si ostina a ragionare in modo logico, una forma di isolamento intellettuale. Sebbene sia politicamente scorretto dirlo, io credo che questo isolamento sia per molti versi analogo a quello dell’unica persona sana di mente in un manicomio.

La sindrome di Stoccolma, secondo Wikipedia, è quel «particolare stato di dipendenza psicologica e/o affettiva che si manifesta in alcuni casi in vittime di episodi di violenza fisica, verbale o psicologica. Il soggetto affetto dalla Sindrome di Stoccolma, durante i maltrattamenti subiti, prova un sentimento positivo nei confronti del proprio aggressore che può spingersi fino all’amore e alla totale sottomissione volontaria, instaurando in questo modo una sorta di alleanza e solidarietà tra vittima e carnefice».

Lo sviluppo della sindrome di Stoccolma, sebbene sia inconscio e non volontario, è un modo efficace per massimizzare le proprie chances di sopravvivenza in una situazione in cui si è continuativamente sottoposti a violenza. Infatti, come ricorda Michael Huemer nel suo libro Il problema dell’autorità politica, «l’FBI incoraggia deliberatamente lo sviluppo della Sindrome di Stoccolma nelle situazioni in cui ci sono ostaggi».

Nel sesto capitolo del suo libro (sugli altri capitoli del quale ho alcune riserve), facendo riferimento a un’ampia gamma di studi scientifici specialistici, Huemer dimostra, fra le altre cose, che «i cittadini dei governi consolidati sono inclini alla Sindrome di Stoccolma» nei confronti dello stato. Infatti sussistono tutte le condizioni che producono questa Sindrome. Queste condizioni sono le seguenti:

  1. L’aggressore rappresenta una minaccia credibile e seria per la vittima;
  2. La vittima pensa di non poter scappare;
  3. La vittima non può sopraffare l’aggressore o difendersi efficacemente da esso;
  4. La vittima percepisce qualche segno di gentilezza da parte dell’aggressore, anche se solo nella forma di mancanza di abuso;
  5. La vittima è isolata dal mondo esterno.

Oggi la maggioranza delle persone è dunque affetta da una patologia mentale che ne inverte la visione fra bene e male. E la democrazia dà un potere politico illimitato a questa maggioranza, o meglio ai burocrati che questa elegge.

Dove la stragrande maggioranza delle persone è vittima della Sindrome di Stoccolma, i pochissimi che mantengono lucidità di giudizio sulla natura del loro carceriere e delle sue azioni, vengono spesso visti come disadattati. Essi vengono isolati, denigrati e a volte perfino perseguitati. Di qui la particolare forma di isolamento intellettuale di chi ricorre alla logica nelle idee di libertà.

Mi viene in mente l’immagine di un gruppo di subacquei. La profondità è tale che non arriva la luce del sole. Gli strumenti di orientamento, costruiti tutti dalla stessa organizzazione, invertono l’“alto” e il “basso”: per tornare in superficie i subacquei si immergono quindi ancora più in profondità. Tranne uno: colui che, invece di osservare la sua strumentazione, osserva le bolle d’aria che fuoriescono dagli erogatori. Egli nota che queste vanno nella direzione opposta a quella in cui si stanno muovendo tutti gli altri subacquei. Ragionando, egli decide di seguire le bolle. Ecco: quelle bolle sono le idee di libertà. Esse sono il principio di non aggressione. Seguendole, staccandosi dal gruppo, scegliendo di resistere a suo modo e nel limite del suo desiderio e delle sue possibilità allo stato, quel subacqueo sarà solo, e sceglierà la strada per certi versi più difficile.

Come ho detto in apertura, ho qualche dubbio sul fatto che da sole quelle bolle possano riportare il subacqueo in superficie. Tuttavia su una cosa personalmente non ho dubbi: le idee di libertà sono importanti per le persone che scelgono di non innamorarsi del loro carceriere, di guardare la realtà quale essa è, di ragionare con la loro testa. E credo che lo siano per diverse ragioni. Una è che staccarsi dal gruppo è sempre difficile ma è meno difficile quando si comprende logicamente perché il gruppo si sta muovendo verso il baratro. Un’altra è che, non abbandonando le idee di libertà (cioè non abbandonando la ragione), in un certo senso abbiamo già vinto, anche quando abbiamo perso. Lo stato moderno può aggredire i nostri beni e il nostro corpo, ma non può invertire la logica, non può cambiare la realtà quale essa è, non può aggredire le idee di libertà e quel profondo rispetto per noi stessi e per il prossimo non aggressivo che esse producono.

Grazie.

[1] https://www.libertarianinstitute.org/scotthortonshow/11216-liza-goitein-new-era-secret-law/ (min. 6:00)

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Showing 2 comments
  • Giampiero Pagiusco

    Ero presente a Lugano quando Birindelli ha letto il suo discorso, ha meritato un lungo applauso della platea.
    Ed oggi rileggendolo non posso che applaudire nuovamente.
    Concordo che non saranno le nostre idee a cambiare le cose , ma gli incentivi che spingono le persone (la stragrande maggioranza statalista) ad utilizzare cio’ che il mercato offre in maniera parallela alla macchina burocratico-statale.

    • leonardofaccoeditore

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